Un viaggio iniziatico quello di George (John Barrymore Jr) che si perderà fino alla fine della notte. Possono sorprendere i molteplici (più o meno “significativi”) incontri che il giovane farà durante la sua ricerca: realtà o sogno (una domanda che incombe fino alla fine, il ragazzo “esprime un desiderio” all’inizio del film…)? Geoge perde l’orientamento, a volte sembra essere guidato solo dalla sua rabbia… Viene sbattuto qua e là, il più delle volte sembra incapace di analizzare la propria situazione, solo una vocina che gli grida “vendetta” sembra farlo sobbalzare… Perché George, nel giorno del suo diciassettesimo compleanno, vede crollare il suo mondo: ha perso la madre all’età di un anno, vive sotto lo sguardo protettivo del padre. Se John è deluso dal fatto che quest’ultimo non esca più con una certa Frances (con la quale John immaginava che si risposasse), cadrà ancora più nella tristezza quando un notista sportivo che ammira apparirà nel caffè di suo padre: il giornalista (Howard St. John nei panni di Al Judge (un nome che è già un bel programma), un personaggio ambiguo e spaventoso che si appoggia a un bastone, chiede al padre di togliersi la canottiera e di inginocchiarsi prima di sferrare una pioggia di colpi con il bastone su di lui. Il padre obbedisce senza battere ciglio, il figlio viene colpito nella carne… Avrà una sola ossessione durante questa notte: vendicare il genitore – ma le cose che a volte sembrano scontate non sono mai così semplicistiche (George è ancora troppo ingenuo, odora ancora di latte).

Il ragazzo, tornato nella sua stanza, decide di vestirsi da adulto, prendere in prestito la pistola del padre e andare a un incontro di boxe dove è sicuro di incontrare Al Judge; l’inizio di una lunghissima notte. Incontra un professore decadente che lo tracina nella sua dissolutezza da ubriaco, un piccolo delinquente che lo inganna facilmente, una giovane donna che cercherà di “proteggerlo” – da se stesso (avrà persino diritto al suo primo bacio – senza che questo gli tolga l’idea di vendetta dalla testa)… George, nonostante la sua giovane età, è ultra-motivato a trovare Judge, ma il destino fa sì che a volte si trovi in situazioni su cui non ha assolutamente alcun controllo. Surreale la scena in cui tiene un bambino in un braccio, con la pistola nell’altra mano; curiosa sequenza anche quando incontra una cantante nera e le dice quanto la trovi bella… prima di lasciarsi scappare stupidamente un “peccato che tu sia…”: si pente subito, vergognandosi di se stesso, se ne va a testa bassa, il sorriso della cantante lascia il posto a una maschera divorata dal dolore dopo questo riflesso di ordinario razzismo (Losey vuole mostrarci che questo giovanotto pieno di buona volontà fa ancora fatica a liberarsi dei preconcetti del suo tempo. Al fine George si ritroverà faccia a faccia Al Judge (il giudice?), ma non potrà comprender davvero la radice del problema fino a quando suo padre non gli darà finalmente tutte le chiavi.

Un giovane eroe sul piede di guerra che fatica a mantenere il sangue freddo (la scena fragorosa nel locale dove si sovrappongono le immagini del batterista nero e di Al Judge che picchia il padre) e che scopre che dietro le apparenze nulla è mai così chiaro come pensiamo. Un viaggio iniziatico curioso, a tratti un po’ confuso (lo spettatore rischia di perdersi un po’ per strada, come accade a George), ma necessariamente formativo per questo giovane (su cui Losey moltiplica i primi piani quasi a voler mostrare meglio le emozioni estreme che prova), che scopre il mondo notturno degli anni Cinquanta e le sue turpitudini. Una ricerca originale di un giovane che subisce la sua trasformazione mista in maniera traumatica, l’ultimo Losey negli Stati Uniti prima della sua partenza per l’Europa a causa del maccartismo.

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