Chiunque voglia intraprendere la lettura del saggio di Catherine Nixey Nel nome della croce. La distruzione cristiana del mondo classico pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri verrà facilmente sorpreso da una lettura avvincente ai limiti dell’avventuroso e soprattutto dall’originalità del tema trattato. Il libro dell’insegnante e giornalista inglese tratta dell’affermazione del Cristianesimo a cavallo dei secoli IV-VI ma dal punto di vista della cultura greco-romana, evidenziando come i documenti rimasti facciano piazza pulita dell’agiografia rivelando invece come non ci sia niente di eroico da celebrare dalla prospettiva classica.
Con sapienza letteraria, Nixey apre il suo saggio con la devastazione avvenuta intorno al 385 d.C. del tempio di Palmira dedicato ad Atena. Un gruppo di cristiani decapitò la grande statua della dea greca, l’elmo venne fatto a pezzi, le braccia mozzate all’altezza delle spalle e l’altare rimosso. Appena due anni prima l’imperatore Graziano aveva deciso di far rimuovere dal Senato di Roma l’Altare della Vittoria, tradizione antica e stimata che risaliva ad Augusto: ogni culto antico doveva essere cancellato.
L’episodio del prologo è solo la prima – e nemmeno la più eclatante se si pensa alla distruzione del tempio dedicato a Serapide ad Alessandria d’Egitto (una delle meraviglie del mondo classico) o al massacro avvenuto nella stessa città della filosofa Ipazia – di una serie di violenze che hanno consentito la presa di potere da parte della rampante civiltà cristiana a fronte di una vera e propria apocalisse per il mondo classico. Eppure, nonostante la decisiva importanza per il nostro mondo, quel periodo risulta ancora relativamente poco studiato.
Ipazia nella raffigurazione di Charles William Mitchell
La penna di Nixey è abile, veloce e sicura nel condurre il lettore in un viaggio attraverso i principali centri culturali dell’antichità, che consente anche ai non specialisti di equilibrare la tradizionale versione dei fatti. In fin dei conti, scrive l’autrice, “le persecuzioni romane lasciarono il cristianesimo abbastanza in forze da poter non solo sopravvivere, ma anche prosperare – fino a prendere il controllo della struttura governativa. Al contrario, quando le persecuzioni cristiane ebbero ufficialmente termine, un intero sistema religioso era stato spazzato via dalla faccia della Terra”.
Ad esempio i martiri sono stati utili strumenti di propaganda ma – come ricordato nel libro – “analisi condotte sul calendario dei santi hanno rivelato che alcuni santi compaiono più volte, diversi non sono mai esistiti e che oggi «si ritiene che meno di dieci storie di martirio dell’epoca della prima Chiesa siano affidabili». Per lo storico ecclesiastico William Hugh Clifford Frend (1916-2005) i martiri cristiani in tutto non erano che centinaia, e non migliaia”. È noto come il Pantheon romano accogliesse ogni culto, purché non in contrasto con le istituzioni romane e proprio questo clima di relativa tolleranza nei confronti dei culti stranieri che l’impero ha sempre avuto, ha permesso al cristianesimo di proliferare e di conquistare posizioni via via più importanti nella società, fino alla decisiva conversione di Costantino (figura dall’innegabile importanza storica ma non propriamente un santo, visto che fece letteralmente bollire la moglie Fausta).
Santi e profeti sfruttarono l’ignoranza e il fanatismo della parte più violenta della popolazione, con perdite irreparabili. La Chiesa ha sì preservato una notevole quantità di opere classiche, ma prima di preservare ha distrutto. Sono innumerevoli le opere che abbiamo perduto per sempre a causa del fanatismo profondo che animò quel periodo: magnifiche statue fatte a pezzi, roghi pubblici di libri, templi devastati, bassorilievi divelti, palazzi rasi al suolo. Nixey scrive che “solo l’uno per cento della letteratura latina è riuscita a varcare indenne i secoli. Del restante novantanove per cento non rimane nulla” e più in generale, di tutta la letteratura classica, meno del 10% è sopravvissuta fino a oggi. Il «trionfo» del Cristianesimo fu la sconfitta definitiva della classicità, sancita dall’imposizione coatta del Cristianesimo e dalla chiusura di tutte le scuole filosofiche non cristiane sotto Giustiniano I.
Come detto, Nel nome della croce assume il punto di vista del mondo classico, con inevitabili prese di posizione a favore dei suoi esponenti e delle sue conquiste, mentre dipinge a tinte fosche i violenti e facinorosi cristiani. La lettura del saggio è tuttavia fortemente raccomandata per la sua alta qualità; inoltre, in un momento storico particolare in cui gli sceneggiatori sembrano in crisi creativa ed è tutto un proliferare di biopic o comics, molti degli episodi storici descritti risultano quasi cinematografici per la loro spettacolarità…
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