Un uomo solitario e freddo, metodico e privo di scrupoli e rimpianti, un assassino che attende nell’ombra attento al suo prossimo obiettivo. Eppure, più aspetta, più pensa che sta perdendo la testa, o almeno la calma. Una storia noir brutale, sanguinosa ed elegante su un assassino professionista perso in un mondo privo di una bussola morale. Lo studio di un uomo solo, armato fino ai denti e che lentamente sembra perdere la ragione.
Indubbiamente David Fincher è uno dei maestri del cinema del nostro tempo. I suoi film (Alien 3, Seven, The game, Fight Club, Panic Room, Zodiaco, Il curioso caso di Benjamin Button, The Social Network, Millennium-Uomini che odiano le donne, L’amore bugiardo, Mank) ci immergono in uno stato di acuta ipersensibilità, in cui ogni piccolo gesto o suono viene interpretato dal nostro cervello come un ingranaggio che aziona e sconvolge il sistema. Questa dimensione immersiva dell’opera di Fincher, che a volte ci è piaciuto di più e altre volte non ci ha convinto, si riflette anche su The Killer. Il cineasta lo considera un episodio centrale nella sua carriera che ha fatto del mondo contemporaneo – e delle sue pulsioni consumistiche, digitali e paranoiche – la sua costante e sinistra fonte ispiratrice.
Con il suo nuovo lavoro, stilisticamente perfetto (e ancora una volta firmato Netflix) Fincher ci invita a immergerci nella mente di un efficiente sicario, la cui voce fuori campo (il pensiero) invade l’intera pellicola. Durante le prime battute del film, la cinepresa orchestra una delle sue danze cartesiane attorno al protagonista, che trascorre le sue giornate stazionato davanti a un hotel parigino in attesa di colpire il suo prossimo bersaglio. Intanto l’audio è appunto monopolizzato dalla voce interiore dell’assassino, che condivide con lo spettatore i comandamenti della sua ferrea etica professionale e omicida. È evidente la fonte ispiratrice del cineasta: come se Frank Costello faccia d’angelo/Le Samourai di Jean-Pierre Melville guardasse nella La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock e declamasse un sussurrato monologo interiore alla Terrence Malick, ma totalmente svuotato di umanità. I mantra che l’assassino pronuncia più e più volte sono elementari, ma tremendamente impegnativi: “preparazione, attenzione ai dettagli, ripetizione, ripetizione, ripetizione…” Michael Fassbender incarna alla perfezione l’inquietante e non empatico assassino. “Non sono eccezionale, so solo come starne fuori”, dice lo psicotico protagonista riferendosi alla sua capacità di intraprendere le sue “missioni” evitando ogni rimorso di coscienza. Fincher è esperto nel districarsi negli aspetti più sordidi della natura umana e della vita sociale e non permette mai l’identificazione con un personaggio dalle evidenti inclinazioni sociopatiche, perché forza al massimo i meccanismi identitari inerenti alla narrazione cinematografica. Possiamo accompagnarlo nel suo atroce itinerario di crimini e vendette (“L’empatia è un segno di debolezza”), senza tuttavia parteggiare per lui. E questo è il limite del film, anche se vuole rappresentare la novità, e il cineasta avrebbe dovuto andarsi a rivedere almeno The Mechanic di Michael Winner (se proprio non intendeva emulare Melville).
Alla fine The Killer è un noir verboso, dalla trama troppo lineare e priva di sorprese, con varie ambientazioni internazionali come se si trattasse di un epigono della saga di James Bond o Mission Impossible.
Con alcune annotazioni indubbiamente gustose, soprattutto sulla società dei consumi: il killer si muove come un pesce nell’acqua
procurandosi provviste tramite Amazon, delineando le sue missioni su Google Maps e ingurgitando calorie al McDonald’s più vicino.
È evidente il messaggio di Fincher, pungente commento sociale, che pone al centro del film uno sguardo filosofico sulla natura tragica del protagonista, che viaggia per il mondo condannato a sbagliare ancora e ancora e ancora. Angosciato Sisifo contemporaneo in perenne soliloquio interiore, l’assassino delinea un’ideologia improntata al distacco, al pragmatismo e alla precisione, ma la sua odissea è ostacolata da eccessi di crudeltà e da occasionali sprazzi di compassione e curiosità.
Ma tutto questo rimane più a livello di enunciato verboso, perché The Killer non ha l’umiltà di ispirarsi alla lunghissima filmografia noir (dagli Stati Uniti alla Francia) per rinnovarla al Terzo Millennio.
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