C’è un nome che manca sempre in ogni ricorrenza del mondo del cinema, quello di Dan Curtis, pseudonimo di Daniel Mayer Cherkoss (Bridgeport, 12 agosto 1927 – Brentwood, 27 marzo 2006), figlio del dentista Edward e di sua moglie, Mildred. Dopo la morte della madre, avvenuta quando aveva 13 anni, suo padre si risposa e Dan allarga i suoi affetti al fratellastro, Myron Ballen, che in seguito ricoprira tre mandati al Senato del Connecticut. Alla Syracuse University, Curtis ottiene la laurea in sociologia nel 1950 e incontra Norma Klein, una studentessa che sposa due anni dopo. Quando entra nel mondo dello spettacolo come venditore alla NBC, ha già “semplificato” il suo cognome in Curtis.

Nei primi anni ‘60, fonda la sua società di produzione occupandosi di numerosi programmi di successo (compreso il “CBS Match Play Classic” [1963-73], vincitore di un Emmy Award). Per essere più vicino a Hollywood, Curtis si trasferisce con la famiglia a Beverly Hills nel 1972.

A partire dalla fine degli anni Sessanta e fino all’inizio del decennio successivo si specializza nel genere horror, con remake per il piccolo schermo di classici come Il demone nero (Dracula, 1974, CBS) e L’ululato del lupo (Scream of the Wolf, 1974, CBS).

Tra i suoi classici, per la ABC, The Night Stalker (1972) e Lo strangolatore della notte (The Night Strangler, 1973), scritti da Richard Matheson, sulle investigazioni del giornalista di cronaca nera Carl Kolchak (Darren McGavin).

Televisivamente parlando, cambiando genere, Curtis si distingue produttivamente e registicamente soprattutto con la miniserie ABC di successo sulla seconda guerra mondiale Venti di guerra (The Winds of War, 1983), tratta dal romanzo di Herman Wouk, con Robert Mitchum, Ali MacGraw, Jan-Michael Vincent e John Houseman: una delle miniserie più viste di tutti i tempi.

Indubbiamente il suo nome rimane indissolubilmente legato alla soap opera horror Dark Shadows (1966/71), che diventa un punto di riferimento della cultura pop, e darà vita anche ad un lungometraggio, prima del revival tributatogli da Tim Burton nel 2012.

Stranamente, Curtis temeva di essere ricordato solo per Dark Shadows. L’idea per lo show, che riguarda una governante orfana che va a lavorare per una famiglia benestante, gli era venuta in un sogno. Inizialmente, la serie un po’ kitsch ha difficoltà negli ascolti. E da lì nasce l’idea di “ingaggiare” il vampiro Barnabas Collins che fanno decollare gli ascolti.

Oltre al carismatico vampiro di 175 anni, interpretato da Jonathan Frid, saranno aggiunti altri elementi e personaggi soprannaturali. Il film, La casa dei vampiri (House of Dark Shadows, 1970) ripropone la storia originale ma con un taglio più violento.

Ma quando si parla di Dan Curtis si deve almeno fare riferimento ad un suo grande film.

Rivisitare la filmografia della casa stregata non è un esercizio facile. Mentre Gli invasati (The Haunting, 1963), di Robert Wise dal romanzo di Shirley Jackson, getta le basi del filone, arrivano varie pellicole di altalenante successo: Dopo la vita (The Legend of Hell House, 1973), di John Hough da un romanzo di Richard Matheson; Amityville Horror (The Amityville Horror, 1979), di Stuart Rosenberg, e i suoi innumerevoli e diseguali discendenti; Changeling (id., 1980), di Peter Medak; la serie inaugurata da La casa (Evil Dead, 1981), di Sam Raimi; Poltergeist – Demoniache presenze (id., 1982), di Tobe Hooper; The Others (id., 2001), di Alejandro Amenabar; la serie inaugurata da Paranormal Activity (2009), di Oren Peli… L’elenco è lunghissimo.

Ma c’è appunto un’opera, meno famosa, che ha saputo prendere la distanza necessaria da un genere troppo spesso abusato per distinguersi: Ballata macabra (Burnt Offerings, 1976), di Dan Curtis.

Dopo aver girato parecchio tra le mani di diversi registi (Bob Fosse in particolare) la sceneggiatura di Burnt Offerings, scritta da Robert Marasco (che ne farà un romanzo Our Venerated Darling, un successo in librerie già prima dell’uscita del film), finisce nelle mani di Dan Curtis, a tutti noto come regista che ha lavorato principalmente in televisione. Con l’aiuto di uno dei suoi collaboratori abituali, lo sceneggiatore William F. Nolan, Curtis si impegna a riscrivere lo script, sviluppando l’aspetto psicologico e inquietante del materiale di base, sconvolgendo anche l’intero finale del romanzo, per consegnare un film horror indiscutibilmente avvincente.

Vero e proprio picco di angoscia e tensione, Ballata macabra rimane un’opera che colpisce per il suo particolare approccio al genere. Estremamente maturo e preciso nella rappresentazione della disgregazione di un nucleo familiare, il film di Dan Curtis non cerca di avventurarsi nel lato dell’intrattenimento terrificante. Al contrario, Ballata macabra prende le distanze dall’horror di primo grado e non cerca di divertire o lusingare il pubblico, ma vuole rappresentare nel modo più accurato possibile le disfunzioni di una famiglia. Il film sembra in qualche modo anticipare Shining (The Shining, 1980), di Stanley Kubrick, uscito quattro anni dopo e con il quale mantiene stretti legami (esattamente come il romanzo di Stephen King), poiché seguiamo la coppia Rolf, Ben (Oliver Reed) e Marian (Karen Black) – e del loro figlio David (Lee Montgomery) e della vecchia zia Elisabeth (Bette Davis) – che decidono di passare l’estate in una splendida residenza vittoriana. Un soggiorno che si preannuncia sotto i migliori auspici in un luogo idilliaco sotto ogni punto di vista. Tutto questo con l’unico impegno di prendersi cura della casa e soprattutto della signora Allardyce (Eileen Heckart), un’anziana donna solitaria e che sta sempre rintanata nella sua stanza. È questa presenza nascosta che esprime tutto il suo potenziale di mistero e angoscia e che continua a perseguitare i protagonisti e il film. Perché la minaccia che incombe sui nuovi occupanti della casa è dovuta tanto al mistero della stanza chiusa a doppia mandata, alla quale ha accesso solo la madre di famiglia, quanto alla residenza stessa, presentata molto presto come un personaggio a tutti gli effetti che rivela gradualmente la sua natura di vampiro psichico, prosciugando la vitalità e la salute mentale dei suoi occupanti.

Il graduale aumento della tensione orchestrato da Dan Curtis è la principale risorsa di Ballata macabra. Il suo DNA. Il film si svolge con un ritmo lento, privo di qualsiasi effettismo assurdo, solo un’inevitabile spirale che avvilupperà gradualmente, per poi seppellire, la famiglia Rolf, in un’atmosfera sempre più soffocante. Il padre è progressivamente perseguitato da incubi legati a un trauma infantile, impersonato da un inquietante carro funebre, mentre la sua sete di sesso gli fa perdere la ragione… Dal canto suo, la madre sviluppa un legame di pericolosa attrazione e fascinazione con Madame Allardyce, l’occupante invisibile della stanza.

La pellicola è una metafora scoperta ed estremamente realistica: il tema della sconizione abitativa (la casa tanto bramata che distrugge la famiglia), una critica all’ossessione per la proprietà immobiliare e alla distruzione della famiglia nucleare.

Tuttavia, gli attori sono tutti impareggiabili, da Karen Black all’inquietante Bette Davis (che litigò con tutto il cast), passando per l’immenso Oliver Reed, che tuttavia non hanno garantito il successo del film.

Con una consumata arte di suspense e suggestione (una finestra illuminata nella notte diventa terrificante), Dan Curtis e il suo sceneggiatore William F. Nolan spingono il film nella follia, fino a un epilogo nichilista e inesorabile allo stesso tempo, che consegna un’inquadratura terrificante che provoca una sensazione di terrore simile all’immagine finale di A Venezia… un dicembre rosso shocking(Don’t Look Now, 1973), di Nicolas Roeg.

Ballata macabra è un cult d’eccellenza, un’opera quasi invisibile divenuta un classico assolutamente imprescindibile per i cultori del cinema.

Autore

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Trending