Il volo che Bohumil Hrabal fece nel febbraio del 1997 dalla finestra del quinto piano della stanza d’ospedale dove era ricoverato interruppe in modo misterioso (sebbene in parte annunciato da un autore che ha flirtato a lungo con il suicidio) la carriera di uno scrittore su cui è bene vengano puntati nuovamente i riflettori. Hrabal fu popolare in Italia tra gli anni ’60 e – con discontinua fortuna dovuta sostanzialmente al suo rapporto con i comunisti oltre (e intra) Cortina – e gli anni ’80 del Novecento. La spinta propulsiva dell’instancabile opera di divulgazione della letteratura praghese di Angelo Maria Ripellino contribuì a mantenere viva nel pubblico l’attenzione per Hrabal anche dopo la morte del più grande slavista italiano di sempre (avvenuta nel 1978) soprattutto grazie alla traduzione di molte opere da parte dell’editore E/O. 

Una fama alimentata anche dal cinema. Il movimento della Nová Vlna ispirato dal neorealismo italiano e dalla nouvelle vague francese trovava nello scrittore di Brno il suo principale punto di riferimento letterario. È bene ricordare come gli esponenti di questa corrente cinematografica fossero in grado di riscuotere un grande successo internazionale. Ad esempio tra il 1966 e il 1969 ci fu ogni anno almeno un film cecoslovacco tra i candidati al Premio Oscar come Miglior Film Straniero: lo vinsero nel 1966 Il negozio al corso di Jan Kadár e Elmar Klos e nel 1968 Treni strettamente sorvegliati di Jiří Menzel (tratto dall’omonimo romanzo di Hrabal), mentre Milos Forman rimase a mani vuote sia nel 1967 con Gli amori di una bionda che nel 1969 con Al fuoco, pompieri! Anche per le fortune del movimento – ca va sans dire – l’arrivo dei carri armati sovietici in piazza San Venceslao fu una sventura dalla portata devastante e il cinema cecoslovacco non riuscì più a tornare ai livelli di un tempo.

Tornando a Hrabal, “si colloca dunque alla convergenza della linea metafisica di Kafka-Meyrink con quella scurrile-loquace di Hašek” scrive Ripellino nella sua nota a Inserzione per una casa in cui non voglio più abitare (Einaudi, 1968) sostanzialmente attribuendo allo scrittore il grande merito di effettuare una sintesi efficace tra le principali matrici – nella lettura che ne fa il grande slavista rimane esclusa solamente quella riconducibile a Jan Neruda – della letteratura praghese. Chi però volesse cercare le sue tracce nel panorama della capitale dovrebbe recarsi nel fango della periferia, le sue atmosfere nel quartiere periferico abitato di zingaridi Libeň. In questa parte della città è ambientato La cittadina dove il tempo si è fermato – a mio avviso uno dei più riusciti Hrabal tra quelli meno noti – dove le signorine animano le birrerie offrendo coppe di champagne all’amico di turno “così hai qualcosa da pisciare”.

La grandezza di Hrabal consiste nello sfuggire a ogni classificazione letteraria. Intanto la lunga lista di mestieri svolti nel corso della sua vita è senz’altro poco riconducibile al classico cursus honorum dell’uomo di lettere: magazziniere, operaio in un’acciaieria, rappresentante di commercio, assicuratore, imballatore di carta, macchinista sui treni, comparsa teatrale e avanti enumerando, le esperienze lavorative trovano spesso una corrispondenza tra le pagine dei suoi libri (impossibile non ricordare che il protagonista de Una solitudine troppo rumorosa lavora a una press compattatrice di carta). Anche lo stile è però originalissimo, con la sua caratteristica commistione tra un’espressività soggettiva e affabulatoria – quasi un horror vacui della parola – e stilemi più tradizionali. Per chiudere con le ambientazioni, i protagonisti e le situazioni descritte nei suoi libri. Hrabal stesso afferma “ho reso umani i pettegolezzi da ballatoio e il vituperio e l’ingiuria, ho lanciato in situazioni estreme lo splendore dei chiacchieroni e il loro sollazzarsi, che talvolta finisce alla polizia o all’ospedale”.

Hrabal è l’anti-Kundera. Se l’autore de L’insostenibile leggerezza dell’essere ha scelto l’esilio ribadendo la sua lontananza dalla Cecoslovacchia abiurando la lingua madre per il francese e proibendo la traduzione delle sue opere in patria, Hrabal ha deciso di rimanere a costo di dover fare i conti con gli isterici paradossi della burocrazia comunista (che a tratti lo incensava e a tratti lo censurava). Un grande scrittore che ha scelto di sguazzare in una quotidianità piccina, in villaggi dal perimetro dominato da fabbriche e birrerie, pisciatoi e mattatoi. I personaggi di Hrabal sono piccoli funzionari, macchinisti impotenti, mariti gelosi e impiegati falliti raccontati con lirismo appassionato e vitalistico, senza pause. Se i racconti del cameriere di Ho servito il re d’Inghilterra sembrano eccessivi quando riguardano banchetti a base di cammelli ripieni, non lo sono quando descrivono lo stupore dell’innamorato davanti al pube dell’amante ricoperto con devozione da petali di peonie. E ancora il radunarsi frenetico dei paesani in occasione della maialatura riporta il lettore de La tonsura a un modo di scandire il tempo collettivo e in qualche misura orgiastico. A chi volesse scoprire il segreto della sua penna, ecco che viene in soccorso il protagonista/narratore de Una solitudine troppo rumorosa, non a caso considerato il capolavoro di Hrabal. “Quando non scrivo, è allora che scrivo di più. Quando passeggio, quando cammino, quando faccio un monologo interiore, quando assorbo non solo quello che sento e che è interessante ma anche ciò che matura dentro di me… E allora di nuovo esco e vado in giro per le birrerie, è solo nella taverna che i discorsi si muovono”.

Hrabal insieme a Vaclav Havel e Bill Clinton

Che l’interesse per i paesi slavi sia diminuito dopo la caduta del muro di Berlino è un dato di fatto. Eppure ritengo che Hrabal occupi un posto di primissimo piano tra gli autori da recuperare. È stato un outsider dalla spiccata ingenuità e dal notevole talento espressivo. Le sue opere sono ancora in catalogo, pubblicate tra gli altri da Einaudi, Guanda, E/O: spero che l’importanza di questi editori – insieme a Miraggi nella galassia della piccola editoria – contribuisca alla sua riscoperta. In fin dei conti basterebbe scuoterlo un po’ per ritrovare il brio di  uno scrittore che si è fatto seppellire in una bara di quercia con sopra inciso il nome della fabbrica di birra dove sua madre e l’uomo che gli ha fatto da padre si sono conosciuti…

Autore

Una risposta a “Evviva Bohumil Hrabal!”

  1. Bravo, Alessandro! Quando la cultura non è fine a se stessa, ma è piena di Vita… Bohumil era una persona, prima di essere uno scrittore. Incontrarlo, in un libro o in un film, è conoscenza… e poesia in prosa

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