Otto Preminger, il giovane viennese giunto a Hollywood nel 1936, non era simpatico a Darryl F. Zanuck, l’irascibile tycoon della 20th Century Fox. E, dal suo punto di vista, non aveva tutti i torti. Preminger era im- mediatamente entrato in rotta di collisione con il potente boss della Fox, rifiutandosi di dirigere un film affidatogli proprio da lui. Preminger riuscì a realizzare (dal ’35 al ’41) quattro film per la Fox, prima di venire emarginato dallo studio per qualche tempo a causa del litigio con Zanuck. Il regista non si perse d’animo neanche quando si rese conto che l’ostracismo di Zanuck si era propagato in tutti gli altri studios: in cuor suo sapeva che la Fox lo avrebbe nuovamente cercato (non foss’altro perché continuava a rimanere sul libro paga). E, infatti, dopo un paio d’anni Preminger venne richiamato in servizio. Soltanto che Zanuck non aveva nessuna intenzione d’impiegarlo come regista, ritenendolo molto più abile nei panni del producer.
Ma Preminger teneva particolarmente al progetto su Vertigine, da tempo stava lavorando alla sua sceneggiatura. Il romanzo, scritto da Vera Caspary nel 1940, era un giallo particolarmente sophisticated incentrato sul sentimento morboso provato da un criminologo per un’affascinante defunta. Il personaggio, ritagliato sulla figura del noto uomo di teatro Alexander Woolcott, non era certo sfuggito a Preminger. Che, d’altra parte, era stato contattato proprio dall’agente della scrittrice perché ne realizzasse la versione teatrale.
Ma il percorso nello “showbiz” di Vertigine sembrava contrappuntato da mille difficoltà, anche perché Caspary non accettava di veder stravolto il suo lavoro (che, nel frattempo, era diventato un copione teatrale). Tuttavia dopo notti insonni Caspary decise definitivamente di mettere a disposizione di Hollywood la sua storia. E, tra rifiuti e proposte minori, fu ancora una volta Preminger (come abbiamo visto in veste di producer della Fox) a offrire 30.000 mila dollari per Vertigine.
Vera Caspary era spossata, e decise di non farsi coinvolgere nella stesura dell’adattamento cinematografico. Scelta che in seguito ingenerò astiose recriminazioni.
Ma torniamo a Preminger. Finalmente l’artista viennese poteva sviluppare il suo progetto. Ma gli ostacoli erano ancora numerosi, Zanuck non arretrò di un passo, ostinandosi a considerarlo semplicemente il producer del film. E le riprese di Vertigine iniziarono in piena bagarre.
Vera Caspary si era messa da parte ma indicava come regista John Brahm (che nel 1955 dirigerà un telefilm dal romanzo interpretato di George Sanders, Robert Stack e Dana Wynter). Zanuck dapprima optò per Walter Lang (mentre Preminger avrebbe voluto un amico fidato come Lewis Milestone), e alla fine scelse il riluttante Rouben Mamoulian.
Preminger, accantonata per un attimo l’arroganza, continuo ad agire in contropiede, abbassando la guardia solo apparentemente. Nel frattempo aveva personalmente curato la sceneggiatura con Jay Drather e Zanuck non aveva potuto fare a meno di esternare il proprio entusiasmo.
Mentre Mamoulian era considerato un vero disastro. Le riprese iniziarono il 24 aprile 1944, e venne estromesso dal set il 15 maggio seguente. Stremato, Zanuck si arrese all’evidenza, e capitolò al cospetto d Preminger affidandogli la regia. Che, riacquistata la consueta spavalderia, licenziò sul tronco fotografo, scenografo e costumista.
E, come ultimo affronto, mandò in magazzino il ritratto di Laura (realizzato dalla moglie di Mamoulian) sostituendolo con la foto ritoccata di Gene Tierney.
Ma, per giungere a questo punto,
Preminger aveva in realtà lottato come un leone contro molti altri nemici: primo fra tutti il potente casting director Rufus Le Maire. Perché non fu così automatica la scelta di Gene Tierney!
Preminger riuscì a spuntarla su tutto, compresa la scelta del segaligno e altero Clifton Webb al posto dell’obeso Laird Cregar (dal momento che nel romanzo Waldo Lydecker era uomo laido e immenso). Ma il regista aveva un suo preciso punto di vista, che differiva totalmente dal romanzo.
Anche l’epilogo, che Zanuck voleva inquadrato dal punto di vista di Laura (come l’aveva descritto Vera Caspary), venne girato da un mansueto Preminger che, tenacemente, riuscì a ripristinare la fine da lui inizialmente ipotizzata prima dell’apparizione del film nelle sale americane il 17 ottobre 1944.
A dispetto delle proteste di Vera Caspary, la riduzione cinematografica contiene una dose di ambiguità che ne accresce l’attrattiva. E se il romanzo risolve l’annosa problematica del punto di vista offrendo ben distinti capitoli “condotti” dai vari personaggi, il film ottiene lo stesso risultato partendo dal falso presupposto che il punto di vista sia solo quello di Waldo Lydecker.
Situandosi al centro delle tematiche cardini del film noir, Vertigine coniuga due aspetti che solo la maestria di Preminger ha saputo valorizzare. Il film, in effetti, è un enigma poliziesco estremamente originale (dove la vittima resuscita nel mezzo della storia per diventare a sua volta una dei principali sospettati di un delitto) e, nel contempo, un dramma psicologico, disincantato e pessimista, sull’irrimediabile distanza che separa gli esseri umani.
Il primo aspetto si poggia su una costruzione drammatica rigorosa; il secondo su un insieme armonico di lirismo sotterraneo ed evanescente, che agisce sugli insondabili misteri del cuore. Preminger adatta ai suoi scopi il contesto e taluni elementi strutturali del film noir (flash-back, voce off…) che integra alla perfezione al suo universo creativo. Il flash-back, per esempio, non viene utilizzato per rendere l’intrigo più oscuro e complesso. Al contrario, viene sviluppato con linearità drammatica cristallina. E lo dimostra la scelta del regista, avversata da Zanuck, di sopprimere un commento fuori campo d’attribuire a McPherson e la terza voce off di Laura, inizialmente voluta dal produttore per dar più spessore al personaggio. Flash-back e voce off sono impiegati congiuntamente da Preminger per dare l’illusione che la storia sia situata in un punto narrativo lontanissimo, quasi siderale.
Il film e il ricordo di Laura iniziano con la celebre frase di Lydecker: “Non dimenticherò mai…”.
Questa rievocazione, che non si situa nel tempo reale ma in una sorta di eternità, non finirà praticamente mai, perché nel film il ritorno al presente non è mai netto (e perché Lydecker alla fine muore). L’intrigo, sganciato dal Tempo, è come se fosse commentato dall’oltretomba da uno dei suoi protagonisti. È un’impostazione dialettica di grande efficacia: la freddezza di tono e la distanza infinita del personaggio-narrante in rapporto a ciò che racconta, paradossalmente, rafforza il tono patetico e l’intimità (si potrebbe dire la complicità) di quanto viene mostrato. Il flash-back, quando si moltiplica, assume anche un’altra funzione: Preminger lo utilizza per presentare Laura sotto varie angolazioni. Lydecker vede Laura nella sua evoluzione e nelle successive metamorfosi; quando la osserva – ritenendola come una sua personale creazione – è come se si contemplasse attraverso lei (basta ricordare la sequenza in flash-back del ristorante Montagnino). McPherson, al contrario, quando Laura ricompare, la vede al presente, in una maniera globale e più diretta. Il dipinto di Laura, quindi, si arricchisce e la cifra si fa complessa. E nasce da equilibri precisi: il carattere di Laura e il punto di vista dal quale i due personaggi l’ammirano. Una fascinazione perniciosa a seconda dell’angolazione visuale: il cinismo decadente, narcisistico, la fragilità nascosta di Lydecker, che si contrappongono al pragmatismo, al realismo monolitico di McPherson.
Ma a tutto questo si devono aggiungere i procedimenti tecnici adottati da Preminger: lunghi movimenti di macchina tendenti a isolare o ad accomunare i personaggi, facendo emergere la loro distanza o la loro prossimità con magistrali intuizioni registiche.
In questo contesto gli interpreti sembrano muoversi come in un vicolo cieco, sotto il perenne controllo dell’altrui sguardo: occhiata spesso ricercata per modificarne l’orientamento a proprio vantaggio.
Ciò nonostante rimangono personaggi solitari, e tali restano anche nel presumibile happy end (l’unione sentimentale tra Laura e McPherson). Anzi, il presunto lieto fine non fa che aggravare la tragica malin- conia del fallimento di un Pigmalione il cui personalissimo galateo ha cercato di distruggerlo per ben due volte.
Il successo di Vertigine, così come la fascinazione che emana Gene Tierney, non si sono scoloriti con il passare del tempo. Anzi hanno preso via via sempre maggior vividezza.
In anni più recenti i fans di Vertigine sono aumentati con ritmo travolgente tra le nuove generazioni. Grazie a loro, Vertigine spicca come un film faro che conferma il carattere durevole del cinema e dei suoi capolavori.
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