In editoria è sempre più tempo di riproposte, di riscoperte, di riedizioni. Anche Adelphi, che si è caratterizzata per la scoperta di nuovi autori, italiani e stranieri, tende a ripiegarsi su scelte di alta qualità, ma commercialmente più sicure, cioè adattabili a un pubblico meno elitario. George Simenon e Raymond Chandler sono due esempi fra i più recenti. Anche il prossimo ingresso nel catalogo Adelphi dei titoli di Philip Roth è un bel colpo, anche se l’autore del Lamento di Portnoy e di Pastorale americana è a un livello un po’ più impegnativo sul piano letterario. Viene spontanea una domanda: chi ha già letto Philip Roth in edizione Einaudi perché dovrebbe riacquistarlo in edizione e Adelphi? Stessa domanda potrebbe valere per Carlo Emilio Gadda, di cui già avevamo le belle edizioni di Garzanti. Adelphi ne ripropone dal 2010 tutta l’opera. Ma anche qui: non si tratta di mere ristampe. Sono nuove edizioni, anche critiche, cioè filologicamente aggiornate, come nel caso di Eros e Priapo e Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. I libri Adelphi sono sempre molto curati e originali, e quindi non manca in genere una motivazione per “ricomprarli” (nuova traduzione, riproposta di un testo inedito dello stesso romanzo, nuova edizione critica, ecc.). Senza contare il fatto che ci sono i nuovi lettori, quelli che, come me con Chandler, scoprono un autore grazie alla nuova edizione perché le precedenti non sono più disponibili sul mercato.
Affascinante e inconfondibile Adelphi: anche nella grafica. A partire dal famoso logo, il pittogramma della luna, noto sin dal 1.000 a.C, che simboleggia morte e rinascita. Dovrebbe risalire alla dinastia cinese Shang. Anche le copertine dei libri, per quanto sobrie e lineari (riprendono la gabbia grafica dell’illustratore inglese di fine Ottocento, Aubrey Beardsley), anche se cromaticamente variate nei colori pastello, contribuiscono alla riconoscibilità della casa editrice che per decenni ha coinciso con la figura carismatica di Roberto Calasso. Adelphi (da Adelphoi: fratelli) venne però fondata nel 1962 su progetto di Roberto “Bobi” Bazlen (“Bobi” si intitola un libro di Roberto Calasso su Bazlen), Luciano Foà e Alberto Zevi, con un capitale versato in larga parte da Roberto Olivetti, figlio di Adriano. Fra i collaboratori storici anche Giorgio Colli, il curatore delle Opere complete di Friedrich Nietzsche (8 volumi per 22 tomi).
Oltre che nell’indagine storiografica di Anna Ferrando –Adelphi. Le origini di una casa editrice (1938-1994) uscita per Carocci editore nel 2023- la ricetta Adelphi viene spiegata molto bene da Gian Arturo Ferrari in Storia confidenziale dell’editoria italiana (Marsilio, 2022): Luciano Foà e Roberto Calasso (i due Adelphi, dopo la morte di Bazlen nel 1965) “Non fanno una casa editrice, sono una, quella, casa editrice. (…) Restano inviolabili i precetti, pochi, fondamentali. I libri devono essere belli, belli fisicamente, seduttivi. Riguardo al contenuto devono rimanere, come voleva Bazlen, libri unici, cioè imprevedibili, irriducibili a categorie prestabilite, quindi stupefacenti. Ogni volta il possibile lettore dev’essere preso di sorpresa. (…) Devono essere, oltre che belli e buoni, ben fatti. Meglio, inappuntabili. Cura estrema delle traduzioni e della redazione, risvolti mirati al senso del libro (li scrive quasi sempre Calasso), inquadramento dell’opera non didatticamente all’inizio (l’introduzione), ma come voce di commento alla fine (nascita della postfazione). (…) Non ci si limita, però, alle riscoperte, c’è spazio anche per le vere e proprie scoperte. Di autori defunti, periferici o rifiutati, autentiche rivelazioni. Nel ’79 Il giorno del giudizio di Salvatore Satta, uno dei più grandi romanzi (spietatamente nichilista) del Novecento italiano. E nell’arco dei Settanta ben sei opere del sempre e da tutti scansato Guido Morselli, per questo suicida nel ’73. Da Roma senza papa a Un dramma borghese, passando nel ’76 per il cruciale Il comunista. La bussola adelphiana si sta trasformando nella bacchetta del rabdomante”.
Si può dire, credo senza troppo azzardo, che Adelphi è stata una delle più innovative case editrici italiane del Dopoguerra. Anche dopo la morte (2021) di Roberto Calasso, che l’ha guidata dal 1971, quando ne divenne direttore editoriale, l’Adelphi ha mantenuto quell’aura elegante e intellettuale di casa editrice per intenditori, ma non snobisticamente esclusiva, o per pochi adepti: lo dimostra il fatto che, con Il grande sonno (2019), ha avviato la pubblicazione delle opere di Raymond Chandler (1888-1959), l’inventore di Philip Marlowe, forse il detective più famoso nella letteratura del Novecento dopo, o insieme con, Hercule Poirot, con il quale condivide anche il successo cinematografico: Marlowe è immortalato sul grande schermo da attori come Humphrey Bogart e Robert Mitchum. Personalmente ho cominciato a leggere Chandler partendo da Addio, mia amata, nell’edizione Adelphi del 2020 (questo romanzo era apparso per la prima volta nel 1940, l’anno successivo l’esordio narrativo di Chandler, nel 1939, con Il grande sonno). Nel 2024 è uscito Finestra sul vuoto, già pubblicato nel 1990 da Feltrinelli che ha pubblicato nella UE (Universale economica) tutti i romanzi di Chandler. Sulla Los Angeles di Chandler la casa editrice La Vita beata ha appena pubblicato un libro di Massimo Moscati sui luoghi di LA descritti dal giallista americano. E anche questa sarà un’occasione interessante per entrare nel mondo di Chandler. Che non aveva bisogno di riscoperte (è sempre un classico), ma il prestigio di Adelphi rende per così dire novità i libri di autori tutt’altro che nuovi e sconosciuti. Insomma, sembra che Adelphi abbia il potere di far diventare adelphiano qualunque autore pubblichi o ripubblichi.
Lo conferma Gian Arturo Ferrari nella sua Storia confidenziale dell’editoria italiana (Marsilio, 2022). “Esemplare è il caso di Joseph Roth. Che non è certo una novità nel panorama editoriale italiano. Giobbe era stato pubblicato nel ’32 da Treves, La Marcia di Radetzky nel ’34 da Bemporad, Tarabas e Il peso falso da Mondadori, nella prestigiosa Medusa, rispettivamente nel ’35 e nel ’46, molte altre opere da Vallecchi negli anni Sessanta, per non dire di Longanesi. Ma è solo nel ’74, con l’edizione Adelphi di La Cripta dei cappuccini, seguita anno dopo anno da tutta l’oceanica produzione di Roth, che, complici i saggi einaudiani Il mito asburgico e Lontano da dove di Claudio Magris, quest’ultimo dedicato specificamente a Roth, la reale statura dell’autore inizia a essere compresa. E concretamente, in crudi termini di vendite, apprezzata”.
Adelphi e il successo di Cioran in Italia
L’Adelphi di Roberto Calasso ha avuto il merito di far conoscere Emil Cioran (1911-1995) in Italia: negli anni Ottanta Novanta e primi Duemila sono uscite in italiano quasi tutte le sue opere più importanti, da Al culmine della disperazione, il primo libro di Cioran, che scrisse a 21-22 anni, pubblicato quand’era ancora in Romania, fino ai Quaderni, usciti nel 2001 e che non possono mancare nella biblioteca di uno scettico disincantato, di uno il cui destino è “diventare un eroe del vuoto interiore” (Finestra sul Nulla, Adelphi, 2022). Dopo l’uscita dei Quaderni, uno zibaldone costituito da appunti, riflessioni, aforismi, messi assieme dalla compagna di una vita, Simone Boué, anche altre case editrici hanno proseguito nella pubblicazione di lavori su Cioran indispensabili per conoscere meglio la biografia e il pensiero dello scrittore e Privatdenker che lasciò la Romania per vivere a Parigi, nel 1937. Soprattutto la sua vita, perché tutti i libri di Cioran usciti per Adelphi, compreso il più recente Finestra sul Nulla, non prevedono, in testa o in coda, volutamente, introduzioni o postfazioni. Ed è infatti proprio dalle interviste, pubblicate da Adelphi (Un apolide metafisico) e di recente dalla Scuola di Pitagora (Ultimatum all’esistenza, interviste 1949-1994 a cura di Antonio di Gennaro) che viene fuori un ritratto più completo della vita di Cioran. Da integrare all’immancabile biografia di Gabriel Liiceanu (Cioran 2018), la cui edizione italiana è curata da Antonio di Gennaro.
Un’altra (felice) riscoperta
Ma torniamo alla narrativa. E che narrativa! Un bel colpo di Adelphi è la riproposta delle opere di Isaac Bashevis Singer (1904-1991), premio Nobel per la letteratura nel 1978, uno dei più grandi narratori del ventesimo secolo, scrittore in yiddish (traduceva poi i suoi romanzi in inglese). Da non confondere con Israel J. Singer, il fratello maggiore di Bashevis, anche lui grande scrittore (autore fra l’altro de La famiglia Karnowski). La pubblicazione in corso delle opere di Bashevis Singer per i tipi di Adelphi mi ha dato la possibilità di continuare a leggere un grandissimo scrittore -forse uno dei più grandi narratori americani del Novecento- che scoprii qualche anno fa leggendo l’edizione Tea-Longanesi (Tea Due, 1992) di Shosha. Ho letto i successivi romanzi di Bashevis Singer (nell’ordine Nemici, Keyla la rossa, Il mago di Lublino, Il ciarlatano, Ombre sullo Hudson, Un amico di Kafka, Max e Flora) in edizione Adelphi.
Consiglio vivamente a tutti la lettura di Isaac B. Singer. Se è vero quello che scriveva Giorgio Manganelli -altro scrittore adelphiano- che ci sono scrittori capaci di farti cambiare umore, e -aggiungo io- di riscoprire la bellezza di una narrativa ben ritmata, che unisce profondità, leggerezza, umorismo, colpi di scena, bene questa sentenza trova conferma nella narrativa di Bashevis Singer. Partite dalla trilogia americana (Nemici, Il ciarlatano, Ombre sullo Hudson). Herman Broder, protagonista di Nemici (sottotitolo: Una storia d’amore) si trova a dover gestire tre relazioni sentimentali contemporaneamente: con Jadwiga, la contadina polacca che lo ha salvato dalla deportazione nascondendolo per tre anni in un fienile, e che lui ha portato con sé a New York; con Masha, la donna scampata ai lager, e con Tamara che credeva morta e che gli riappare all’improvviso. Il tutto complicato dalla fatica del vivere quotidiano, dove il lettore segue Hermann nei suoi giri spesso sconclusionati dal Bronx a Coney Island, e da Coney Island a Manhattan, e nella ricerca di una soluzione per tirarsi fuori da quella complicata ragnatela di rapporti, e soprattutto dal groviglio di un’esistenza fatta di sotterfugi, bugie, e fughe.
Nei romanzi di Bashevis Singer i personaggi sono spesso un mix affascinante di saggezza e cinismo, passione carnale e sensuale per la vita e dubbi amletici sulla religione e su Dio; cialtroni e filosofi, perditempo-vagabondi e nello stesso intelligenti e pieni di ideali; la normalità borghese si confonde con il mondo criminale (ladri, imbroglioni, trafficanti, macrò), l’appetito sessuale non è meno forte dei sensi di colpa, delle riflessioni sulla spiritualità mancata o sperata.
Il protagonista de Il Ciarlatano, Hertz Minsker, si barcamena, vive alle spalle degli amici ricchi o delle donne che seduce. Minsker non può fare a meno delle donne, in tutti i sensi: le avventure erotiche sono “il suo oppio, le sue carte, il suo whisky”. Minsker è pure un erudito, è stato in rapporti con Freud, può recitare poesie in greco e in latino, conosce il Talmud, e lavora da quarant’anni a un libro del quale non ha finito nemmeno il primo capitolo. Minsker è un tipico personaggio di Bashevis Singer che sembra uscito da una commedia alla Lubitsch, con mariti traditi, amanti, sedute spiritiche fasulle, crisi di nervi, mercanti di quadri falsi, teorie edonistico-cabalistiche, come quella rievocata da un altro grande personaggio della narrativa di Singer, Hermann Broder: “Hermann fantasticava su una nuova metafisica, o addirittura una nuova religione, in cui tutto ruotava intorno all’attrazione fra i sessi. In principio fu il desiderio. Il motore divino, al pari di quello umano, è il desiderio. La forza di gravità, la luce, il magnetismo, il pensiero sono aspetti della stessa bramosia universale. La sofferenza, il vuoto, le tenebre non sono null’altro che interruzioni di un orgasmo cosmico che si fa sempre più intenso…”
Ed ecco un altro bel passaggio tratto da Max e Flora, una delle pubblicazioni più recenti (2023):“per chi scrive queste righe è molto più facile credere nell’esistenza di un Creatore, in uno scopo della Creazione, nell’immortalità dell’anima, nella ricompensa e nel castigo, piuttosto che pensare che l’Universo, con le sue innumerevoli stelle, sia sorto per caso, un calamaio che si rovescia e produce un capolavoro, una sorta di nebbia da cui emergono un Copernico, uno Spinoza, un Maimonide, e tutti gli altri miracoli che si producono ogni giorno in cielo, in terra e in mare. Di tutti i miracoli, il più grande è l’uomo, con il suo amore, il suo odio, la sua saggezza, la sua stupidità, le sue terribili sofferenze, le sue speranze e le sue illusioni. È tempo di un esame di coscienza, i Giorni del Giudizio servono a questo”.
Possiamo ben concludere questo articolo con una frase di Henry Miller posta a esergo di Max e Flora nel catalogo Adelphi: “Che mondo meraviglioso, un mondo terribile e splendido, quello di Isaac Bashevis Singer, Dio lo benedica!”. By the way, Adelphi ha pubblicato tre libri non secondari nella bibliografia di Henry Miller: I libri nella mia vita, Giorni tranquilli a Clichy e Il Colosso di Marussi. Tre libri che vi consiglio di leggere, se non l’avete ancora fatto.
Ma fra i titoli più ricercati e originali, curiosi e affascinanti, della mia libreria ci sono anche Storie varie di Eliano (un erudito vissuto a Roma, tra il II e il III secolo d.C.), Vita di Apollonio di Tiana (un santone dell’antichità) di Filostrato, Le Dionisiache di Nonno di Panopoli, l’ultimo grande poema dell’antichità classica; e La Biblioteca di Apollodoro, uno delle più famose compilazioni di mitologia classica: sono libri Adelphi, una casa editrice che unisce il gusto e il fascino dell’antico alle chicche della letteratura moderna e contemporanea. Non abbiamo detto che Roberto Calasso, oltre che editore, era scrittore, cioè uno degli autori di punta e più prolifici (27 titoli) del catalogo della sua casa editrice. Una felice anomalia. Ma qui si aprirebbe un’altra parentesi o un altro articolo.
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