Quando ero bambino abitavo in via Gulli a Milano, praticamente attaccato al cinema Adriano. Era situato ad Ovest, nella popolosa zona Forze Armate-Baggio, vicinissimo a piazzale Siena. Era una grande sala di terza visione, ben 1300 posti con la platea digradante ad anfiteatro e a forma di ferro di cavallo. Lo schermo era gigantesco. Già a sette, otto anni – di sabato o domenica, insieme agli amichetti – andavo da solo ad assistere agli spettacoli. Soldi contati, anche per la merenda e varie “leccornie” vendute dal baracchino di fronte. I nostri genitori ci mandavano tranquillamente da soli perché in sala vigilava Mario, la “maschera” (oggi diremmo personale di sala). Faceva paura solo a vederlo. In seguito, mi resi conto che assomigliava a Reggie Nalder, un attore austriaco emigrato a Hollywood dal volto spaventoso, che si era fatto notare ne L’uomo che sapeva troppo (1956), di Alfred Hitchcock, nel ruolo del sicario in azione alla “Royal Albert Hall” di Londra (se ne sarebbe ricordato Dario Argento, impiegandolo in un cameo non accreditato in L’uccello dalle piume di cristallo, 1970).
L’interno del Cinema Adriano a Milano (fonte: www.giuseppe rausa.it)
Era una sicurezza per le nostre mamme, e nel cinema Adriano non c’era ombra di molestatori. Durante la proiezione si poteva scorgere, a tempistiche fisse, una torcia luminosa aggirarsi in platea e in galleria.
È in questo grande cinema che ho letteralmente “assorbito” decine di film di Franco & Ciccio, avventura, cappa & spada, peplum e western. L’Adriano era stato edificato nei primi anni Cinquanta (del Novecento), quando le sale cinematografiche erano affollatissime. Il suo nome derivava indubbiamente da un retaggio del Ventennio, il grande imperatore romano “buono”, e faceva parte di quell’insieme di sale milanesi (Colosseo, Mediolanum, Augusteo, Giulio Cesare, Marte, Massimo, Minerva, Plinius, Rex…), aperte in era fascista e in buona parte non sopravvissute, che richiamavano l’epoca dell’antica Roma. Non a caso, mi rimase impresso Maciste l’eroe più grande del mondo (1963), proiettato all’Adriano un paio di anni dopo, nel quale il possente Mark Forest era affiancato dal giovane Xandros, che ben presto imparai a conoscere come Giuliano Gemma. Era una saetta piroettante, per me quasi capace di volare.
L’attore austriaco Reggie Nalder, che assomigliava alla “maschera” Mario.
Prima della chiusura definitiva dell’Adriano, avvenuta nel 1974 per diventare la sede del Teatro Uomo, farò in tempo a vedere i migliori western spaghetti e, naturalmente, quelli interpretati da Giuliano Gemma (che ogni tanto compariva sui cartelloni come Montgomery Wood). Solo in seguito venni a conoscenza dell’esistenza di Sergio Leone e dei suoi film, visti sempre tardivamente, ma al cinema Alpi (della stessa proprietà, ma di seconda visione!). Ricordo C’era una volta il West visto con mio cugino, un po’ più grande e poco amante del cinema: esattamente a metà film, dopo un assordante attacco di Morricone, si alzò convinto che fosse finito.
Gemma era rassicurante, assolutamente positivo, un eroe anche manesco ma integerrimo e sempre dalla parte giusta. E poi era allegro e scanzonato.
Ecco, questo saggio sulla sua attività come protagonista del cinema italiano degli anni ’60 e ’70 (del Novecento) non nasce da dinamiche squisitamente artistiche ma affettive. Da ragazzino le mie icone cinematografiche erano Sean Connery (James Bond), Alain Delon, Charles Bronson e Giuliano Gemma. Come si vede un poker d’assi piuttosto composito e diversificato, con la quinta carta: Steve McQueen (in effetti, meglio una “Scala 40”: Yul Brynner, Kirk Douglas, Charlton Heston, Lee Marvin, Rod Steiger, Clint Eastwood, Paul Newman, Robert Redford, Lino Ventura, Franco Nero…).
Nelle edizioni successive di Maciste l’eroe più grande del mondo (1963), Gemma è promosso a protagonista.
Ma un dato è certo, Gemma doveva avere un libro che potesse ricordarlo all’interno del Pantheon del Cinema (il testo dello spagnolo Carlos Aguilar, mai giunto in Italia, risale al 1990). Un testo in grado di fare ordine sulla sua carriera di attore che, nonostante rimanga indissolubilmente legata al western all’italiana, chiarisse che su un centinaio di film quelli di Ringo & Co. Sono stati solo diciannove. Che mettesse nero su bianco che Giuliano Gemma significa anche Pasquale Squitieri, Damiano Damiani e Dario Argento (passando per le vertigini di Valerio Zurlini).
Per quattro lustri un certo cinema italiano avrebbe contrapposto Gemma a Franco Nero, come quello francese Alain Delon a Jean Paul Belmondo. Chissà come mai i due attori (a parte un film tardivo che li ha visti insieme nel cast, ma non interagire) non hanno mai incrociato le loro avventure: cosa sarebbe stato l’incontro di Ringo con Django?
A proposito, passando in auto dopo tanti anni per via Gulli – dove ho vissuto la giovinezza, era la fine del 2019 -, ho potuto intravedere il vecchio edificio dell’Adriano in fase di demolizione.
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