José Giovanni (Parigi, 22 giugno 1923 – Losanna, 24 aprile 2004), al secolo Joseph Damiani, è stato uno dei più prolifici autori del poliziesco francese: ha scritto venti romanzi, due memorie, trentatré sceneggiature e diretto quindici film e cinque telefilm, molti dei quali esaltano l’amicizia virile e “l’onore tra malviventi”.
Sebbene il poliziesco francese risalga ai tempi del muto il policier, più noto come polar, si è affermato davvero nel dopoguerra, quando l’editore Gallimard pubblicò una nuova serie poliziesca, la “Série Noire”, che era principalmente composta da romanzi popolari americani d’argomento gangsteristico. Molti polar trassero ispirazione da questi libri e dai racconti polizieschi di Hollywood apparsi in quel periodo, denominati film noir proprio dai francesi.
Come regista, Giovanni non ha mai aspirato alle vette dei drammi polizieschi esistenziali di Jean-Pierre Melville, ma i suoi film grintosi, come quelli di Melville, erano delle personalissime varianti francofone del filone hollywoodiano, esaltate dalle apparizioni iconiche di Jean Gabin, Alain Delon, Jean-Paul Belmondo e Lino Ventura. Ha anche aiutato il fatto che Giovanni conoscesse dall’interno l’ambiente dei duri e delle sue mutevoli lealtà.
Cresciuto in Corsica, lavora come guida alpina quando è ancora adolescente prima di unirsi alla resistenza francese durante la seconda guerra mondiale. Nel 1945, ad appena 22 anni, è condannato, insieme a un fratello maggiore, per un complotto di estorsione e omicidio in cui perdono la vita cinque persone. Un contesto architettato da uno zio che era un leader della malavita corsa. Il fratello, fuggito di prigione, viene ucciso in una rissa, mentre José è condannato alla pena capitale. Grazie all’aiuto, tenace ma discreto del padre, che ottiene segretamente lettere di grazia da parte delle famiglie delle vittime, la condanna è commutata in ergastolo e Giovanni viene liberato dopo aver scontato otto anni di lavori forzati.
Ci sono alcuni punti fermi nella sua biografia, e che hanno dello stupefacente. Giovanni decide di passare al Partito Popolare Francese, durante il conflitto, e diventa collaborazionista del regime di Vichy. È indubbio che in tale periodo si macchia di crimini che nel 1948, al termine del conflitto, lo portano alla pena capitale, tra i quali estorsione e complicità in assassini commessi durante il periodo dell’occupazione nazista (tortura e assassinio di tre ebrei per conto della Carlingue, corpi ausiliari della Gestapo arruolati tra la popolazione locale). Oltre ad avere poi ricattato – all’insaputa dei suoi stessi superiori – svariati altri che avevano cercato di darsi alla macchia nella Francia occupata. Ma il destino gioca a favore, e la pena di morte viene appunto commutata in vent’anni di lavori forzati, per essere infine scarcerato nel 1956.
Sarà il suo avvocato Stephen Hecquet a esortarlo a dedicarsi alla carriera di scrittore. E Giovanni farà tesoro della sua esperienza carceraria: durante la reclusione aveva conosciuto Roland Barbat, divenuto famoso come “il re delle evasioni”; i suoi metodi di fuga saranno fonte d’ispirazione per il romanzo d’esordio Le trou.
Così, mentre lavora come sommozzatore, boscaiolo e minatore di carbone, Giovanni inizia a scrivere. Nel 1957, pubblica il suo primo libro, “Le Trou”, basato sui suoi tentativi di fuga dalla prigione di Santé a Parigi, e che sarà trasformato in un film avvincente e claustrofobico da Jacques Becker, Il buco (Le Trou, 1960), girato in una vera prigione con attori in parte non professionisti.
Giovanni, che co-sceneggia Le Trou, aveva esordito nel mondo del cinema l’anno prima, contribuendo alla scrittura del film criminale Rififi fra le donne (Du Rififi Chez Les Femmes, 1959), di Alex Joffé. Per il decennio successivo continua a scrivere sceneggiature, spesso adattate dai suoi racconti, dallo splendido Asfalto che scotta (Classe tous risques, 1960), di Claude Sautet con Jean-Paul Belmondo e Lino Ventura; a Il clan dei Siciliani (Le Clan des Siciliens, 1969), di Henri Verneuil con Jean Gabin, Alain Delon e Lino Ventura.
Ma già dal 1967, Giovanni debutta nella regia distinguendosi con alcune opere del calibro di Solo andata (Un aller simple, 1971), Il clan dei marsigliesi (La scoumoune, 1972), Due contro la città (Deux hommes dans la ville, 1973), Lo zingaro (Le Gitan, 1975).
Dopo altri film dello stesso genere, il ciclo si conclude con Mon Pere – Il M’a Sauvé La Vie (2001), basato sul suo libro del 1995, che descrive gli sforzi del padre per liberarlo dalla prigione. Un modo per Giovanni di farsi perdonare dal genitore, con il quale aveva sempre avuto un rapporto teso, oltre al fatto che per alcuni anni dopo il suo rilascio rimase all’oscuro delle azioni per salvarlo dalla ghigliottina da parte di suo padre.
I suoi personaggi, frustrati sul piano emotivo, spirituale e talvolta anche fisico, tormentati da un continuo confronto con il passato e da una lotta per dominare barbari impulsi e tendenze autodistruttive, sono considerati tra i più riusciti della storia del polar francese.
Bertrand Tavernier, grande storico del cinema e regista, è stato il suo giovanissimo capo ufficio stampa, oltre che co-sceneggiatore dell’ultimo film di Giovanni dedicato al padre.
Due, probabilmente, i suoi massimi capolavori: il già citato Asfalto che scotta come sceneggiatore, e Ultimo domicilio conosciuto (Dernier domicile connu, 1970, come sceneggiatore e regista.
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