Il nome di Thomas de Quincey, nato a Manchester nel 1785 e morto nel 1859 dopo una vita “tutta tesa nello sforzo di ridurre le dosi d’oppio e le cifre dei debiti” (M. Praz, Storia della letteratura inglese, Sansoni, Firenze, 1937), è associato innanzi tutto all’opera Confessioni di un oppiomane. A suo agio nella parte di romantico “maledetto”, De Quincey si è cimentato con un tema altrettanto scabroso camuffandolo sotto le spoglie dell’umorismo british. 

L’altro capolavoro della produzione di un autore letto con ammirazione, tra gli altri, da Baudelaire, Chesterton, Borges e Joyce, L’assassinio come una delle belle arti si compone di due parti: una composta nel 1827 e l’altra nel 1839. Nella prima l’autore riporta la trascrizione di un discorso ai componenti di una Società degli intenditori di assassini; apprendiamo come ci sia un club di appassionati di delitti che, oltre a ricordare i più celebri casi storici, si preoccupano di fissarne i canoni estetici (ad esempio viene bandito l’uso del veleno che mai si dovrà preferire “al vecchio e onesto metodo di tagliare la gola”). Nella seconda parte viene descritta la vita di questo club e i pranzi dei soci: in particolare viene descritto un membro, soprannominato Rospo in Tana, che sembra rianimarsi dal suo torpore solo in presenza di un bel delitto.

L’assassinio come prelibatezza da gourmand: è mai immaginabile una provocazione più “nera” di questa? Ci sarebbe da inorridire, se non fosse che ormai il cinema – ancora più che la letteratura – ha contribuito a estetizzare il delitto. Il cinema di genere è infatti rimasto l’ultimo baluardo che, nel caso dei thriller e ancor più degli horror, ha ancora il merito di tramandare un certo non so che di artigianale e restituire un sapore genuino al crimine: le grandi produzioni hanno ormai bandito ogni bruttura e lordura, come se gli assassini siano abituati a muoversi in ambienti asettici e raffinati.

Tornando a De Quincey, l’edizione Guanda in commercio ha il merito di pubblicare, oltre alla pregevole introduzione di Giorgio Manganelli, anche l’ampio poscritto steso in occasione della pubblicazione delle opere complete (Selections Grave and Gay. Writings Published and Unpublished. 1853-1860). L’autore descrive due casi di omicidio che avevano sconvolto Londra nell’Ottocento, in particolare le due stragi compiute da un tale Williams nel 1812. Gli omicidi vengono descritti in maniera cruda, tesa. L’assassino diventa una figura solitaria, che agisce di notte e pone gli uomini di fronte alla propria sorte. Il vero co-protagonista delle pagine del poscritto è il popolo di Londra (e attraverso questo, tutti gli uomini): l’omicida che si nasconde nella notte deve compiere il proprio destino di sangue, e per farlo colpirà tra la folla nella quale si nasconde. L’emotività e il terrore suscitato dalle stragi è quello di chi si trova a dover ricordare che potrebbe essere la prossima vittima.

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