Nel 1969 due grandi protagonisti del cinema italiano si trovavano in aperto conflitto, a cui attribuivano tuttavia un’importanza diversa. Il naufragio del progetto de Il viaggio di G. Mastorna, che Federico Fellini abbandonò su consiglio di un veggente che gli predisse sventura qualora avesse proseguito nella sua realizzazione, non fu mai digerito da Ugo Tognazzi. Immancabilmente il felliniano Tullio Kezich definisce il progetto “il film non realizzato più famoso della storia del cinema”: non siamo certi che il critico triestino avesse ragione, ma è certo che il buon Tognazzi se la legò al dito. L’attore cremonese, che dimostrò nel corso della carriera di patire un po’ quel senso di inferiorità che gli attori comici sentono quando approdano nel cinema “d’autore”, percepiva infatti la collaborazione con il regista italiano più famoso al mondo come un’occasione irripetibile per scrollarsi di dosso la riduttiva etichetta di “comico” che ancora certa critica gli affibbiava. Per procurarsi una parziale rivincita, Tognazzi – solitamente attentissimo nel selezionare le parti che gli proponevano – accettò così di partecipare al Satyricon che Polidoro e il produttore Alfredo Bini realizzarono talmente velocemente da uscire nelle sale ad aprile del 1969, bruciando sul tempo il maestro riminese.
Per una strana ironia della sorte, l’autore latino passato alla storia come arbiter (elegantiae) si trovò infatti di nuovo al centro di dispute che nulla avevano a che fare con i valori artistici dei due film. Innanzitutto, quella sulla priorità e la legittimità: se è infatti vero che Fellini conobbe l’opera di Petronio su suggerimento del collega Marcello Marchesi all’epoca della sua attività come giornalista e vignettista per la testata satirica e umoristica romana Marc’Aurelio, è altrettanto vero che non formalizzò il suo interesse a realizzarne una riduzione cinematografica fino al 1968. Alfredo Bini aveva invece depositato già nel 1962 un soggetto ispirato all’opera di Petronio, dopo averne acquistato i diritti, e la notizia ebbe ampia eco sui giornali di quell’anno. Fu proprio il produttore così ad avviare l’azione legale, a cui Fellini rispose con una controquerela e una dichiarazione stizzita giudicando “scorretto il comportamento di quei colleghi che hanno accettato di realizzare un film tratto dalla stessa opera alla quale ben sapevano che stavo lavorando da molti anni per trasportarla sullo schermo”1. Il Tribunale diede comunque ragione a Bini (in Italia “l’altro” film dovette distinguersi con il titolo di Fellini Satyricon) che presto fu costretto però a fronteggiare problemi giudiziari ben più gravi.
Infatti il Satyricon di Polidoro subì un processo che tenne banco su giornali e rotocalchi a cavallo tra il 1969 e il 1970. Accusato di ricorso a manodopera minorenne con l’aggravante nientemeno che di corruzione di minori per un presunto bacio ricevuto dall’allora quattordicenne Francesco Pau sul set, dopo quattro giorni di ottimi incassi la pellicola venne posta sotto sequestro dalla magistratura. Nonostante l’implacabile j’accuse del pubblico ministero che aprì l’iter processuale (“il film è osceno sia nella trama, sia nella rappresentazione continua di nudità femminili sia nella descrizione di sedute orgiastiche nonché di rapporti sessuali ed omosessuali misti ad alcuni atti di sadismo. La volgarità delle scene muove soltanto al disgusto”2), la strategia di difesa si rivelò vincente. Grazie anche a un appassionato intervento di Alfredo Bini in occasione del Festival del Cinema di Cannes che procurò a produttore e regista la solidarietà di numerosi intellettuali (capeggiati da Michelangelo Antonioni, che rivolse al collega Polidoro una lettera di difesa), Satyricon – benché ampiamente rimaneggiato – riuscì a ritornare nelle sale.
Alfredo Bini
Non esistono elementi che confermino i sospetti di chi sostiene che i produttori di Fellini e gli ambienti a lui vicini avessero fatto pressioni sulla magistratura affinché la pellicola di Polidoro venisse confiscata, tuttavia la battuta che circolava in quegli anni “perché a Fellini sì e a me no?” sintetizza lo scoramento di chi doveva fare i conti con la commissione di revisione cinematografica. La stampa, inoltre, inevitabilmente condizionata dall’autorevolezza del più celebrato regista del nostro paese, fu particolarmente severa nei giudizi del film di Polidoro. Certo stiamo parlando di un’opera con gravi difetti e ovviamente imparagonabile per valore a Fellini Satyricon, che si aggiudica per no contest il confronto artistico, ma sembra eccessivo giudicare Satyricon di Polidoro come una messa in scena scurrile (in fin dei conti poteva contare su uno sceneggiatore come Rodolfo Sonego, specializzato in film di ambientazione antico-romana), il cui unico compito era di sfruttare l’attesa per l’opera omonima, così come scrisse gran parte della critica.
E Tognazzi? Ingaggiato da Polidoro per il ruolo di Trimalcione nella scena della cena delle beffe, dopo quasi vent’anni di carriera e circa novanta film, era ormai sufficientemente corazzato a ricevere critiche puntute. Si riserverà il gusto della battuta conclusiva sul tempestoso rapporto con il regista riminese, ammettendo candidamente in un’intervista che “a me non dispiace il dispettino che ho fatto a Fellini”3…
1ANSA- ansacine 9 del 26/27 luglio 1968, Fellini controquerela produttore Bini
2 La Stampa, 26 gennaio 1970
3Tullio Kezich, Panorama, Milano, 24 aprile 1969
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