Roy Collins (Edmond O’Brien) e Gill Bowen (Frank Lovejoy) si mettono in viaggio per una vacanza insieme, nascondendo alle rispettive mogli che si stanno recando in Messico per far bisboccia. Sul loro percorso raccolgono un autostoppista, Emmet Myers (William Talman), che si rivela essere un pericoloso criminale in fuga ricercato dalla polizia di diversi stati per una serie di omicidi commessi ai danni di automobilisti. Il fuggitivo prende i due uomini in ostaggio e li costringe a portarlo al confine con il Messico…
Ida Lupino appartiene alla grande storia di Hollywood. Attrice di thriller, passa alla regia alla fine degli anni Quaranta in associazione con il marito produttore. Al suo attivo una serie di film noir in cui emerge una tendenza femminista e sociale. Ma è anche dotata di uno stile estremamente personale.
La belva dell’autostrada (The Hitch-Hiker, 1953), girato poco prima di La grande nebbia (The Bigamist, 1953) contrasta con le precedenti regie di Ida Lupino. Da un lato perché non ha come soggetto principale il viaggio di una donna ferita ma si dedica a un trio maschile, poi perché Lupino si cimenta in un genere estremamente codificato modificando la sua abituale ispirazione. Insieme allo sceneggiatore Collier Young parte da un fatto di cronaca sanguinoso appena accaduto in California: lo sterminio di una famiglia (compresi tre bambini) da parte di un individuo che prende in ostaggio una coppia, costringendola a recarsi in Messico dove spera di sfuggire alla polizia. Il film è un esercizio di stile indubbiamente geniale. La belva dell’autostrada lavora su due elementi del film noir nello stile dei più grandi: la paranoia e la claustrofobia. Chi è questo sconosciuto incontrato in autostop da due uomini sposati, che hanno finto con le loro mogli di essere a pesca per andare, in realtà, a fare baldoria vicino al confine messicano? Un pericoloso psicopatico, assetato di sangue, come proclamano i titoli dei giornali nei primi minuti del film? E cosa accadrà ai due ipocriti padri di famiglia? Questo per quanto riguarda l’argomento. Ma non è vietato vedere qualcos’altro, soprattutto in quest’America degli anni Cinquanta, congelata nella Guerra Fredda. E se questo straniero fosse una minaccia solo perché è uno straniero, un uomo proveniente da altrove, che minaccia lo stile di vita americano? È il talento di Ida Lupino lasciare il campo aperto a tutte le interpretazioni.
D’altro canto, questo desiderio di confrontarsi con un genere molto codificato e di lavorare su uno stile completamente nuovo corrisponde anche al desiderio della cineasta di evolversi nella sua professione. Lupino inizia la sua carriera di regista per caso, e la persegue da un lato traendo molti insegnamenti dai cineasti incontrati sui set, dall’altro seguendo il proprio istinto e le proprie aspirazioni artistiche. A questo punto della sua carriera, vuole sicuramente provare un altro approccio alla regia, sviluppandolo e riflettendoci prima di girare. Il film di suspense è sicuramente il modo migliore per cimentarsi, non essendo proprio la commedia il suo punto di forza e il melodramma, genere che richiede anche una scrittura cinematografica estremamente precisa.
Anche lo strappo con gli altri suoi film non è del tutto chiaro. Ritroviamo in The Hitch-Hiker quella linearità narrativa tipica della regista, così come una galleria di personaggi smarriti e disorientati che non sanno come affrontare la tragedia che li travolge. La linearità in Lupino assume spesso la forma del viaggio, dello spostamento. Percorsi sempre forzati e non scelti dall’eroe per risolvere le questioni drammatiche della storia. In Lupino i personaggi non viaggiano, fuggono, spesso nella disperazione. Non hanno scopi, obiettivi e il viaggio non porta alcuna soluzione. È dentro di loro, e attraverso i loro incontri, che raggiungono questo obiettivo e la loro fuga molto spesso si traduce in un ritorno al punto di partenza.
In questo film, il sequestratore non ha un piano, né una via di fuga, e porta con sé i suoi due prigionieri anche se sa che sta andando verso la sua fine. Da questa terribile odissea non verrà fuori nulla di buono. Tutto ciò che Roy e Gilbert scopriranno sarà la paura, l’umiliazione e la parte più oscura del loro essere. Perché, come spesso accade con Lupino, il climax tanto atteso vanifica le nostre aspettative. L’intera storia spinge lo spettatore a desiderare vendetta per le umiliazioni subite, a vedere arrestare l’assassino, a vederlo morire per i suoi crimini. Tuttavia, quando viene effettivamente arrestato e Roy lo malmena mentre è a terra, il disagio supera di gran lunga il sentimento di giustizia. Nessuna guarigione, nessuna risoluzione è all’opera in questo epilogo e sentiamo che le due vittime sono lasciate in un abisso di disperazione dal quale non si riprenderanno mai veramente, proprio come Mala Powers non è riuscita a riprendersi da uno stupro in La preda della belva (Outrage, 1950).
Affinità si riscontreranno in The Hitcher – La lunga strada della paura (The Hitcher, 1986) di Robert Harmon; e Le strade della paura (Cohen and Tate, 1988), di Eric Red (quest’ultimo sceneggiatore anche del primo film).
The Hitch-Hiker sembra a sua volta trovare forza soprattutto dalla sequenza finale. Perché, se la sua messa in scena si rivela efficace, soprattutto nell’impostazione della trama – magistralmente condotta da una serie di inquadrature brevi, estremamente attuali e ponderate – la narrazione risulta essere troppo ripetitiva, persino di routine. Il film però pullula di idee, la più sorprendente resta questa figura di criminale la cui paralisi facciale gli impedisce di chiudere la palpebra destra: un handicap che diventa fonte di suspense, poiché i prigionieri non sanno mai se l’assassino sta dormendo oppure no. Altro punto di forza: attori impeccabili, su tutti William Talman che interpreta il classico psicopatico. L’attore ha addirittura raccontato che, poco dopo l’uscita del film, un uomo gli si era avvicinato per strada mentre stava aspettando che il semaforo diventasse verde al volante della sua decappottabile, chiedendogli se fosse davvero lui l’autostoppista e colpendolo con un pugno in faccia prima di andarsene.
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