I mostri è un film composto da venti episodi di varia durata (da meno di un minuto fino ai diciassette del più lungo) che ripropongono la coppia Gassman-Tognazzi diretta da Dino Risi, dopo il successo de La marcia su Roma (1962). Un vero e proprio mosaico che rappresenta una galleria di personaggi caricaturali dell’italiano medio e dei suoi vizi, un concentrato di stereotipi e invenzioni – dal papà che educa il figlio al crimine (il piccolo Ricky Tognazzi sullo schermo insieme al papà) ai falsi invalidi, dal pugile rintronato all’amico traditore – che confuta la mitologia del miracolo economico evidenziandone tutta l’ipocrisia.

I mostri doveva essere un film di Dino De Laurentiis scritto da Age e Scarpelli e per la regia di Elio Petri, con Sordi protagonista assoluto. Diventò invece un film di Cecchi Gori, diretto da Risi, con Gassman e Tognazzi, e alle firme di Age, Scarpelli e dello stesso Petri si aggiunsero quelle di Scola e Maccari che inventarono altri episodi e sketch (ma i due più celebri, e cioè La giornata dell’onorevole La nobile arte sono di Age e Scarpelli). Petri diresse invece (al posto di Risi) Il maestro di Vigevano scritto anch’esso da Age e Scarpelli e interpretato da Sordi. Ma non fu un film riuscito, al contrario di I mostri1.

La popolarità de I mostri è tale che, forse, lo si può considerare il film a episodi per antonomasia. Non che manchino infatti gli esempi “nobili” (praticamente tutti i grandi autori della nostra industria cinematografica si sono cimentati nel genere portando anche a casa un premio Oscar, grazie a Ieri, oggi e domani), ma la pellicola di Risi riscosse un successo di pubblico enorme e duraturo. “In un periodo di crescente richiesta di film italiani, culminato nel 1962, anno in cui il prodotto nazionale incassò il 52% del totale, il film a episodi 2 si rivelò spesso un buon investimento, in quanto consentiva di sfruttare la popolarità di una star impiegandola in una partecipazione significativa, ma anche di mettere a frutto il breve periodo libero di un bravo regista o di saggiare le possibilità di un esordiente. Permetteva inoltre di assecondare quella velocità di commento a caldo, spesso satirico, sugli avvenimenti e sulle questioni di attualità, nel quale si stava specializzando la cosiddetta commedia all’italiana e di esaltare la tendenza italiana alla storiella breve, magari sconfinando nella barzelletta”3. Tono popolare, star di fama nazionale e regista in grado di maneggiare brevi canovacci: se questi sono i tratti salienti della produzione a episodi, I mostri li presenta tutti. 

Inoltre il film consente allo spettatore di ridere dei suoi stessi difetti senza venir costretto a nessuna pericolosa e profonda autoanalisi: gli iperbolici mostri consentono un’innocua identificazione e, nel loro essere caricaturali, i personaggi di Risi sono quasi consolatori: “mascalzoni debbono essere, ma simpatici, carognette, in fondo, ma così travolgenti, così pazzerelloni! (E come Gassman e Tognazzi ce la sanno fare!). E poi, pensateci un po’, è tutta colpa loro? Non è il mondo briccone che li trascina a essere così?”4.

Tra i film più popolari che hanno ridimensionato l’ottimismo del boom, I mostri risulta un’operazione perfino estrema perché nessuna altra opera in seno all’industria nazional-popolare ha mai tratteggiato in modo così definitivo i connotati del grottesco, del laido, del viscido realizzando “una piccola enciclopedia della cattiveria dell’intolleranza, dell’ipocrisia e del cinismo”5. Con questo film Risi porta al parossismo il suo racconto degli anni Sessanta, affidandosi all’istrionismo della coppia Gassman-Tognazzi, di cui lo stesso regista ebbe modo di ricordare l’affiatamento e la stimolante rivalità. “I due si piacevano molto, Gassman gli invidiava la naturalezza ed essendo una vera e propria spugna fu capace di assorbire da Ugo la sua grande umanità, anche se non gli perdonava volentieri i frequenti ritardi sul set. Quando girammo I mostri tra loro c’era grande cameratismo ma anche un po’ di sana competizione e prima di girare i vari sketch ognuno dei due mi chiedeva come si sarebbe truccato l’altro per studiare in tempo una contromossa”6

Sullo sfondo di una Roma destinazione finale dei flussi migratori del tempo (sono numerose le caratterizzazioni “regionali” dei personaggi), i due attori si spartiscono i venti sketches non necessariamente collegati tra loro, apparendo insieme in quattro episodi e dividendosi equamente i restanti sedici. Supportati da un cast che – pur con qualche nome celebre, come Marisa Merlini o Michèle Mercier – rimane relegato sullo sfondo, i due interpreti si esibiscono in una performance che, per alcune firme prestigiose, risulta essere il merito maggiore del film.

Nel confronto ravvicinato tra i due grandi protagonisti del nostro cinema, sembra che Tognazzi la spunti sul più accreditato (all’epoca) colleg. La critica vide l’attore cremonese “sapientemente padrone d’ogni più colorita sfumatura comica”7, “molto più sciolto, più sottile, più sfumato”8 e in grado di diversificare i registri interpretativi perché “incline ad un interiore gioco caricaturale”9. Giudizio acuto e condivisibilissimo, soprattutto se analizzato alla luce dei successivi ruoli di Tognazzi: nelle spalle curvate dalla sconfitta del Guarnacci dell’episodio La nobile arte si intravede l’andatura pesante del Bagini di Io la conoscevo bene (1965) mentre l’ipocrisia del protagonista de La giornata dell’onorevole è parente stretta del moralismo di quello de Il complesso della schiava nubiana (1965) e delle frustrazioni del professore nell’omonimo cortometraggio (1964) di Ferreri.

Rivisto a distanza di decenni, con una sensibilità meno avvezza alla narrazione per brevi quadri, I mostri risulta sicuramente meno fruibile perché “porta alle ultime conseguenze il concetto di spezzatino filmico. Chi soffrisse la nausea della cinematografia a episodi, qui se la cura per eccesso”10. Cecchi Gori raccontò che in una cittadina della Sicilia, il proprietario di un cinema dovette togliere il film dopo un’ora: il pubblico era insorto perché non accettava di vedere queste storielle susseguirsi una dopo l’altra. I limiti del bozzettismo, delle descrizioni di corto respiro e di una sceneggiatura eterogenea modificata in corso d’opera non hanno impedito al film di diventare, a suo modo, uno delle opere capitali di quella stagione irripetibile. Le vie del cinema sono infinite.


1Paolo D’Agostini, Dino Risi, Il Castoro Cinema, 1/2, Milano, 1995
2 “Erano andati bene due o tre film a episodi e allora tutti facevano film a episodi”, così lo stesso Dino Risi (cfr. Positif, n° 142, settembre 1972)
3 Masolino D’Amico, Film a episodi, in Enciclopedia del cinema Treccani, Roma, 2003.
4 Filippo Sacchi, Epoca, Milano, 24 novembre 1963.
5 Corriere della Sera, 1° novembre 1963.
6 Massimo Causo (a cura di), Tognazzi, Pesa, Lecce, 2010 – pag. 145.
7 Cfr. Gian Luigi Rondi, Il Tempo, 1° novembre 1963.
8 Freddy Buache, Tribune de Lausanne, Losanna, 3 maggio 1964.
9 Gian Luigi Rondi, Ibid.
10 Luigi Pestelli, La Stampa, 31 ottobre 1963.

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