A meno di dieci anni dalla sua pubblicazione Roald Dahl, beniamino della letteratura per bambini del dopoguerra, vede il suo più grande successo, Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, adattato per il cinema – una versione che ha completamente sconfessato (un po’ come accadde tra Stephen King e Stanley Kubrick con Shining), perché chiamato a firmare la sceneggiatura che fu poi riscritta da David Seltzer (senza apparire).
Con il suo cast eterogeneo, questo “primo Wonka” (ne seguiranno altri due: il remake di Tim Burton nel 2005, e il prequel di Paul King nel 2023) non parla tanto di un uomo che non vuole crescere quanto di un ragazzino che rifiuta, nonostante i ripetuti assalti della realtà, di abbandonare i suoi sogni.

I più oggi ricordano la versione di Tim Burton, ma quanto è lontano il film di Mel Stuart! Solo la trama è simile: Charlie Bucket, un simpatico ragazzino povero, segretamente sogna di poter visitare la misteriosa fabbrica di Willy Wonka, mastro cioccolataio. Quando il caso lo porta al cospetto di uno dei cinque “biglietti d’oro” che danno accesso al suo edificio segretissimo, Charlie vede i suoi sogni tramutarsi in realtà…

Gene Wilder incarna il personaggio di Willy Wonka con una grazia sorprendente, arricchendolo della sua ironica fragilità. Ma anche della sua propensione al nonsense (un ruolo al tempo ambito da tutti i Monty Python). Il suo Willy Wonka è un uomo molto sicuro di sé, un artigiano appassionato, un dandy compiaciuto… e un uomo con un senso dell’umorismo enigmaticamente oscuro.

Perfettamente a suo agio nel suo fantasmagorico mondo, Wonka ingannerà, giocherà, umilierà quei suoi giovani visitatori di cui non apprezza nel profondo la natura egoista, e i loro diseducativi genitori. Tutto è architettato affinché un bambino, e uno solo, “trionfi” nelle prove allestite da Wonka, con quelle visite nelle stanze apparentemente concepite per respingere i piccoli insopportabili concorrenti.
Allo sceneggiatore David Seltzer si deve l’improponibile armamentario di citazioni malevole che scandiscono il discorso di un placido e meschino Willy Wonka: “La suspense è terribile. Spero che duri”, esclama mentre uno dei suoi giovani visitatori subisce un martirio potenzialmente fatale. Gene Wilder fornisce una particolare miscela di candore e minaccia, che avrebbe fatto miracoli qualche anno dopo nella sua composizione del dottor Frankenstein, in Frankenstein Jr (id., 1974) di Mel Brooks. Seltzer scrive una partitura linguistica sotto forma di fragili fuochi d’artificio che stempera il suo aspetto aggressivo e meschino solo in virtù della interpretazione superlativa di Wilder.

Roald Dahl, l’ideatore della sceneggiatura, come si è detto non si ritroverà mai veramente in questo film, anzi lo rinnegherà completamente. Ciò è dovuto alla rilettura svolta da Seltzer e Stuart? Tuttavia, questo Wonka è un racconto ancorato a una realtà molto specifica: quella della povertà materiale e sociale la cui analisi è quasi politica. Siamo di fronte ad un film musicale ispirato liberamente alla fantasia, che raggiunge il punto più alto nella visita alla fabbrica. Ma la visita alla fabbrica, così come l’apparizione di Willy Wonka, arriva solo nella seconda parte della pellicola.
Inoltre, musicalmente parlando, la stessa colonna sonora (di Leslie Bricusse) in cui un brano è interpretato dagli Umpa-Lumpa, lo colloca lontano dalle produzioni tradizionali del filone musical.

La prima parte del film tratteggia una serie di caricature, istantanee che delineano a grandi linee personaggi tipici della società, ma che hanno la particolarità di essere state disegnate esattamente al cospetto dei soggetti sottoposti alla critica (a differenza del film di Burton, che appare da questo punto vista quasi ridondante). Sia il film di Stuart che il libro di Roald Dahl danno una chiara testimonianza di lungimiranza sui difetti di una società, difetti che sono purtroppo diventati molto familiari. Queste caricature, abbastanza omogenee nello svolgimento della storia, permettono di inquadrare Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato nella categoria dei film di taglio politico, più che in quella innocua delle commedie musicali per bambini.

Certo, il nostro Willy Wonka non è esattamente un simbolo politico. Tuttavia, sia l’interpretazione di Gene Wilder che la regia di Mel Stuart gettano un’ombra sottile su questo film apparentemente semplice e “infantile”, così come fa Roald Dahl nel suo libro. Opera singolare: spettacolo per bambini dal taglio sovversivo, un modello oggi diventato un classico, che gioca su più livelli di lettura.
Molti anni dopo ci sarebbe arrivata la Disney/Pixar.

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