I fratelli Vanzina occupano un posto indubbiamente non secondario nella storia del cinema italiano, avendo inanellato una vasta filmografia, tra alti e bassi. Ma risulta francamente stucchevole questa pressoché acritica rivalutazione della loro opera, sempre più temerariamente equiparata alla commedia all’italiana.
Il pretesto di queste riflessioni nasce dal fatto che a 40 anni dall’uscita, solo per un giorno, Vacanze di Natale (1983) torna nelle sale in versione restaurata e rimasterizzata con l’aura del “cult movie” e per l’occasione sarà organizzata a Cortina una festa che riunirà il cast.
Il film considerato, a torto o a ragione, il capostipite dei famigerati “cinepanettoni” in seguito interpretati da Boldi & De Sica è cinematograficamente desolante sotto il profilo tecnico, con una fotografia sciatta e un montaggio ripetitivo che scandisce ogni siparietto con stacchi di musica pop del momento che riprendono scenari generici della location del film. Il canovaccio raffazzonato della storia è un pretesto per proporre gag volgari ispirate alla tendenza inaugurata dalla Tv berlusconiana alla “Drive In”.
Diventa quindi temerario l’approccio della critica odierna nell’equiparare questa pellicola alla tradizione dei Risi e Monicelli (ma anche solo a Camillo Mastrocinque, Vittorio De Sica e Alberto Sordi). All’epoca i recensori trattarono questo film con il giusto equilibrio, poi il trascorrere del tempo ha come stemperato certe preclusioni a beneficio di una riconsiderazione critica ridicola.
A un Jerry Calà che non è mai stato un attore e ad un Christian De Sica insopportabile (ancora troppo condizionato dall’imitazione della gestualità sordiana) rimangono oggi le prestazioni di Guido Nicheli, il Cumenda anticipatore del Milanese Imbruttito e, soprattutto, Mario Brega impagabile “coatto”.
Vacanze di Natale non ha raccontato, e messo in ridicolo, i difetti e le (rare) virtù degli italiani ma ha voluto semplicemente sfruttare la deriva del cinema italiano di quel periodo (ma andatevi a rivedere quali grandi film sono apparsi negli anni Ottanta!) alimentando i rigurgiti provenienti dalla pancia di una certa categoria di spettatori.
Si può serenamente affrontare qualunque opera (filmica), sotto il profilo critico, e anche trovarne i punti di forza, se l’approccio è obiettivo e non contaminato da incomprensibili necessità di “riabilitazioni” che mortificano chi il cinema lo fa veramente.
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