Una lunga sequenza di apertura ambientata in un tetro paesaggio settentrionale in riva al mare. Luce grigia, neve e ghiaccio, sullo sfondo un’imponente fortezza di pietra. In primo piano, un uomo alto vestito solo di biancheria intima e stivali si arrampica sulle rocce verso la cinepresa, quindi corre attraverso campi e boschi innevati fino a raggiungere una remota fattoria, sale sul tetto e si intrufola attraverso una finestra danneggiata di cui ovviamente è a conoscenza perché c’è un trucco per aprirla.

Una volta dentro, origlia le tre persone al piano di sotto, una coppia di coniugi e la sorella della moglie. Stanno discutendo di un conflitto ovviamente di lunga data sulla vendita della fattoria di famiglia, lasciando indizi criptici su un fratello di nome Salem e su qualcosa di brutto accaduto diversi anni prima. Al piano di sopra, l’uomo misterioso fruga nella borsa di un medico, sottraendo alcune fiale e una siringa e infilando dentro un mucchio di cravatte prima di scivolare di nuovo fuori dalla finestra.

L’atmosfera spinge L’assassino arriva sempre alle 10 (The Night Visitor; 1971) di Laslo dal thriller di vendetta al territorio dell’orrore.
Ancora in biancheria intima l’uomo corre nella neve fino a un’altra casa remota dove si introduce nella stanza di una giovane donna che, spaventata, lo identifica proprio come Salem mentre lui la fissa con occhi penetranti che sembrano esprimere un misto di lussuria e rabbia. La donna viene quindi rinvenuta morta, strangolata nel suo letto.

L’incombente fortezza in riva al mare sembra essere un enorme manicomio; Salem è un detenuto, mandato lì dopo essere stato condannato per un brutale omicidio con l’ascia avvenuto nella fattoria, un omicidio per il quale è stato incastrato dalla sorella e dal cognato perché aveva ostacolato la vendita della fattoria. Se non era pazzo quando è stato messo dentro, lo è diventato successivamente, spinto da un senso di giusta vendetta che gli ha permesso di trovare il modo di evadere e tornare nella sua cella, fornendogli l’alibi perfetto mentre si predispone a uccidere tutti coloro che sono responsabili di averlo relegato lì – strangolando, avvelenando e infine facendo a pezzi proprio con un’ascia – escogitando il tutto con millimetrica precisione per incolpare il suo venale cognato.

Un film meditativo e lunare che con la semplice forza della sua messinscena riesce ad allontanare la sensazione che sia tutto ridicolmente non plausibile. Perché il perplesso senso di incredulità che si prova nell’assistere agli imbrogli pseudo-gotici del film sono interpretati da un cast di attori straordinari, bergmaniani al cento per cento a parte il veterano investigatore Trevor Howard. È come se Ingmar Bergman avesse girato la sua versione di Venerdì 13 con Kenneth Branagh nel ruolo di Jason.

Liv Ullmann è la cattiva sorella Ester, Per Oscarsson il marito dominato da lei e Trevor Howard appunto l’ispettore di polizia per il quale tutti gli indizi che indicano il dottore colpevole sono un po’ troppo banali. Di statura i comprimari: un’efficace Hanne Bork nei panni della sorella Emmie, che si rifiuta di vendere e non crede che Salem abbia davvero ucciso il bracciante; il grande caratterista Andrew Keir interpreta il Dr. Kemp, il direttore del manicomio; Rupert Davies è l’avvocato corrotto Clemens; Arthur Hewlett è Pop, l’inverosimile guardia notturna della fortezza.
L’enorme densità di tutto questo talento recitativo fa sembrare stranamente portentosi gli avvenimenti di un film sostanzialmente di “serie B”, con la presenza di von Sydow, Ullmann e Oscarsson, proprio l’ombra di Bergman conferisce a quella che è in realtà una piccola storia pulp una tale gravità che evoca un senso di disorientamento mentre il cervello tenta di mantenere in equilibrio impressioni assolutamente contraddittorie.

Ma una volta visto The Night Visitor, è difficile cancellare l’immagine del grande e dignitoso Max von Sydow che corre realmente in mutande per lunghe distanze attraverso neve e ghiaccio veri solo in mutande (c’è una ragione logica per questo che alla fine verrà rivelata).
Erano stati inizialmente contattati per la parte Steve McQueen e Christopher Lee, ma non sono entrambi immaginabili in quel paesaggio innevato rispetto alla disturbante prestazione di von Sydow che riesce a mantenere la propria dignità e, contro ogni previsione, riesce a non cadere mai nel ridicolo
E poi, ovviamente, c’è il pappagallo…

La combinazione di horror gotico e proto-slasher con quel cast prestigioso probabilmente spiega perché il film è praticamente svanito nel nulla. Del resto la storia difficilmente potrebbe piacere al pubblico di Bergman, mentre l’approccio lento e metodico della narrazione non si adatta alla ricerca di brividi viscerali del classico pubblico dell’horror.
Per non parlare di Laszlo Benedek, un “classico” di Hollywood, regista di opere come Morte di un commesso viaggiatore (Death of a Salesman, 1951) o Il selvaggio (The Wild One, 1953). Oltre che pioniere della TV avendo firmato Perry Mason, Mannix, L’ora di Alfred Hitchcock.
Un impasto che sulla carta non avrebbe dovuto portare nulla di buona. E si può proseguire. La sceneggiatura è di Guy Elmes, specialista in “B movies”, adattando un soggetto di Sam Roecca, prolifico scrittore televisivo di western e film di guerra. Prodotto da Mel Ferrer, già produttore del prodigioso thriller di Terence Yoing Gli occhi nella notte (Wait Until Dark, 1967), magistralmente interpretato da sua moglie Audrey Hepburn. Ferrer ingaggia in Svezia e Danimarca, ma gira in Gran Bretagna.

Ferrer, come accennato, sceglie il regista Laslo Benedek, ungherese di Hollywood, che fa un lavoro efficace nel creare la giusta atmosfera, e gestisce tutti gli attori con calibrata precisione (von Sydow in particolare in un ruolo fisicamente impegnativo), ma è impossibile non continuare a chiedersi cosa stiamo facendo tutti in questa produzione, che sembra un episodio della serie thriller Tv di Brian Clemens degli anni ’70, con una narrazione inverosimile e artificiosa che si basa su un finale ironico che coinvolge il già citato pappagallo domestico.

Deludente la colonna sonora di Henry Mancini anche se funzionale.
Forse più che un grande thriller non celebrato The Night Visitor è un’autentica stranezza la cui esistenza indica gli strani percorsi che i produttori a volte hanno intrapreso per mettere insieme i finanziamenti internazionali negli anni successivi al forte declino degli studios di Hollywood. Eppure da vedere.

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