Non erano passati nemmeno due anni dalla scomparsa dell’icona rock Freddie Mercury e non si sapeva ancora granchè sull’Aids, al cinema poi vigeva assoluto silenzio su questa spinosa malattia che si incrociava col tabù   della sessualità. Eppure il semisconosciuto cineasta e cantautore parigino Cyril Collard, si cimentò nel commovente testamento-esordio Le notti selvagge trasposizione cinematografica del suo omonimo romanzo autobiografico, che vidi per la prima volta a sedici anni in un piccolo cinema portandomi a sognare di fare il giornalista di spettacoli come poi avrei fatto dal 2005.

Una trama mi emozionò moltissimo per vari motivi. Primo film sull’Aids, una sceneggiatura semplice e toccante fatta di dialoghi sofferenti che raccontava attraverso l’alter ego di Jean, cineoperatore assetato di vita ad ogni costo, gli ultimi anni di Collard, morto a soli trentacinque anni il 5  marzo 1993. Tre giorni prima di ricevere il Cesar, l’Oscar francese per quella sua pellicola e una colonna sonora indimenticabile in cui spiccano i toccanti brani Labas (Laggiù) e L’oiseau noir (L’uccello nero). “Cos’è la rabbia? Un mormorio, un fremito” queste le prime parole di quella pellicola, la colonna sonora firmata sempre da Collard, la storia d’amore del protagonista con Laura, attrice pubblicitaria adolescente, interpretata da una bravissima Romane Bohringer, poi tornata alla carica con Poeti dall’Inferno – l’intensa biografia del grande poeta Rimbaud, interpretato magistralmente da Leonardo Di Caprio. Scene secche e fotogrammi scolpiti, momenti di assoluto pathos come nella scena che mostra il protagonista recarsi a fare il test per sentirsi dire dall’infermiera che “nessuno è eterno”  o quelle del suo colloquio con i genitori, delle scenate di gelosia di Laura e che mostrano il loro amore che sfida le fragilità e i vizi di lui e la sua bisessualità impetuosa e disinibita, in nome di un sentimento puro e romantico che li lega indissolubilmente.

Inno alla vita, ai sentimenti e all’arte e primo sincero film-verità sul dramma dell’Aids, che all’epoca era un’assoluta condanna a morte perchè non esistevano farmaci che ne rallentassero il decorso e non c’era sufficiente prevenzione, la pellicola ha il merio assoluto di non scadere nel patetismo e nella retorica, malgrado Collard stesse vivendo la sua fine cercando una fuga in un’altra identità. Impressionante però notare che a trent’anni di distanza si parli ancora così poco se non per niente di Aids, come queste quattro lettere siano scomparse oscurate da un’altra sigla, Covid, e come anche quello stia passando di moda. Davvero triste che si parli così poco di cinema francese, che in quelli stimolanti anni Novanta ci ha regalato una serie di assoluti gioiellini come questo film, realizzati con pochi mezzi e senza attori internazionali o grandi magniloquenze come le produzioni americane spesso assai pompose. Ad esempio il caso di Philadelphia, discreto film sul tema Aids, con un bravissimo Tom Hanks che però raccoglie una sfilza di scene decisamente eccentriche come quella di Hanks che balla a occhi chiusi ascoltando musica lirica. Qui invece la sobrietà è la password, una sottile tristezza che pervade tutta la pellicola e trasmette quel senso di impotenza che ci affligge per aver perso un autore interessante come Collard, privandoci di chissà quante bellissime opere. In quegli anni quel virus e il suo terribile decorso, fatto di progressiva perdita delle difese immunitarie e di varie sofferenze spesso non note all’opinione pubblica, ha stroncato tante geniali personalità del mondo dello spettacolo, da Rock Hudson a Nureyev, da Freddie Mercury a Collard e chissà quanti ancora oggi nella nostra Italia benpensante, soffrono silenziosamente fra pregiudizi, moralismo e indifferenza.  Les Nuit Fauves questo il titolo originale è un piccolo grande film che varrebbe davvero la pena riscoprire, rivaliutare e discutere, oggi più che mai specialmente fra gli adolescenti e i disinformati di ogni età.

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