Ho incontrato “Les amis”1 per caso, una decina di anni fa, girovagando in una biblioteca pubblica. Come spesso accade, è grazie all’amore di qualche animo sensibile che le piccole perle del cinema a rischio di oblio riescono a farsi largo nella folla. Anche in questo caso -scopro in vista della stesura del presente articolo- è stato in virtù dell’attenzione posta sull’opera da un editore indipendente, René Chateau, che ‘Les amis’ è stato rieditato in formato digitale ed è potuto sopravvivere fino a noi. La pellicola, uscita nel 1971 a firma del regista (e attore) francese Gérard Blain, aveva altresì ottenuto il Leopardo d’oro a Locarno come migliore opera prima, ed era stata presentata a Cannes fuori concorso. Tali riconoscimenti hanno reso merito, all’epoca, ad un film originale, intelligente e delicatissimo. Il fatto che, ad oggi, questo rimanga semi-sconosciuto è interessante poiché, non tanto lo stile, annoverabile tra le opere della Nouvelle Vague, quanto i contenuti, lo rendono particolarmente vivo e attuale. Non solo, nell’approcciarmi alle (pochissime) recensioni già esistenti sulla pellicola, un ulteriore elemento di riflessione è sorto nell’apprendere la narrazione, a mio avviso limitante, circa il relativo messaggio.
‘Les “amis”’ -le virgolette sono del titolo- mostra al pubblico un legame, non meglio chiarito, tra un sedicenne, Paul, e un uomo maturo, Philippe. Il primo, di umili condizioni, privo di padre e sostanzialmente ignorato dalla madre e dalla sorella, trova conforto morale e materiale sotto l’ala protettrice di Philippe, benestante, sposato e senza figli. Questi finanzia l’educazione artistica di Paul, che si sente portato per il teatro, e ne segue amorevolmente i progressi. Attorno ai due ‘amis’, ruotano una serie di personaggi che contribuiscono a inspessire l’ambiguità, cinematograficamente perseguita, della loro relazione. In particolare, i giovani rampolli dell’alta borghesia francese, cui Paul si finge prossimo grazie al mondo di frequentazioni che Philippe gli apre. Tra questi, già sufficientemente cresciuti (e ricchi) da essere disincantati, un ruolo chiave è coperto da Marie-Laure: dopo avere iniziato Paul all’amore, gli spezzerà placidamente il cuore.
La relazione tra i due ‘amis’, a mio avviso, è magistralmente costruita per non essere spiegata. Lo stile asciutto e l’assenza di dispositivi giudicanti, propri sia delle scelte registiche che delle attitudini dei personaggi, potrebbero far concludere che il film sia un’opera avanguardista che tratta, con discrezione ed eleganza, il tema dell’omosessualità maschile, che pur non viene esplicitata in alcuna scena. Io credo, diversamente, che il merito e il metodo artistico de ‘Les “amis”’ porti a riflettere, più estesamente, sul fatto che le relazioni, nel momento in cui sono dette, vivono una forzatura. Gérard Blain non ci dice nulla di Paul e Philippe. Ci mostra, tuttavia, due persone che si parlano con sincerità, che si confortano, che condividono il tempo, che si interessano l’uno dell’altro, e che, possiamo dire, si amano –e questo, se non altro, perché la parola ‘amico’ e la parola ‘amare’ hanno la medesima radice etimologica. Nel succedersi delle scene del film, mi pare di essere stata condotta per mano ad affermare quel che la relazione tra i due protagonisti forse sembrava, ma infine non era. Attraverso questo procedere il finale ci raggiunge, brillantemente, senza soluzioni di interpretazione. ‘Les “amis”’ mostra, senza dire, non solo perché fa buon cinema, ma anche perché ciò che viene mostrato non ricade propriamente tra i significati delle parole più comuni. Puntuali, a tal proposito, le scene in cui Paul fa esperienza della gelida moglie di Philippe e le battute tra Paul e l’amico Nicolas, sul finire del film:
‘Te lo giuro, Nicolas, avrei preferito perdere mio padre e mia madre, piuttosto che perdere lui.’
Gli ‘amici’, a questo punto, dovranno restare tra virgolette.
Alla luce di tutto ciò, se c’è un elemento di avanguardia nel film di Gérard Blain, questo non sta, forse, nel mostrare un rapporto di (supposta) omosessualità maschile nel 1971, quanto nel dirci qualcosa di molto contemporaneo (poiché sempiterno) sulla natura dei legami affettivi. La triste recente scomparsa di Michela Murgia, la cui intervista su Vanity fair2 ha riecheggiato, tra le altre cose, anche per l’illuminato intervento sulla famiglia queer, mi ha suggerito, con questo termine, la categoria culturale più prossima al concetto che ‘Les “amis” racconta, sebbene anche questi tenda a far ricadere i propri rappresentati nell’impostura3.
Ecco, mostrare il portato indicibilmente e indecentemente sfuggente delle relazioni affettive è l’atto davvero avanguardista di questa pellicola datata oltre cinquant’anni fa. Forse, l’interpretazione del rapporto tra i protagonisti in chiave omosessuale è suggerita dalla necessità di accomodare un sentimento di scomodità che la nostra sensibilità avverte nel guardare ad una vicinanza umana percepita come non diversamente spiegabile. Tuttavia, mi pare, l’indecenza avanguardista propria del film stia, in realtà, nel mostrare come le nostre parole non possono dire la varietà, la forma e, talvolta, l’inesplicabilità, del nostro amore.
1 Il film è francese e non è tradotto in italiano.
2 Luglio 2023.
3 La stessa Michela Murgia, nell’intervista, allude al termine ‘queer’, letteralmente ‘strano’, come da intendersi convenzionalmente. Nell’uso comune, infatti, questo è diventato sinonimo delle situazioni sentimentali rappresentate nelle comunità LGBTQ+, allorquando in realtà questo indica, più estesamente, delle situazioni di relazione affettiva non formalmente ascrivibili a categorie socialmente definite o condivise.
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