Prologo: Walter O’Neil guarda l’orfana Martha uccidere la sua malvagia zia. Durante la sua testimonianza, Martha mente e attribuisce l’omicidio a un ladro e il debole Walter conferma questa versione dei fatti. La vicenda fa poi un salto di quasi vent’anni e segue il ritorno a casa di Sam Masterson (Van Heflin). Sam era l’amico d’infanzia di Martha e avrebbero dovuto scappare insieme la notte stessa in cui Martha aveva ucciso a sangue freddo sua zia. Divenuto un buono a nulla che vaga di città in città, Sam risveglia i desideri sepolti di Martha (Barbara Stanwyck) diventata una spietata industriale in grado di far eleggere a pubblico ministero il debole marito Walter (Kirk Douglas) con la tendenza a inzupparsi di whisky.

Sì perché nel frattempo, come apprendiamo nel corso del film, i due giovani complici si sono sposati: il padre di Walter, un appassionato avvocato, capendo che Martha, liberata dalla zia, avrebbe ereditato la fortuna di suo padre, usa false testimonianze per condannare un uomo innocente, che viene giustiziato. Ma questa unione, un misto di odio e senso di colpa, si trasforma in un triangolo instabile per la presenza sempre più incombente di Sam: quando quest’ultimo scopre il loro segreto, ai due non resta che una via d’uscita…

Disponibile gratuitamente su YouTube, Lo strano amore di Martha Ivers (1946) è un piccolo gioiello da recuperare. La lunga apertura del film è probabilmente la parte più riuscita. In una grande casa borghese, la giovane Martha Ivers nutre un odio sconfinato per la sua ricca zia (interpretata dalla malvagia Judith Anderson, la famosa signora Danvers di Rebecca). Sfrontata, si oppone costantemente all’autoritarismo del suo tutore, al punto da ucciderla più o meno accidentalmente sulle scale di casa. Walter O’Neil, figlio dell’esattore delle tasse e testimone della scena, diventa complice di un delitto da insabbiare. Fin da questi primi minuti il ​​tono è deciso: su uno sfondo di odio mostruoso venato di forte senso di colpa, Lewis Milestone moltiplica le scene girate di notte e gioca con le ombre per trasmettere meglio il disordine morboso in cui sono sprofondati i due adolescenti. Non siamo sorpresi né dalla ricchezza della sceneggiatura, opera del futuro regista de Lo spaccone Robert Rossen, né dalla tensione della regia, perché l’assistente di Milestone altri non era che un novellino di nome Robert Aldrich!

Con un’attenzione che alcuni potrebbero trovare anche un po’ accademica, Lewis Milestone moltiplica i numerosi riferimenti al film noir che regna sovrano a Hollywood dall’inizio degli anni Quaranta, compreso l’utilizzo della musica scritta da Miklos Rozsa (un buon esempio convenzionale dell’uso del leitmotiv nei film di Hollywood). Eppure questa caratteristica di Lo strano amore di Martha Ivers è solo apparente perché tutto il film sembra giocare con lo spettatore al gatto col topo, proponendo personaggi caratterizzati da uno squilibrio emotivo e relazioni sostenute dalla paura, dal senso di colpa o dalla crudeltà, senza dimenticare un eccessivo romanticismo.

Nonostante la marcata classica configurazione (un delitto, un colpevole, un complice ed un elemento di disturbo), è presente infatti una sorta di stravolgimento del consueto schema che lascia la strana sensazione che nessuno dei personaggi sia pienamente al suo posto. Innanzitutto a condurre il gioco è una donna, con la divina Barbara Stanwyck a tratteggiare con maestria una puttana di lusso, che compone senza scrupoli una moralità modulabile a seconda dei suoi interessi. Un personaggio pericoloso che nasconde dietro la sua rigidità una morbosa attitudine a riaccendere le passioni represse. Masterson, interpretato da Heflin, funge da detonatore di questa violenza e il suo arrivo provoca sconvolgimenti nella vita quotidiana della città. Per la prima volta sullo schermo nel ruolo di un uomo dalla debole volontà, così lontano dai caratteri interpretati in seguito, Douglas incarna una certa tendenza del cinema noir a trasformare persone malate e fisicamente indifese in personaggi dotati di grande potere sociale. Da notare come la presenza di Lizabeth Scott, vero clone di Lauren Bacall, componga con Masterson la coppia di antagonisti-avventurieri che, sebbene posti ai margini di quella società dominata invece dal duo Stanwyck-Douglas, sono i veri depositari di un’etica.  

La solitudine morale contamina tutto questo film disincantato, assolutamente da recuperare. Senza necessariamente raggiungere la maestria di Fritz Lang che in tutta la sua opera non ha mai smesso di interessarsi alla questione della colpa, Lewis Milestone consegna tuttavia un’opera ambigua in cui sono definitivamente al centro della scena amarezze e fallimenti che niente hanno a che vedere con la vita che abbiamo sempre sognato.

Autore

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Trending