Cineasta di origine rumena fuggito dalla dittatura di Ceausescu, Radu Mihaileanu ha scelto la Francia per dare libero sfogo alla sua arte. Tra le sue opere più celebri, Train de vie (1998) è una commedia drammatica che ha l’aria di una favola, gioiosa e piena di sensibilità, su un tema tragico come la Shoah. Un inno alla vita e soprattutto alla diversità, a volte demenziale, a volte assurdo ma sempre pieno di giubilante umorismo ebraico.

Una foto del regista

1941. In un non meglio imprecisato shtetl dell’Europa Orientale il matto del villaggio Shlomo allerta i suoi compaesani di aver avuto una visione in cui gli Ebrei nei territori circostanti venivano prelevati a forza dai militari nazisti. La tradizione ebraica presta grande peso a questo genere di premonizioni, così la comunità decide di mettersi in viaggio verso la Terra Promessa per scappare al tragico destino che appare inevitabile. Ma come fare? Anche in questo caso è Shlomo a trovare la soluzione, proponendo di inscenare una finta deportazione con tanto di ebrei travestiti da soldati e comandanti tedeschi… 

Una storia del tutto folle e grottesca che paradossalmente, proprio grazie al suo impianto favolistico e alla grande ironia, diventa verosimile: lo spettatore finisce dal trovarsi quasi sorpreso dal finale del film… Train de vie è un’epopea che gioca in modo molto raffinato su ciò che è incredibile. In fin dei conti Mihaileanu sembra chiedersi retoricamente perché il gioco che mette in scena con grande talento non dovrebbe essere possibile se lo è stato la Shoah? L’ultima inquadratura risponde a questa domanda, perché la storia non è mai una favola a lieto fine. 

È proprio questo il bello di Train de vie, essere riuscito a mettere in scena una serie di situazioni, una più comica dell’altra, nello scenario tragico per antonomasia perché non è facile affrontare un evento come la shoah con ironia. Ma Mihaileanu qui si fa erede e portatore della grande tradizione dell’umorismo ebraico e riesce a presentare questo periodo oscuro della nostra storia con così tanta leggerezza da realizzare un vero e proprio tour de force che pochi registi si azzarderebbero a portare sullo schermo sotto forma di commedia.

L’aspetto comico è esaltato anche dai caratteri di ciascun personaggio, ognuno con qualcosa di speciale che lo distingue dagli altri. E questo aggiunge ancora più sapore alla storia: tra l’euforico macchinista della locomotiva, il finto ufficiale nazista che non sa più a quale comunità appartiene (“bisogna meritarsi di essere tedesco”), l’attivista comunista che cerca di unire tutti alla sua causa, il rabbino fatalista e ovviamente Shlomo, il pazzo che forse poi non è poi così pazzo, impossibile annoiarsi!

Premiato in numerosi festival internazionali (Sundance Festival, Sao Paulo Film Festival, Festival del cinema di Venezia, ecc.), per questa sua particolarità Train de vie merita di avere il suo posto tra La scelta di Sophie e Il pianista, tra Schindler’s List e Arrivederci, ragazzi e tutti gli altri grandi film sulla shoah.



         

                    

                    
                    

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