Una voce fuori campo descrive gli ultimi momenti di un epico combattimento tra Randy “The Ram” Robinson e il suo acerrimo rivale l’Ayatollah. Sono gli anni d’oro del wrestling contraddistinti dal boom mondiale di questa disciplina a metà tra lo sport e l’intrattenimento. Terminata la cronaca che accompagna i titoli di testa, il film The wrestler ci mostra la squallida quotidianità che “The Ram” (Mickey Rourke) sta vivendo a 20 anni dal suo straordinario successo. L’ex star è caduta in disgrazia e tira avanti esibendosi nelle palestre dei licei o in piccole federazioni locali. Non è solo la sua vita professionale a essere fallimentare: l’Ariete si è separato dalla moglie, non riesce a costruire un rapporto con la figlia adolescente Stephanie (Evan Rachel Wood) e quando deve anche rinunciare all’adrenalina del combattimento, a causa di un infarto dopo un match particolarmente violento, la vita sembra giunta al capolinea.
Randy però non si arrende e prova a ripartire. Lascia a malincuore il wrestling (e il suo sottobosco di pasticche e droghe varie), trova lavoro in un supermercato, tenta di riallacciare i rapporti con Stephanie e perfino di costruire una relazione con una lap-dancer non più giovanissima (Marisa Tomei). Per un breve periodo le cose sembrano funzionare e a Randy arriva perfino la proposta di una rivincita con il suo storico rivale l’Ayatollah. Nonostante la ghiotta occasione, “The Ram” deve rinunciare per proteggere la sua salute. Non c’è motivo di rischiare, almeno finché le cose sembrano mettersi per il verso giusto…
Che Darren Aronofsky avesse una particolare predilezione per opere costruite quasi ossessivamente intorno al destino del protagonista lo si era capito fin dagli esordi, quando il regista newyorchese girò π – Il teorema del delirio, e verrà confermata anche da film come Il cigno nero (2010), Noah (2014) e The Whale (2022). Ma è con The Wrestler (2008) che questa vocazione di Aronofsky si esprime nel modo migliore, raggiungendo i massimi in termini di espressività ed efficacia narrativa. Premiato con il Leone d’Oro al Festival del cinema di Venezia, The Wrestler è un’immersione nello spirito profondo dell’America – con la sua estetica trash e il suo amore per lo spettacolo – ma è soprattutto un film capace di commuovere e che riflette sul destino e su come le scelte individuali possano contribuire solo in parte a indirizzarlo e determinarlo.
Doveva conoscere bene l’argomento Mickey Rourke, che offre qui una straordinaria interpretazione premiata con il Golden Globe e il Premio BAFTA ma sacrificata dall’Academy sull’altarino del politicamente corretto che ha consegnato la statuetta per il miglior attore a Sean Penn per Milk. Con The Wrestler l’attore ritorna ai fasti degli anni Ottanta, che l’hanno visto assoluto protagonista grazie a film autoriali come Rusty il selvaggio, L’anno del dragone o Angel Heart, a cult come 9 settimane e 1/2 o a piccoli gioielli come Una preghiera per morire o il remake Ore disperate.
È un fatto che la storia del film si sovrappone a quella dell’attore e perfino la colonna sonora lo conferma. Il brano The Wrestler è stato appositamente scritto da Bruce Springsteen, amico personale di Rourke, per evidenziare queste analogie e Sweet Child o’ Mine dei Guns N’ Roses introduce l’arrivo di “The Ram” sul ring così come accadeva per Rourke quando si esibiva negli anni Novanta come lottatore e pugile.
Come il suo personaggio, Rourke ha conosciuto il successo e il declino, gli eccessi e la solitudine. Quando sul finire degli anni Ottanta l’attore inizia a rifiutare parti di assoluto rilievo per inseguire gli abusi di una vita sregolata in pochi anni si fa terra bruciata intorno e decide così di ritornare al pugilato per recuperare una disciplina e (come dichiarerà in seguito) “il rispetto di sé”. Il rientro è lento e ancora più faticosa la risalita della china. Da metà degli anni Novanta a metà Duemila solo piccole parti o ruoli irrilevanti, fino a Sin City (2005). Ma è con il film di Aronofsky che Rourke ha l’occasione per ricordare al pubblico di tutto il mondo di cosa è capace.
Il suo corpo stravolto dagli interventi di chirurgia plastica – dagli esiti evidentemente fallimentari ai limiti del grottesco – realizzati per mascherare il naso rotto, i denti spezzati e gli zigomi fratturati incarna una via crucis su cui percorrere il calvario di un’esistenza tormentata. Quando Randy mostra le sue ferite alla bravissima Marisa Tomei per dimostrarle che durante gli incontri si combatte per davvero è Mickey Rourke a rivolgersi agli spettatori e sembra dire loro con la sua voce arrochita ben doppiata da Francesco Pannofino “hey, ragazzi, se volete combattere nello show-biz dovete prepararvi anche a questo”.
Con il senno di poi è incredibile come la produzione abbia potuto inizialmente scegliere Nicholas Cage (che poi abbandonerà il progetto). Nel discorso che “The Ram”, stanco e affannato, pronuncia davanti al suo pubblico prima del combattimento finale, lo spettatore non sa più chi parli se Randy o Mickey. “Stasera sono particolarmente felice di essere qui. Molte persone mi hanno detto che non avrei più potuto combattere, ma non so fare altro. Se vivi sempre al massimo, e spingi al massimo, e bruci la candela dai due lati, ne paghi il prezzo prima o poi”.
Tutti gli amanti del cinema sanno che a parlare è il grande Mickey Rourke.