Molto forte è la tentazione di rileggere Pinocchio di Collodi come una metafora della robotica antropomorfa che aspira a diventare umana. Un bravo falegname, Geppetto, vedovo e solo, crea un burattino, che egli ricava da un ciocco e su cui proietta le sue aspirazioni di padre. E il fantolino di legno, vivente e parlante, diverrà un bimbo in carne e ossa mercé l’intervento magico (la Fata Turchina). Pinocchio potrebbe essere letto come una versione fiabesca moderna del mito di Pigmalione con il quale ha più attinenza rispetto alle leggende del Golem. Anche Pigmalione, come Geppetto, lavora e modella -sebbene non da artigiano, ma da artista sopraffino – un materiale informe: crea dall’avorio (ma potrebbe essere benissimo anche il marmo) una donna così bella e verosimile che le manca solo la parola. Gli dei daranno la vita a quella statua, esaudendo il desiderio di Pigmalione, così come la fatina trasformerà Pinocchio da piccolo automa di legno in un vero bambino di carne e ossa.
Ma che cos’è un Golem? Lascio la parola ad Angelo Maria Ripellino che al Golem dedica bellissime pagine nel suo Praga magica. Il Golem è “un uomo artificiale, d’argilla. Come l’attendente Švejk, il servo Golem è un personaggio-chiave di Praga magica. Il vocabolo ebraico «golem» (in jiddish «gójlem»), che si incontra nel Salmo 139, indica un rudimento, un germoglio, un embrione o piuttosto, come Ceronetti traduce, un «grumo informe» (…). Il concetto di «golem» implica dunque qualcosa di incompiuto, di ruvido, di embrionale. La creazione del Golem, questo spasso rabbinico, ricalca il mito di Adamo, l’unico uomo che non uscì da ventre materno, ma fu impastato con la polvere dallo stesso Elohim (Genesi 2.7)”. Come il Golem, anche i robot “non sono viluppi di molle e stantuffi, come gli automi da baraccone, ma impasti di una sostanza chimica che si comporta come il protoplasma, di un «glutine organico», a detta di Joseph Čapek – sostanza scoperta dallo scienziato-filosofo Rossum («rozum»: ragione), un «vecchio stravagante», un «pazzo fantastico» della stirpe dei folli sapienti prosperati dall’espressionismo”. Qui Ripellino sta parlando del dramma R.U.R. (Rossum’s Universal Robots, 1920) di Karel Čapek cui si deve l’invenzione del moderno robot, inteso come androide, operaio artificiale: vocabolo ceco, che Karel Čapek (o meglio, il succitato fratello, Joseph, che glielo suggerì) derivò da «robota» ossia «corvée» «sfacchinata». Robota rimanda anche al russo «rabòtat’» lavorare. Il robot nella sua prima e più genuina accezione è uno schiavo. Anche noi siamo, in senso lato, dei robot: schiavi della routine, del lavoro, schiavi dell’esistenza.
Il Golem poteva essere acceso o spento attraverso un’operazione linguistica: sulla fronte recava scritta la parola “emeth” che in ebraico vuol dire verità. Per spegnere il Golem si cancellava la “e” iniziale: “meth”, morte. E il mito del Golem rappresenta il primo antecedente moderno al Frankenstein di Mary Shelley (1818) e a L’uomo della sabbia di E.T.A. Hoffmann, un racconto del 1815, dove si immagina l’amore tra un uomo e una ragazza, Olimpia, che si rivelerà essere una automa. Nella Storia filosofica dei secoli futuri (1860) di Ippolito Nievo, in particolare il capitolo dedicato alla “creazione e moltiplicazione degli omuncoli (2066-2140), Nievo anticipa il tema della creazione di un uomo artificiale, del suo sfruttamento nel mercato del lavoro a fini speculativi, del numero sempre crescente di queste creature con il conseguente scoppio di una guerra distruttiva.
Breve digressione sull’androide
Il termine “androide” fu coniato da Sant’Alberto Magno, il grande filosofo del Medioevo, maestro di San Tommaso, per indicare un essere vivente simile all’uomo, creato per via alchemica. Lo spirito di Alberto Magno viene presentato a Dante nel Paradiso (cielo quarto, dei sapienti) proprio dal suo allievo Tommaso d’Aquino (“Questi che m’è a destra più vicino,/frate e maestro fummi, ed esso Alberto/è di Cologna, e io Thomàs d’Aquino” X, 97-99). Ho citato Dante non a caso: il simbolico quanto misterioso Veglio di Creta che Virgilio descrive a Dante nell’Inferno (canto XIV), un uomo di proporzioni gigantesche, fatto di diversi materiali (d’oro la testa, argento le braccia e il torace, rame fino all’inguine, e poi tutto ferro salvo che il piede destro che è di terra cotta), potrebbe essere interpretato (non ci risulta sia stato fatto) come un richiamo agli automi del mito classico: la notizia sarebbe arrivata a Dante tramite Plinio il Vecchio e Sant’Agostino, secondo la quale a Creta avrebbero trovato, nascosto sotto una montagna, squarciatasi per un terremoto, un uomo ritto in piedi e alto 46 cubiti, cioè 23-24 metri. Un gigante come Golia. Ma torniamo a Sant’Alberto. Leggenda vuole che Alberto avrebbe formato un androide di vari materiali (metallo, legno, cera, vetro), dotato di parola, il cui scopo era quello, tipico anche dei robot domestici di oggi, di servire nel monastero di Colonia.
Nel già citato I robot universali di Rossum (1920) che in lingua ceca ha il titolo ultrafuturistico di R.U.R. – Rossumovi univerzàlnì roboti, Karel Çapek immagina un contesto più simile a quella che oggi per noi è l’ingegneria genetica piuttosto che la robotica. “L’anatra di ottone e il sonatore di flauto di Vaucanson, il turco scacchista del barone von Kempelen, tutti gli idoli orologeschi, gli automi farciti di rulli e ingranaggi, le teste parlanti, i manichini di cera animati dei «mécaniciens d’autrefois»1 non sono che dilettosi e intarlati pupazzi da fiera, piacevolezze da cantambanchi a confronto coi truci robot escogitati dallo scrittore boemo Karel Čapek nel dramma R.UR.” scrive Ripellino. Gli androidi che compaiono in R.U.R. sono formati interamente da materia organica e vengono assemblati in una fabbrica su un’isola sperduta in mezzo all’Oceano fondata dal dottor Rossum, un epigono del dottor Moreau, scienziato con ambizioni da demiurgo, che ha inventato una sostanza chimica in grado di dar vita alla materia. Sarà, poi, il nipote di Rossum, ingegnere, ad avere la trovata: creare macchine antropomorfe che lavorino al posto degli esseri umani. I risultati? Catastrofici: la società senza lavoro precipita nel vizio e nell’accidia; nascite in caduta numerica; i robot, diventati per un errore di progettazione troppo simili agli uomini, si scocciano della schiavitù loro imposta e si ribellano sterminando i propri creatori.
Sette anni dopo R.U.R. di Karel Čapek, i robot ritornano, nel 1927, sul grande schermo con Metropolis, film profetico di Fritz Lang, ispiratore di alcuni capolavori del cinema di fantascienza degli anni Settanta e Ottanta come Blade Runner e Guerre stellari. Fritz Lang ambienta il film nel 2026, esattamente a cent’anni dall’anno di produzione del lungometraggio. Anche in Metropolis incontriamo uno scienziato pazzo, il professor C.A. Rotwang, che fa rapire la rivoluzionaria Maria (vuole condurre a salvezza gli operai sfruttati nel sottosuolo) per dare al suo robot le sembianze della donna, in modo da poter controllare i malumori degli operai attraverso la predicazione di una falsa Maria. Per mezzo di un congegno basato su onde elettromagnetiche, copia l’esteriorità di Maria e la trasferisce al robot. La Maria-robot viene inviata a Yoshiwara, un postribolo della zona dei divertimenti di Metropolis, esibendosi con tutta la bellezza della Maria-umana alla presenza dell’aristocrazia di Metropolis; il pubblico, tutto maschile, va in visibilio dinanzi. Nella scena la finta Maria appare a cavallo di un mostro che evoca l’Apocalisse di Giovanni.
E arriviamo all’attuale domanda che spicca sulla copertina del nuovo numero di Left (giugno 2024), sotto la foto di un robot di fattezze quasi umane: l’intelligenza artificiale e la ultra-robotica antropomorfa e bionica, ci aiuteranno o saranno usate per eliminare alla radice il problema del lavoro e dei lavoratori? (Anche quelli del terziario e del quartario, per rievocare un termine caro a Luciano Bianciardi). Ma pochi si pongono un’altra domanda, un po’ più romantica: ci si potrà innamorare di una andreide o di una replicante come la deliziosa Rachel in Blade Runner? È probabile di sì, non subito, ma fra qualche decennio. Nel film Lei di Spike Jonze (2013) Theodore Twombly, interpretato da Joaquin Phoenix, acquista un nuovo sistema operativo OS1 basato sull’intelligenza artificiale: interagendo con questo sistema Twombly finisce per innamorarsi della voce d’interfaccia femminile che diventa una fidanzata virtuale, con tanto di sentimenti umani come la gelosia. Situazione già pensatapiù di vent’anni prima in Io e Caterina (1980), di Alberto Sordi. Caterina è infatti un robot tuttofare dalle fattezze muliebri, che finisce per provare sentimenti umani innamorandosi del padrone di casa, l’uomo d’affari Enrico Melotti, interpretato da Sordi. Melotti aveva deciso di acquistare una donna-robot per non avere più problemi nella gestione della casa e della vita quotidiana, e finisce per trovarsi una macchina sentimentale, che lo cerca al telefono e mostra gelosia verso le sue conoscenze femminili. Una storia originale e ibrida che anticipa di molti anni film basati sull’intelligenza artificiale e i gemelli virtuali.
Altra pietra miliare della robotica è la raccolta di racconti Io, Robot di Isaac Asimov vero e proprio padre della fantascienza moderna. In questo libro Asimov descrive le Tre leggi della robotica:
• Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno.
• Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.
• Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge.
Se pensiamo agli androidi, ai robot, ai computer pensanti e alle intelligenze artificiali che hanno maggiormente modellato il nostro vissuto di spettatori e lettori di fantascienza, quasi tutti hanno violato le tre leggi di Asimov. Hal 9000 in 2001: Odissea nello spazio, il super computer di bordo sulla nave Discovery 1, pur di non essere disinserito farebbe fuori l’intero equipaggio della nave spaziale. A parte la deliziosa Rachel di Blade Runner, gli altri tre replicanti devono essere eliminati da un cacciatore specializzato (interpretato da Harrison Ford) che salverà, però, Rachel. L’amore tra un uomo e una andreide (o una replicante) è già anticipato dal romanzo Eva futura di Villiers de l’Isle-Adams. Un nobile inglese, lord Ewald, è innamorato di un’attricetta americana, Alicia Clary, ma la stupidità di questa donna, in sconcertante contrasto con la sua bellezza, lo tormenta fino a spingerlo sull’orlo del suicidio. Lord Ewald vorrebbe una compagna altrettanto bella, ma più intelligente e sensibile. Così, si rivolge a un amico scienziato, le cui ricerche ha finanziato anni prima e che adesso è un punto di riferimento mondiale: Thomas Edison. Che gli assicura di avere la soluzione:lo accompagna nel suo laboratorio, a Menlo Park. Nei sotterranei del padiglione, Edison ha costruito, grazie alle sue arti elettriche, un giardino dell’Eden artificiale, nel quale vive, come una Eva altrettanto artificiale, Hadaly, una «andreide». L’idea dello scienziato è di trasferire la venustà di Alicia Clary su Hadaly, alla quale ha già instillato l’intelligenza e la sensibilità di cui la donna vera, chiamiamola così, difetta. Un libro da leggere e chiudo l’articolo con questa citazione dal romanzo: “Milord”, rispose gravemente Edison, “ve lo giuro: mettendola accanto al suo modello e ascoltandole entrambe, il rischio è che sia quella in carne e ossa a sembrarvi la bambola”.
1 espressione di Villiers de l’Isle-Adam in Eva futura (op. cit.)
SUGGERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Mary Shelley, Frankenstein, Giunti editore, 2024
Karel Čapek, R.U.R Rossum’s Universal Robots, a cura di Alessandro Catalano, Marsilio editori, 2022
Angelo Maria Ripellino, Praga magica, Einaudi, 2014
Gustav Meyrink, Il Golem, Bompiani, 2019
Villiers de l’Isle-Adam, Eva futura, Marsilio, 2021
Isaac Asimov, Io, Robot, Mondadori, 2021
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