Mario Soldati (Torino 1906 – Tellaro 1999) ha avuto una fortuna piuttosto rara: quella di unire la carriera di scrittore di successo, l’attività di bravo regista e l’esperienza di popolare divulgatore televisivo. Nacque a Torino, agli inizi del Novecento. Cresce nell’ambiente intellettuale, liberale e antifascista, di Piero Gobetti, frequenta tra gli altri Giacomo Debenedetti, più grande di lui di cinque anni, è amico di Carlo Levi. L’appartamento dei suoi genitori era vicino a quello del padre del poeta Agostino Richelmy, con cui strinse lunga amicizia. Soldati si è sentito sempre e soprattutto scrittore: in particolare di racconti.

Anche se non bisogna dimenticare che, giovanissimo, negli anni dell’agiatezza economica, Soldati era stato attore dilettante ma anche autore teatrale: Pilato, dramma in tre atti, vinse nel 1924 il concorso della Federazione universitaria cattolica italiana (Fuci) di Torino e fu stampato l’anno successivo. È di quegli anni l’inizio di una passione per il cinema (in particolare per Charlot e Buster Keaton), ma l’ingresso professionale nel mondo cinematografico risale al 1931, di ritorno dall’America, più per ragioni attinenti alla sopravvivenza quotidiana che per vocazione, come dirà in seguito, forse esagerando con l’understatement. Allora, aveva già pubblicato la raccolta di racconti Salmace (1929) che è secondo me ancora oggi uno dei suoi libri più importanti. Ma Mario Soldati è stato anche l’antesignano del giornalismo enogastronomico, basato sul viaggio nei luoghi delle tradizioni: nel 1957 gira per la Rai, che non si era mai occupata prima di cibo, un format allora innovativo: “Alla ricerca di cibi genuini Viaggio nella Valle del Po”. Soldati rimarrà molto affezionato alla pianura padana, ai suoi luoghi più belli fino al Delta del Po (dove, lo vedremo, girò uno dei suoi film più importanti), e nei luoghi del Po ha ambientato I racconti del Maresciallo (1968). Scrisse anche il testo di Sua Maestà il Po con fotografie di Mario Galligani.

Tornando un attimo alla sua attività di esegeta-presentatore per la tivù delle specialità enogastronomiche italiane, Soldati fu il primo ambasciatore di quello che oggi chiamiamo “chilometro zero”: consigliava i telespettatori a consumare solo cibi e bevande (vini in primis) prodotti nel raggio di 50 km, genuini, fatti in loco in tutte le loro fasi. Chiedeva alle massaie ricette curiose e sofisticate, decantava ed esibiva la Salama da sugo ferrarese, faceva descrivere a Cesare Zavattini un succulento dolce emiliano simile al panforte senese (la spongata), ma lo si vedeva banchettare sobriamente con insalata e vino, al massimo una frittata: Soldati era l’antitesi del ghiottone nell’accezione pantagruelica della parola. Magro, nel senso di snello e scattante, Soldati è un vivace, curioso signore torinese catapultato a Roma dove vivrà fino al 1960. Mario Soldati e il suo rapporto odio-amore con la capitale: in un’intervista la definisce “affascinante e funebre”. Anche dall’aspetto, dal suo modo di porgere e incedere, Soldati univa la compostezza e la disciplina militare di un docente torinese di buona borghesia alla vivacità un po’ eccentrica dell’artista. E in effetti si era laureato (tesi sul pittore cremonese Boccaccio Boccaccini) con Lionello Venturi, uno dei più grandi storici dell’arte. Più avanti, dichiarerà di preferire Michelangelo a Moore; come dire: la tradizione classica versus l’avanguardia: “la tradizione non esaurisce mai il suo ruolo”. Il vero avanguardista sono io, diceva.

Forse sarebbe diventato un docente, se la vita non lo avesse indirizzato su altri lidi. E che approdi! L’America prima, e il mondo della celluloide subito dopo. Soldati è stato un bravo  sceneggiatore e regista, oggi un po’ trascurato dalla critica e dagli storici del cinema, molti dei quali lo relegano nella nicchia del cinema calligrafico o intellettualistico, anche perché molti suoi film sono trasposizioni cinematografiche di classici della letteratura: diresse 28 film, fra i quali “Piccolo mondo antico” (1941), primo film di realismo storico come lo definì Soldati stesso; e “Malombra” (1942), entrambi tratti dai romanzi di Antonio Fogazzaro; e poi citiamo “La provinciale” (1953) da un racconto di Alberto Moravia, e soprattutto “La donna del fiume” (1954) con Sophia Loren nel ruolo di un’operaia in uno stabilimento di lavorazione delle anguille a Comacchio: soggetto di Ennio Flaiano e Alberto Moravia, e fra gli sceneggiatori anche Giorgio Bassani e Pierpaolo Pasolini. Un film di Mario Soldati che andrebbe rivisto è anche “Policarpo ufficiale di scrittura” (principali interpreti: Renato Rascel e Peppino de Filippo), che rappresenta il suo addio al cinema (siamo nel 1958) e sul piano della narrazione filmica l’anello di congiunzione tra le “Miserie del signor Travet” da lui girato nel 1945 (e poi trasmesso in televisione nel 1954) e  il futuro Fantozzi. 

Ma è appunto la televisione che rende la presenza di Mario Soldati più familiare e concreta rispetto a tanti scrittori del suo tempo. Soldati diventa un personaggio popolare grazie al piccolo schermo. Con la sua immancabile pipa o il toscano, spesso con il basco o il panama in testa, gli occhiali, i baffetti, lo sprint, la verve elegante, la voce acuta e squillante, Soldati è personaggio non meno iconico di Alberto Moravia del quale fu amico pur fra gli altalenanti contrasti dovuti alla competizione letteraria. A proposito, mi viene in mente un articolo di Giovanni Raboni che dichiara apertamente la sua (secondo me bislacca) preferenza per Soldati rispetto a Moravia. Guarda caso, l’esordio di Soldati come narratore è nel 1929 stesso anno di uscita de Gli indifferenti di Moravia: in quell’anno Soldati pubblica i racconti di “Salmace”, che, con “America primo amore” (1935) e le “Lettere da Capri” (1954, Premio Strega) sono considerati i suoi libri più belli. Proprio nel 1929, anno sciagurato per l’economia mondiale, anno del crack di Wall Street, Soldati vola negli Usa a insegnare alla Columbia University con una borsa di studio ottenuta con l’intercessione di Giuseppe Prezzolini: gli articoli/racconti raccolti nell’autobiografico “America primo amore” sono il frutto di quell’esperienza. Il suo soggiorno negli States dura poco, ma è molto intenso: vi conobbe anche la prima moglie, Marion Rieckelmann, dalla quale ebbe  tre figli. Nel 1931 ritorna in Italia, senza aver ottenuto la cittadinanza americana. Inizia la carriera nel cinema, grazie alla segnalazione di Guido Artom, partendo come ciacchista alla Cines-Pittaluga, per un film di Mario Camerini, che Soldati considerò suo maestro.

La seconda vita di uomo di cinema all’inizio non va molto bene: in seguito all’insuccesso di Acciaio (scritto da Luigi Pirandello) lascia la Cines e Roma per ritornare al Nord. Il buen retiro sul lago d’Orta (a Corconio) gli permette di scrivere “America primo amore” che uscirà nel 1935 a Firenze: in copertina, ritratto di Soldati realizzato da Carlo Levi. Nello stesso anno esce, sotto pseudonimo (si saprà che è di Soldati solo con la riedizione Sellerio del 1985) “24 ore in uno studio cinematografico”. 

A Roma ritorna verso il 1936; vi rimarrà più o meno stabilmente fino al 1960. Dopo il proclama di Badoglio, nella notte del 14 settembre 1943 abbandona, con Dino De Laurentiis, Roma, materia del libro “Fuga in Italia” uscito nel 1947. Due anni prima di quel viaggio verso l’Italia liberata, aveva conosciuto la sua seconda moglie, Jucci Kellermann, attrice di Fiume, dalla quale  nacquero tre figli, Wolfango, Michele e Giovanni. Giovanni Soldati, nato nel 1953 è anch’egli regista. Non vogliamo fare una lista dei libri -sarebbe lunga- di Mario Soldati: quelli che abbiamo citato sono sufficienti per farsi un’idea del suo stile. Potremmo aggiungere Le due città (1964), il suo testo più lungo, che ripercorre la giovinezza torinese e gli anni del cinema a Roma.

Particolare rilievo nel sua memoria -e per comprendere la poliedricità di Soldati- assume la famiglia: il padre Umberto Bargilli, commerciante di tessuti, era torinese, ma di origine e lingua francesi; la madre, in parte toscana, religiosissima, veniva da una famiglia di tradizioni militari. Il nonno materno, Giuseppe, fu importante per la formazione di Soldati. I suoi genitori non andavano però d’accordo e si separarono. Soldati studiò da esterno al collegio dei Gesuiti fino alla Maturità Classica. E i gesuiti ritornano anche in alcuni suoi racconti. 

Mi piace chiudere questo breve profilo con le parole di Antonio Debenedetti, figlio del critico letterario Giacomo Debenedetti che fu amico di lunga data di Mario Soldati: “Soldati era uno e trino, recitava la sua vita, è un grande scrittore, un grande attore, e grandissimo affabulatore. L’immagine televisiva di Soldati è l’antitesi del tipico presentatore o anchorman. Soldati trova nella televisione un nuovo mezzo espressivo perché quando faceva un romanzo doveva fare lo scrittore e quando faceva un film doveva fare il regista. Quando fa la televisione, invece, salta dall’altra parte: è contemporaneamente l’autore, il regista e l’attore”. E forse non avrebbe saputo recitare meglio altro ruolo che se stesso.

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Una risposta a “Soldati, personaggio “uno e trino”, lo scrittore che inventò il km zero”

  1. […] Gadda e Alberto Moravia si sia dovuta pagare i primi libri e spesso non solo quelli? Persino Mario Soldati ebbe difficoltà a pubblicare America, primo amore, rifiutato da Bompiani nel 1935; e perché? […]

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