Dopo Assassinio sull’Orient-Express e Assassinio sul Nilo, forse in assoluto le due avventure di Hercule Poirot che hanno saputo offrire le trasposizioni cinematografiche di maggior successo (si ricordino, su tutti, i film diretti nei Settanta rispettivamente da Sidney Lumet e John Guillermin che hanno proposto due mostri sacri come Albert Finney e Peter Ustinov nel ruolo del protagonista), in Assassinio a Venezia Sir Kenneth Branagh torna a dirigersi nei panni del celebre investigatore belga creato dalla penna di Agatha Christie. Delle tre pellicole, chi scrive ha apprezzato soprattutto la seconda – caratterizzata da echi scespiriani in grado di trasformare la crociera in Egitto in un dramma dalle tinte fosche. Ritengo però che anche l’ultima fatica dell’attore e regista nato a Belfast abbia tutte le carte in regola per diventare un classico del genere e catturare il plauso degli appassionati. 

Ritiratosi a vita privata a Venezia, il riluttante Hercule Poirot viene coinvolto dall’amica scrittrice Ariadne Oliver a partecipare a una seduta spiritica di gruppo in un cupo edificio della città lagunare che sembra avvolto da una maledizione. Miss Reynolds è una medium à la Blavatsky che promette di mettere in contatto l’inconsolabile padrona di casa con la giovane figlia, morta l’anno prima in circostanze misteriose. Se l’esibizione della Reynolds si rivela ben presto una sorta di farsa, le minacce e i pericoli sono tuttavia reali e Poirot dovrà recuperare tutto il suo proverbiale smalto per fare luce su tutti i misteri e smascherare il colpevole di ben tre omicidi. Ispirato liberamente al romanzo del 1969 Poirot e la strage degli innocenti il film se ne discosta ampiamente a partire da ambientazione e delitto.  

Assassinio a Venezia non è un film esente da difetti. Dal punto di vista visivo, salta subito all’occhio la semplicistica e manichea contrapposizione tra la città da cartolina che apre e chiude il film – caratterizzata da una violenta luce primaverile – e l’oscurità “invernale” che avvolge i protagonisti durante tutto lo svolgimento del caso all’interno del palazzo. Alcune trovate risultano forzate (la festa di Halloween nella Venezia dell’immediato secondo dopoguerra) e i personaggi più tormentati avrebbero forse meritato una caratterizzazione più precisa, come ad esempio nel precedente film Assassinio sul Nilo. A mio avviso, un approfondimento “per immagini” delle vicende personali di Poirot e del dottor Ferrier poteva animare ulteriormente la narrazione. Perfino la soluzione del caso giunge un po’ troppo inaspettata: è vero che Agatha Christie è nota per la sua capacità di “barare” con i suoi lettori, non per niente il buon Raymond Chandler sosteneva che solo un “deficiente congenito” poteva individuare la soluzione del celebre caso dell’Orient-Express, eppure solitamente gli indizi vengono disseminati lungo il tragitto (L’assassinio di Roger Ackroyd, do you remember?): nel film di Branagh gli spettatori non possono che sorprendersi quando Poirot annuncia improvvisamente di aver risolto il mistero…

Però Assassinio a Venezia ha un grosso pregio che cancella in un colpo solo tutte le imperfezioni. Alle prese con un personaggio ampiamente saccheggiato dal cinema, che ha saputo produrre per giunta esiti dignitosissimi, Branagh sceglie intelligentemente la strada di una forte caratterizzazione che rende il suo Hercule Poirot qualcosa di diverso dai precedenti, pur mantenendosi fedele allo spirito originale. Come Guy Ritchie per il suo Sherlock Holmes, l’attore-regista scarta la strada del mimetismo – arduo il confronto con precedenti quali il già citato Finney o il più recente e televisivo David Suchet, anche per un grande come Branagh – per privilegiare un Poirot cupo, solitario, ben lontano dalla figura rassicurante in grado di ristabilire l’ordine grazie alle sue celebri “celluline grigie”.

Un plauso insomma al lavoro di Branagh, ben coadiuvato da un supporting cast senza le star di cartello dei film precedenti ma comunque arricchito da attori solidi quali Kelly Reilly o il nostro Riccardo Scamarcio: la sua formazione teatrale classica non poteva certo farlo tremare di fronte ai testi della Christie ma la bontà del risultato finale non era comunque garantita…e si sa quanto il pubblico d’Oltremanica sia devoto alla “regina del giallo” e pronto a crocifiggere ogni mancanza di rispetto che si discosti dall’ortodossia.

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