Nel libro secondo delle sue Storie, Erodoto ci parla dei regni dei faraoni Cheope e Chefren, costruttori di piramidi (Storie II, 124-128)1. I sacerdoti gli hanno riferito che il primo «chiuse tutti i santuari e proibì i sacrifici; quindi impose a tutti gli Egiziani di lavorare per lui». Cheope avrebbe regnato cinquant’anni; Chefren, fratello o, più probabilmente, figlio di Cheope, suo successore, costruì anch’egli una piramide, di dimensioni minori. «I sacerdoti mi dissero che Chefren avrebbe regnato cinquantasei anni; calcolando così centosei anni durante i quali gli Egiziani sarebbero vissuti in profonda miseria. E per così lungo tempo i santuari sarebbero rimasti chiusi e non sarebbero stati aperti. Gli Egiziani odiano questi re, che non vogliono assolutamente nominare; anzi le piramidi stesse le chiamano dal nome del pastore Filiti, che in questo periodo faceva pascolare il suo gregge in questa contrada»2.
L’aneddoto riportato da Erodoto è ripreso dalla poetessa uruguaiana Ida Vitale in un testo compreso nella raccolta Reducción del infinito (2002), e che troviamo anche nell’antologia italiana Pellegrino in ascolto, pubblicata da Bompiani a cura di Pietro Taravacci3. Ecco la poesia nel testo originale e nella traduzione di Taravacci:
La gloria de Filitis
Nada labró Filitis, pastor egipcio.
Fue pobre.
No intuyó nueva barca
de líneas más seguras y bellas.
No imaginó jardines
ni un trazo ni una música,
no dejó nada escrito,
no movió una figura del sagrado perfil.
Sólo llevó sus bestias a pacer
al pie de las colinas
donde Quefrén y Queops,
los execrables reyes,
durante medio siglo
levantaron sus tumbas
sobre hombros de pueblos agotados.
Éstos, abominándolos,
no quisieron nombrarlos.
Justicieros decían
para hablar de esos sitios:
—Allí,
donde las pirámides de Filitis.
La gloria di Filitis
Nulla compose Filitis, pastore d’Egitto.
Fu povero.
Non inventò una barca
di linee più sicure e belle.
Non ideò giardini
né un segno né una musica,
niente lasciò di scritto,
non mosse una figura dal sacro profilo.
Solo portò le bestie a pascolare
ai piedi di quei colli
dove Chefren e Cheope,
gli esecrabili re,
durante mezzo secolo
le loro tombe eressero
sopra le spalle di popoli stremati.
Costoro, avendoli in orrore,
non vollero nominarli.
Giustizieri dicevano
parlando di quei luoghi:
—Lì,
dove le piramidi di Filitis.
Ida Vitale, nata a Montevideo nel 1923, è una delle voci più alte della poesia ispanoamericana contemporanea, insignita dei maggiori premi letterari di lingua spagnola, dall’Octavio Paz (2009) al Reina Sofía (2015), dal Premio Internacional de Poesía Federico García Lorca (2016) al Premio Cervantes. La giuria che nel 2018 le ha assegnato quest’ultimo riconoscimento ha sottolineato nella motivazione che la sua lingua «es al mismo tiempo intelectual y popular, universal y personal, transparente y honda». Una delle caratteristiche dell’opera di Vitale è la sua marcata intertestualità, con un fitto gioco di citazioni e rimandi ai poeti più amati ma anche, come in questo caso, al passo di uno storico antico. Nel testo poetico che presentiamo il pastore Filitis, poco più di un’ombra nel racconto di Erodoto, diviene protagonista. Ma è un protagonista “in negativo”: si distingue per non aver fatto nulla di ciò che poteva portargli gloria agli occhi del mondo, e per essersi limitato – e in ciò, verrebbe da concludere, la sua più autentica gloria – a pascolare le bestie presso le piramidi di Chefren e Cheope.
Nei versi di Ida Vitale l’orrore suscitato nei popoli oppressi dai due sovrani, che giunge fino al rifiuto di nominarli, è espresso attraverso i verbi “abominar” ed “esecrar”, che, in spagnolo come in italiano, attengono agli ambiti del magico e del sacro. Se entrambi i termini sono utilizzati comunemente nel significato di “avere in odio, detestare”, uno sguardo alla loro etimologia può forse arricchire la comprensione del nostro testo4. Abominare (composto di ab “da” e omen “presagio”): allontanarsi da un cattivo presagio, respingerlo, scongiurarlo. Esecrare: maledire, imprecare, ma propriamente togliere il carattere sacro (da ex e sacer, “sacro”). Allontanamento ed esclusione. Se confrontate con il testo di Erodoto, le scelte lessicali di Ida Vitale sembrano acquistare una forza particolare: “los execrables reyes” non sono soltanto i re detestabili, ma anche i sovrani ai quali il popolo, tacendone il nome, toglie ogni sacralità. Quella sacralità che essi avevano attribuito in via esclusiva a se stessi e alle loro tombe monumentali, vietando, secondo il racconto fatto allo storico greco, le forme di culto care agli Egiziani. La condanna del popolo si è espressa nella forma del silenzio. La parola poetica, millenni dopo, prende su di sé quell’esigenza di giustizia.
- Erodoto, Storie, introduzione di Livio Rossetti, traduzione di Piero Sgroj, revisione e note di Livio Rossetti in collaborazione con Graziano Ranocchia, 2008 Newton Compton editori s.r.l., Roma
- Ibid.
- Ida Vitale, Pellegrino in ascolto. Antologia 1945-2015, a cura di Pietro Taravacci, Bompiani, 2020
- Ho consultato il Vocabolario Treccani online e il Dizionario etimologico della lingua italiana in 5 voll. di Manlio Cortelazzo e Paolo Zolli, Bologna, Zanichelli, 1979
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