Il cadavere giaceva in mezzo alla stanza, fra il tavolo e il letto. Vedendolo dalla porta lo si poteva anche scambiare per un sacco molto gonfio. Era accovacciato su sé stesso e aveva il viso premuto contro il tappeto. «Un bel tappeto», disse l’uomo che stava in mezzo alla stanza a gambe larghe. «Peccato, è completamente rovinato»

(Hans Hellmut Kirst, “La notte dei generali”)

Nato a Kiev, nell’Impero Russo, Anatole Litvak si è imposto – in 45 anni di attività – come un regista cosmopolita che aveva lavorato in Russia, Francia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti, trattando gli argomenti più disparati: romantici, psicologici, storici e, addirittura, comici. Dopo aver diretto un cortometraggio a Leningrado, parte per la Germania per montare (come aiuto) La via senza gioia (Die freudlose Gasse, 1925), di Georg Wilhelm Pabst, con Greta Garbo. In seguito, girerà film in Gran Bretagna e in Francia, fino all’affermazione internazionale con Mayerling (id., 1936) che lo porta nella Hollywood del periodo d’oro dei grandi studios di Hollywood: “In quell’epoca Hollywood era la Mecca, e facevo due o tre film all’anno. Non ricordo il totale”.

Sono film spesso di propaganda antinazista (nel 1942 lavorò non accreditato con Frank Capra per l’Unità cinematografica dei servizi speciali dell’esercito nella produzione dei documentari “Perché combattiamo”, in particolare “La battaglia di Russia”), fino ad alcuni film che sono diventati spesso dei classici: La disperata notte (The Long Night, 1947), Il terrore corre sul filo (Sorry, Wrong Number, 1948), La fossa dei serpenti (The Snake Pit, 1948), Anastasia (id., 1956), Il viaggio (The Journey, 1959), Le piace Brahms? (Goodbye Again, 1961) fino allo straordinario La notte dei generali (The Night of the Generals, 1967).

Sam Spiegel è stato uno dei produttori più venerati e affermati della storia di Hollywood. I suoi successi includono classici come Fronte del porto, La regina d’Africa, Il ponte sul fiume Kwai e Lawrence d’Arabia. La sua attività, anche se non così ampia come quella di altri produttori, è stata notevole nel senso che Spiegel ha pensato in grande quando si è trattato di portare sullo schermo storie che parlassero della condizione umana. Dopo la trionfale uscita di Lawrence d’Arabia nel 1962, Spiegel non produsse altri film per quattro anni. Quando lo fece, il film – La caccia con Marlon Brando – si rivelò un dramma pieno di star che non conquistò né la critica né il pubblico. Spiegel aveva un’idea più ambiziosa per la sua prossima produzione, un adattamento cinematografico del thriller più venduto sulla Seconda Guerra Mondiale “La notte dei generali” di Hans Helmut Kirst. E l’idea era di riunire i suoi co-protagonisti di Lawrence d’Arabia, Peter O’Toole e Omar Sharif. Inizialmente riluttanti ad accettare il progetto, gli erano però debitori. Entrambi erano praticamente sconosciuti finché Spiegel non aveva dato loro i ruoli che li hanno resi star internazionali. Spiegel avrebbe voluto nuovamente David Lean, ma la scelta azzeccata alla fine cadde su Litvak.

Nel film, particolarmente avvincente, confluiscono vari generi con attori eccezionali e una sceneggiatura pungente e caustica di Joseph Kessel e Paul Dehn (ma partecipò anche Gore Vidal non accreditato). Film di guerra, storico e poliziesco, La notte dei generali ripercorre le azioni di tre generali tedeschi della Wehrmacht da Varsavia a Parigi durante la Seconda Guerra Mondiale, tra il 1942 e il 1944, possibili responsabili di azioni particolarmente raccapriccianti: omicidi di prostitute. Ben presto il maggiore Grau (Omar Sharif) si convince che l’assassino è proprio un generale tedesco, uno dei tre attualmente di stanza nella città assediata. Tre soggetti dai profili opposti ma che sembrano tutti nascondere un segreto. Per Grau, che indaga mentre si svolge il secondo conflitto mondiale, il colpevole deve essere arrestato a tutti i costi. Grau è un uomo etico convinto che una giustizia assoluta sia necessaria proprio in tempo di guerra. Ha una filosofia di vita che prevale sulla sua stessa prospettiva di carriera, forte empatia e umanità. Di fronte a Grau, i tre generali accennati: un paio dei loro pantaloni dell’uniforme con una striscia verticale rossa sono stati intravisti da un sospettato sulla scena dell’omicidio della prostituta polacca attraverso la porta del bagno su un pianerottolo. Von Seydlitz-Gabler (Charles Gray) è un soldato di carriera, soprattutto politica, che non vuole “bruciarsi”.  Kahlenberg (Donald Pleasence) è un uomo dalle idee solide, un po’ filologo, che gestisce le situazioni col sarcasmo. Infine, Tanz (Peter O’Toole) nazista eroe della battaglia di Leningrado, dall’aspetto marziale e che trasmette una facciata di rigore che cela un alcolismo malsano e angosce terribili. Una follia che emerge dagli occhi di Peter O’Toole quando si sofferma ad osservare l’autoritratto di Vincent Van Gogh al museo Jeu de Paume. Ovviamente, non sorprende che sia lui il colpevole, come un’allegoria del nazismo che nasconde l’orrore dietro una patina lucida. L’indagine è raccontata attraverso due fili narrativi, durante e dopo la guerra. Soprattutto, ci sono due vicende aggiuntive che si intersecano. Una storia d’amore narrata attraverso l’orrore della guerra, tra Ulrike von Seydlitz-Gabler (Johanna Pettet) e il caporale Hartman (Tom Courtenay). Una storia di cameratismo nascente tra il maggiore Grau e l’ispettore Morand (Philippe Noiret). 

Una promozione inaspettata impedisce a Grau di portare avanti le sue indagini, che viene repentinamente trasferito a Parigi. Per una strana coincidenza i quattro uomini si ritroveranno di nuovo nella capitale francese… Ma sarà l’ispettore Morand a risolvere le indagini nel dopoguerra, dopo aver lasciato la Polizia giudiziaria parigina per l’Interpol in memoria del suo compagno. 

Opera che mette l’individuo al centro della guerra, sviluppa temi umanistici ma anche storici, perché mentre si indaga su un killer psicopatico in uniforme nazista che scatena i suoi impulsi criminali e il suo odio feroce per le donne sulle prostitute, altri ufficiali tedeschi di alto rango fomentano nell’ombra il complotto per uccidere Hitler e porre fine alla guerra. La Notte dei Generali sovrappone la notte vera dell’attentato alle notti metaforiche dell’assassino offrendo un emozionante cocktail di thriller e ricostruzione storica – la famosa Operazione Valchiria del 20 luglio 1944, di personaggi immaginari e reali (von Stülpnagel interpretato da Harry Andrews, Rommel da Christopher Plummer). Senza dimenticare il tema del ghetto di Varsavia: si dice che il personaggio di O’Toole sia stato modellato in parte sull’ufficiale delle SS Jürgen Stroop che nella vita reale guidò la repressione della rivolta del ghetto di Varsavia nel 1943.

La vicenda sviluppa quindi, almeno in parte, eventi realmente accaduti (il Generale Tanz si ispira al giovane ufficiale delle SS Joachim Peiper), e restituisce un’atmosfera straordinaria senza ombra di difetti. Anche se il colpevole è abbastanza facile da indovinare, proviamo un vero piacere nel seguire la trama immancabilmente solida. Scegliendo questa storia, ambientata nel campo tedesco, Litvak voleva dimostrare che all’interno di questo esercito non c’erano solo incarnazioni del male. Il comandante Grau ne è l’esempio perfetto. Un uomo di principi che non ha altro obiettivo che fare giustizia, indipendentemente dal rango sociale del responsabile degli omicidi. Vuole a tutti i costi smascherarlo per dimostrare che dietro una divisa non si può nascondere un assassino. Caratterizzato da un cast suggestivo, La notte dei generali è particolarmente prezioso per la sua recitazione pacata molto britannica (compreso Philippe Noiret), per la sceneggiatura dai dialoghi incisivi e per l’intensità drammatica che emana; ed è un film originale e affascinante, gestito dall’inizio alla fine da una sceneggiatura brillante (un finale superbo), una pietra miliare nella storia del cinema troppo spesso dimenticata.

Le enormi risorse impiegate per la produzione di questo film spettacolare non oscurano il fatto che La notte dei generali resta soprattutto il ritratto agghiacciante di un mostruoso psicopatico, interpretato in maniera inquietante da un gigantesco Peter O’Toole. Il suo alcolismo cronico durante le riprese – coincidente con quello del suo personaggio – rende la composizione dell’attore davvero malsana. Fa effetto nella seconda parte del film dove si prende un po’ di tempo libero per visitare Parigi, scortato da un giovane caporale (Tom Courtenay) che scoprirà tragicamente il segreto della sua follia. Difficile dimenticare la sua reazione isterica davanti a un autoritratto di Van Gogh. 

La notte dei generali è un affresco immorale, quasi uno “slasher” incruento sul nazismo. E questo lo rende modernissimo.

L’ultimo grande successo di un cineasta sottovalutato.

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