di Massimo Moscati
Nonostante sia considerato il più famoso fra gli assassini seriali, celebre soprattutto perché la sua identità è rimasta sconosciuta e numerosi sono gli aspetti misteriosi inerenti alla sua “carriera”, a ben vedere Jack the Ripper ha commesso “solo” cinque delitti: un dilettante, se pensiamo a suoi epigoni sul tipo di Charles Manson.
Il primato cinematografico su questo mito negativo, basandosi però sull’opera del commediografo Frank Wekekind e sui suoi drammi Erdgeist (1890) e Die Büchse der Pandora (1893), è Der Erdgeist (1923) di Leopold Jessner,su sceneggiatura di Carl Meyer. Asta Nielsen impersona Lulù, una prostituta disegnata sul profilo di Mary Anne Kelly, l’ultima delle vittime e la presunta amante del principe Albert. Un film glissato dall’indiscusso classico erotico Lulu-Il vaso di Pandora (Die Büchse der Pandora, 1928) di Georg Wilhelm Pabst, con l’indimenticabile Louise Brooks. Senza storia i vari remake: L’amore primitivo (Lulù, 1962) di Rolf Thiele; Lulù (1978) di Ronald Chase; Lulù (id., 1980) di Walerian Borowczyk, che comunque registra la presenza di Udo Kier (già Dracula e il dottor Frankenstein in due film prodotti da Carlo Ponti per la factory Warhol/Morrissey) nel ruolo di Jack lo Squartatore.
Il primo cineasta ad affrontare il tema in termini rigorosi è, naturalmente, Alfred Hitchcock che, con Il pensionante (The Lodger-A Story of the London Fog, 1926),propone un grande attore romantico acclamato dal pubblico inglese come Ivor Novello nei panni di un presunto assassino di alcune donne bionde, tutte uccise tragicamente nello stesso giorno della settimana. Il rifiuto oggettivo da parte del pubblico che un tale divo potesse impersonare un assassino permette a Hitchcock di introdurre uno dei suoi temi favoriti, quello del falso colpevole. Come hanno scritto Eric Rohmer e Claude Chabrol: “In effetti, gran parte di quel che diventerà il famoso Hitchcock touch è contenuta in una variazione ben costruita sul tema di Jack lo Squartatore. La storia è la seguente: Londra è terrorizzata da un maniaco omicida, ‘lo Squartatore’. Un giovane giunge in una pensione familiare e il suo strano comportamento subito insospettisce la padrona di casa, tanto più che corteggia la figlia, fidanzata di un poliziotto. Denunciato, arrestato, fugge, manette ai polsi, inseguito dalla folla che vuole linciarlo. In extremis, viene scoperto il vero colpevole. Lo straniero sposerà la figlia dell’affittacamere”.
Il film, tratto da un bestseller di Marie Belloc Lowndes pubblicato nel 1913, avrebbe ispirato anche: The Lodger/The Phantom Friend (1932) di Maurice Elvey, sempre con Novello ma in una veste più ambigua; Il pensionante (The Lodger, 1944) di John Brahm, con Laird Cregar; fino al modesto Una mano nell’ombra (Man in the Attic, 1953) dell’argentino Hugo Fregonese, ma animato da un interessante Jack Palance. Un’altra giallista britannica, Margery Allingham, s’ispira al romanzo per impegnare il suo eroe, il dottor Fell, contro Jack the Ripper in Room to Let (1949) di Godfrey Grayson.
Direttamente o meno, Jack the Ripper vaga per le sale cinematografiche magari solo in veste di comparsa, come accade ne Il gabinetto delle figure di cera (Das Waschfigurenkabinett, 1924) di Paul Leni, nel quale è uno dei tre personaggi che un giovane poeta crea per un museo di cere. Di un certo rilievo il messicano L’uomo senza volto (El hombre sin rostro, 1950) di Juan Bustillo Oro, nel quale il criminale (interpretato da buñueliano Arturo de Cordova) soffre di orrendi incubi notturni.
La prima pellicola direttamente centrata sul tema, ma molto fantasiosa nello sviluppo, è Jack lo Squartatore (Jack The Ripper, 1959), di Robert S. Baker e Monty Berman, che venne lanciato negli Stati Uniti con una campagna pubblicitaria imponente per una microscopica casa di produzione britannica che in tutto produsse otto film.
Sono del 1971 due “ritorni” dello Squartatore sugli schermi: lo spagnolo 7 cadaveri per Scotland Yard (Jack el Destripador de Londres, 1971) di José Luis Madrid, girato in una doppia versione anglofona (prassi molto comune), con il popolarissimo Paul Naschy nel ruolo del mostro; e Gli artigli dello squartatore (Hands of the Ripper, 1971) di Peter Sasdy, prodotto dalla Hammer. Quest’ultimo, piuttosto interessante, ipotizza che la figlioletta di tre anni di Jack assista all’accoltellamento della madre da parte del genitore e che, traumatizzata, cresca con in seno il germe malato dell’omicida. Censuratissimo negli Stati Uniti.
Spesso insopportabile per la sua truculenza Erotico profondo (Jack the Ripper/Der Dirnenmörderer von London, 1976) di Jesus Franco, con uno scatenatissimo Klaus Kinski; professionale la miniserie Tv La vera storia di Jack lo Squartatore (Jack the Ripper, 1988) di David Wickes, con Michael Caine nei panni dell’ispettore Frederic Abberline, che delinea un percorso “investigativo” tendente a riassumere un po’ tutti gli scenari emersi sino ad oggi; insignificante Jack lo Squartatore (Love Lies Bleeding, 1999) di William Tannen, che mette in azione una giovane giornalista impegnata nell’individuare l’identità del mostro (reperibile solo in vhs).
E si giunge così al capolavoro del filone, La vera storia di Jack lo Squartatore – From Hell (From Hell, 2001) di Albert e Allen Hughes, tratto dalla graphic novel di Alan Moore e Eddie Campbell. Johnny Depp è Abberline, in una ricostruzione cupa e rigorosa, che restituisce la disumanità di Londra in piena rivoluzione industriale. Sul fronte dell’identificazione del mostro gli autori si limitano a suggerire una delle tante, e note, piste sorte in oltre cento anni di mistero.
Ma il mito di Jack the Ripper, una volta entrato a contatto con il cinema, si confonde anche con altre ispirazioni (prima fra tutte quella letteraria di Jeckyll e Hyde) e molto spesso si auto-emargina nel B movie più scadente. A proposito del character di Stevenson, Dr. Jeckyll e Mr.Hyde: sull’orlo della follia (Edge of Sanity, 1989), un pasticcio diretto da Gérard Kikoine e purtroppo interpretato da Anthony Perkins, ipotizza il “grande incontro” con lo Squartatore.
Modesto, e con il tipico look degli “Edgar Wallace” tedeschi, Chiamate Scotland Yard 00.75 (Das Ungeheuer von London City, 1964) di Edwin Zbonek, che narra di un attore che ricopre a teatro il ruolo di Jack e che viene accusato di essere un assassino: oggi misconosciuto, all’epoca incontrò un notevole successo. Di fattura non superiore Il mostro delle notti di Londra/Notte, dopo notte, dopo notte (Night After Night After Night, 1969) di Lewis Force, concepito per il circuito erotico, ad alto tasso sadomaso.
Piuttosto divertente, e premiato con il Gran Prix al Festival Fantastico di Avoriaz, L’uomo venuto dall’impossibile (Time After Time, 1979) di Nicholas Meyer, che ipotizza un duello “temporale” fra il nostro e lo scrittore H.G.Wells.
Anche il thriller italiano, da Bava in poi (e derivati), sfrutta il tema dell’assassino seriale “alla lama di coltello” in un’infinità inverosimile di varianti: possiamo solo accennare ad un paio di film, come La tarantola dal ventre nero (1971) di Paolo Cavara e Lo squartatore di New York (1982) di Lucio Fulci.
C’è poi il capitolo Sherlock Holmes Vs. The Ripper, che ha prodotto un paio di frutti lusinghieri: Sherlock Holmes: notti di terrore (A Study in Terror, 1965), di James Hill, nel quale l’investigatore scopre che Jack è un nobile molto esperto in medicina (da un romanzo di Ellery Quinn); e Assassinio su commissione (Murder by Decree, 1979), di Bob Clark, che individua in personalità vicine alla Corona l’identità dell’assassino (in questo ricalcando in pieno il già citato La vera storia di Jack lo Squartatore – From Hell).
Sul fronte apocrifo, ultimi della serie gli “splatter” Ripper-Lettera dall’inferno (Ripper, 2001) di John Eyres e il seguito Ripper 2: Letter from Within (ide., 2004) di J.Quastel/L.A.Simandl che, su un impianto da teenager-movie, rimettono in gioco il vecchio Jack addirittura richiamandolo dal passato (magari attraverso una reincarnazione).
Come abbiamo visto un mito negativo evergreen come non mai e del quale, forse, solo il misterioso omicida era consapevole a voler dar credito ad una frase apparsa in una lettera da lui inviata a Scotland Yard e ritenuta veritiera: «Un giorno gli uomini, guardando indietro, diranno che sono stato il precursore del XX secolo».
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