Beach Rats è un film che affronta in maniera possente la tematica LGBT+. Eppure, è molto altro: è un film di volti, della caduta di un mondo e del conseguente sbigottimento, della possibilità di viverne un altro.
L’omosessualità latente è in realtà segno di una latenza ancora più profonda. Il protagonista di Beach Rats (2017) Frankie (Harris Dickinson) vive come in una tana, nello scantinato, nonostante abbia una camera apposita nella casa di una famiglia composta nei canoni del tipo secolare: la madre che si cura dei figli e non si accorge di nulla, la sorella occhialuta pronta ad imitare gli altri, il padre debole.
Da un lato Frankie bellissimo e forte fisicamente; dall’altro il padre agonizzante, incapace addirittura di aprire gli occhi. Beach Rats, quindi, documenta la caduta del mondo patriarcale, che vacilla finché non scompare, e quello che ne viene immediatamente dopo: cosa rimane? Dove andare? Frankie e i suoi amici vivono le giornate così, tra fumate di spinelli, droghe e partite ossesse di pallamano contro un muro: “Sole senz’ombra su virili corpi/ abbandonati. Tace ogni virtù”1; mentre la cinepresa cattura i loro volti abbagliati da notti sfolgoranti che costanti accadono – lo spettacolo dei fuochi d’artificio capita sempre alle 9:30, di ogni venerdì. I “beach rats”, in slang, sono i giovani ragazzi che frequentano Gerritsen Beach, una zona di Brooklyn abitata soprattutto da comunità di origine irlandese; sono loro gli emissari della società di adesso, i guardiani in canottiera delle categorie decostruite.
C’è un richiamo profondo, che non può che portare ad un altro mondo: la notte e i suoi suoni ancestrali, il mare nero. Il primo shot del film è di un mare troppo celeste, sgranato da pixel grossolani. Dapprima sono gli stessi pixel a fare da vetrina ad un caleidoscopio di corpi, di volti, ad essere il tramite verso qualcosa di altro: non basta. È necessario proseguire oltre. Le spiagge limitrofi a Coney Island, che vediamo raramente alla luce del giorno (ad es. a metà film quando il mare è grosso), sono il luogo del passaggio: nell’oscurità, il frinire dei grilli e il rumore inconfondibile delle onde annunciano l’ingresso in un’altra dimensione, dove, come ratti notturni, Frankie e uomini maturi consumano rapporti. È qui che emerge la latenza, quel qualcosa d’altro a cui Frankie appartiene. Un rapporto, è vero, avviene in un motel, che tuttavia è un’altra tana – o, meglio, uno stadio della vita – che sempre ritorna, “utile, nella sua quasi inesistenza”2 rispetto a tutto ciò che la circonda.
Gli uomini maturi dimostrano il legame che Frankie ancora intrattiene con il mondo ormai morto del padre. Non se ne riesce a liberare, nonostante di notte, di soppiatto, proprio come un ratto, debba tornare sulla spiaggia, nella vegetazione ai bordi dell’autostrada. La sua stanzetta al piano di sopra è rimasta esattamente come anni fa, di lui ancora bambino, e per una canna stantia ci torna e ci porta anche la sua combriccola di soldati in canottiera che però “non sono amici miei” (cit. dal film). Ad un tratto, vediamo il protagonista in mezzo ad erbacce cresciute spropositatamente, su lastre di cemento grigio, nel giardino trascurato della casa: è la natura selvaggia che si ricompone attorno a lui, inevitabilmente.
I ‘beach rats’ sono quattro, incluso Frankie, e formano una combriccola che usa lo stesso linguaggio, gli stessi vestiti, i capelli rasati uguali. Presto adulti, eppure indossano ancora canottiere e pantaloncini. Il loro carattere è l’inconsistenza, similmente agli anelli di fumo che offuscano il locale frequentato da Frankie di tanto in tanto, durante il giorno: c’è anche una competizione a chi riesce a esalare la nuvola di fumo più lunga. Tra giornate sotto il sole e notti passate a sballarsi, in realtà risaltano i loro fisici e le loro mani venose. In loro si combina l’aspetto corporeo con l’aspetto inconsistente: sono nondimeno corpi, la cui pelle giovane trasuda una potenziale violenza. Come fantasmi, appaiono ogni qual volta Frankie si avvia per i suoi incontri notturni; come scagnozzi, sono pronti ad utilizzare la forza necessaria per difendere l’ordine evanescente a cui appartengono. Nudi, di fronte al mare ingrossato, guardano l’orizzonte, e in particolare uno, che sembra aver compreso il pericolo, osserva l’obiettivo – forse Frankie stesso – con una risolutezza che non ammette altro significato. È inutile che la madre del protagonista cerchi di allontanarli dalla propria casa.
Frankie non è come sua sorella né come gli altri. Lo si capisce dallo sguardo allucinato sulla pista da ballo, nel momento in cui incontra chi come lui ha amato nella “foresta”. Ma il suo è appunto uno sguardo allucinato, che ha bisogno di stupefacenti luminose bugie. E quando, incapace di affrontare un giovane incontro con la verità, contaminerà terrorizzato la foresta con la brutalità della a lui familiare inconsistenza, la camera a mano – utilizzata molto nel film – registrerà inquieta le rifulgenti insegne di parole del luna park che non dicono più nulla. Barbagli, odore pirico, stelle multicolori dei fuochi festivi d’estate: occhi stanchi “de le girandole di fuoco”3. Alla nuvolaglia bruna dopo i botti, persistono le onde del mare, i suoni della foresta.
Il gergo comunicativo ha debellato dalla parola quasi ogni espressività, così come è calato di molto il grado di attenzione di un possibile uditorio. Il linguaggio non punta a suscitare l’ispirazione, bensì a cogliere l’interesse attraverso un metodo sensazionalistico che sfrutti gli istinti più corporei. È un bene che da un paio di anni la tematica LGBT+ sia sotto i riflettori del dibattito pubblico; è un male che la sua efficacia comunicativa a volte sia assorbente, circoscrivendo il perimetro di opere più complesse che legittimano ulteriori piani di lettura. È opportuno quindi che la lotta contro un passato fatto di oscurantismo e di sottaciuti non porti a sua volta ad una limitazione dei significati, a discapito della conoscenza.
Beach Rats scritto e diretto da Eliza Hittman, presentato al Sundance Film Festival del 2017 dove la regista ha vinto il Directing Award, non è solamente un film a tematica LGBT+: è molto altro.
1 “Lenta l’anima affonda – con il mare –
entro un lucente sonno. D’improvviso
balzano – giovani isolotti – i sensi.
Ma il peccato non esiste più.”, S. Penna, Poesie, Garzanti, 1995, p. 10.
2 R. Calasso, Bobi, Adelphi, 2021, p. 87.
3 D. Campana, Canti orfici, Einaudi, 2014, p. 7.
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