La notizia è circolata in questi giorni: Mogol, all’anagrafe Giulio Rapetti, famoso per la sua collaborazione come paroliere di Lucio Battisti, sarebbe un possibile candidato al premio Nobel. Sembra una cosa seria. Si ripropone così un tema già balzato alla ribalta dei media quando assegnarono il premio a Bob Dylan (2016) e prima ancora al nostro Dario Fo (1997). 

Mogol

Il Nobel per la letteratura conferito al poeta e cantautore americano, per ora un unicum nella storia del premio letterario più famoso e ambito al mondo, ha posto indirettamente la questione, molto dibattuta anche a livello accademico, della differenza (non sempre evidente e plausibile) tra poesia e testi per le canzoni. La vera domanda non è, però, quella relativa all’opportunità di attribuire un Nobel della letteratura a un “geniale menestrello della contemporaneità” come Bob Dylan; o a un altrettanto geniale scrittore di versi/parole per canzoni immortali come quelle di Lucio Battisti; la vera domanda è: come mai dal 1975 (anno in cui l’Accademia di Svezia conferì il massimo riconoscimento a Eugenio Montale) l’Italia non porta a casa un Nobel della letteratura nel senso stretto del termine? No, non sto dimenticando Dario Fo che lo ricevette nel 1997; e anche allora vi ricordate   che polemiche? Motivazione ufficiale per l’assegnazione del Nobel a Fo: “perché seguendo la tradizione dei giullari medievali dileggia il potere restituendo dignità agli oppressi”. Alzi la mano chi non ebbe un momento di perplessità considerando che, se era facilissimo capire i contributi di Fo al teatro, risultava un po’ meno immediato comprenderne il ruolo nella storia della letteratura italiana. Nell’immaginario collettivo Dario Fo è “Mistero Buffo”, con i suoi tipici grammelot. Comunque, l’assegnazione del Nobel per la letteratura a Dario Fo è stato il primo segnale di forte discontinuità, di rottura con la tradizione (l’anno prima, 1996, il Nobel era toccato alla poetessa Wislawa Szimborska).

Le polemiche e le discussioni sul Nobel assegnato a Bob Dylan nascevano in gran parte dal disappunto di coloro che ritenevano, e ritengono tuttora, più in linea con la tradizione e il concetto invalso e mainstream di letteratura, premiare scrittori come Philip Roth. Ma l’Accademia di Stoccolma ha voluto, secondo me, lanciare il seguente messaggio: premiando Dylan ha riconosciuto l’importanza dell’artista/poeta/musicista rappresentativo di un livello alto e impegnato, simbolico di un’epoca e di uno stile, nell’ambito della cultura pop. Ed è proprio nel superamento di queste stucchevoli e vecchie antitesi (poeti vs parolieri, letteratura vs romanzo di consumo, cultura alta vs cultura di massa o pop, ecc.), è proprio nel tentativo di abbattere questi Muri di Berlino ancora in piedi, che va vista, secondo me, l’assegnazione del Nobel a Dylan. 

Philip Roth

Non sono, però, meno stupefacenti certe scelte in ambito questa volta strettamente letterario: quanti conoscevano in Italia Derek Walcott, il poeta di origine caraibica, autore, fra l’altro, del poema Omeros e insignito del Nobel nel 1992?  O il francese Jean-Marie Gustave Le Clezio, Nobel per la letteratura nel 2008? E Annie Ernaux, la scrittrice francese nata nel 1940 (come Le Clezio), semisconosciuta in Italia fino alla sua vittoria del Nobel per la letteratura nel 2022? Chi conosceva, mi riferisco al grande pubblico non specializzato, seppur poetòfilo, autori come l’irlandese Seamus Heaney (1995), lo svedese Tomas Tranströmer (2011) e l’americana Louise Glück (2020)? 

Derek Walcott, Nobel nel 1992, è uno scrittore di Santa Lucia, poeta caraibico in lingua inglese: è americano? Lui scrisse: “ho dell’inglese, del negro, e dell’olandese…sono nessuno o sono una nazione”. Walcott è un melting pot di nazionalità e questo si riflette sulla sua carriera di scrittore. Mi ricordo che acquistai “Omeros” in lingua originale quando uscì nel 1990.  Dovetti aspettare più di dieci anni (il 2003) per la traduzione italiana (di Andrea Molesini per Adelphi),  l’inglese di “Omeros” è  difficile perché impastato di termini attinti dal patois caraibico. “Omeros” è un poema di quasi 8.000 versi distribuiti in 7 libri e 64 capitoli, scritti in terzine di esametri simil-dantesche, cioè  senza il rigoroso schema aba bcb e così via. Omeros più che un poema nel senso tradizionale del termine, è un romanzo in versi i cui protagonisti sono tre marinai (chiamati omericamente Achille, Ettore, e Filottete) di S. Lucia e una bellissima creola del luogo, Elena, cameriera in un hotel di lusso di Saint Lucia, della quale Achille ed Ettore sono innamorati. Il poema ha in realtà molti più personaggi e la trama si suddivide in tre sottofiloni narrativi. Uno dei poeti prediletti da Josif Brodskij, Walcott è stato uno scrittore fluviale (poesia,  teatro,  saggistica) in termini quantitativi: scriveva tantissimo, versi lunghi, tersi, descrittivi e precisi,  pieni di luce, vegetazione e animali come la sua terra,  un poeta classico ed epico nato nei Caraibi anziché nel Mediterraneo. Un Omero rinato a Saint Lucia anziché in Grecia, nella persona di un poeta di colore dagli occhi verdi, rosso di capelli. Una sintesi e crocevia di più culture e mondi.

Derek Walcott

Ormai da più di un decennio la strategia alla base dei Nobel per la letteratura mi sembra riconducibile a due obiettivi: 1) valorizzare/far conoscere/riscoprire autori poco noti al di fuori dei loro paesi di origine ed eventualmente le case editrici che li pubblicano; 2) scegliere come criterio di assegnazione del premio un leit motiv dell’establishment o del mainstream mediatico-politico del momento.

Il punto 1 resta una motivazione valida e nobilissima, anche se rischia di spiazzare il lettore di cultura media, non specializzato. Nel punto 2 il Nobel rischia di diventare, forse lo è già, un mero strumento di marketing per promozionare meglio i cavalli alternativi delle scuderie editoriali. Il Nobel è una nuova leva del marketing mix editoriale. 

Torniamo alla domanda iniziale: come mai dal 1975 (anno in cui il massimo riconoscimento andò a Eugenio Montale) l’Italia non porta a casa un Nobel della letteratura stricto sensu, a parte il Nobel a Dario Fo nel 1997. Porsi questa domanda equivale a chiedersi se davvero l’Italia non ha prodotto uno scrittore/poeta ritenuto degno di tale premio. E distinguo non a caso tra scrittore e poeta, perché i nostri Nobel storici sono numericamente più poeti (Giosuè Carducci nel 1906, Salvatore Quasimodo nel 1959 ed Eugenio Montale nel 1975) che narratori e drammaturghi (Grazia Deledda 1926 e Luigi Pirandello, 1934); ed è il mondo della poesia che ha espresso le principali recenti candidature italiane (es. Mario Luzi, Andrea Zanzotto, Giorgio Caproni, Franco Loi: ormai tutti defunti). Dalla narrativa, che in Italia è un genere prettamente instant o di consumo, può venir fuori poco: se escludiamo gli scrittori della generazione che va da Moravia a Vittorini-Calvino-Pavese, da Manganelli ad Arbasino, da Soldati-Bassani-Cassola a Volponi, l’Italia ha prodotti tanti scrittori di “genere” (giallisti, noiristi) e/o di consumo, ma nessuno mi sembra sia candidabile al Nobel, anche fra quelli più giovani e innovativi. 

Ma il discorso italiano non mi sembra diverso da quello americano. Dopo il Nobel a Ernest Hemingway (1954), a John Steinbeck (1962), a Saul Bellow (1976), a Isaac Bashevis Singer (1978), di cui Adelphi sta pubblicando l’opera, e che scriveva oltretutto in jiddish, e Joseph Brodskij (1987), scrittore bilingue (russo/inglese), bisogna aspettare Toni Morrison (1993), prima scrittrice afro-americana a conquistare il Nobel, e Louise Glück nel 2020. E si noti: Joseph Brodskij e Louise Glück sono due poeti (Brodskij anche un originale saggista: basterebbero solo Fuga da Bisanzio e Il canto del pendolo). Nel 2023 il Nobel è stato assegnato a Jon Fosse scrittore e drammaturgo norvegese nato nel 1959: una generazione che in Italia è semplicemente del tutto ignorata dal mondo accademico. In sintesi e per concludere: la cosa migliore sarebbe istituire un Nobel per i grandi scrittori ormai non più fra noi. Cioran non meriterebbe un Nobel? E Philip Roth, no? E Ingeborg Bachmann?  E Giorgio Caproni? E Italo Calvino? E Alberto Moravia? E Henry Miller? In alternativa a Mogol, o a Franco Migliacci (scrisse i testi di canzoni immortali come Nel blu dipinto di blu, Fatti mandare dalla mamma, Il cuore è uno zingaro, Che sarà), mancato proprio di recente (settembre 2023), candido al prossimo Nobel  Mitsuslaksvkij Ppepperebbebi per il suo contributo alla conoscenza degli anemoni brincicati delle isole Kukeskiolliki. 

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