Si sa che Huston non ha mai rifiutato un ingaggio redditizio, ma come il suo contemporaneo Orson Welles, di solito riservava questa attività “prezzolata” nelle apparizioni in film di altri registi. Il nostro era diventato molto richiesto come attore caratterista dopo la sua memorabile interpretazione del malvagio magnate dell’acqua Noah Cross nel classico di Roman Polanski Chinatown (id., 1974). Ma si dimostrò subito poco esigente comparendo, nel giro di pochi anni, in filmetti come Tentacoli (1977, di Ovidio G. Assonitis/Oliver Hellman); Il triangolo delle Bermude (Triángulo diabólico de las Bermudas, 1978), di René Cardona; Il grande attacco (1978), di Umberto Lenzi; Stridulum (1979), di Giuseppe Paradisi; Nel mirino del giaguaro (Jaguar Lives!, 1979), di Ernest Pintoff. Veri e propri filmacci!

Dopo l’acclamato ma poco visto La saggezza nel sangue (Wise Blood, 1979), adattamento dell’omonimo romanzo di Flannery O’Connor scritto nel 1952, l’allora 74enne John Huston si ritrovò a Toronto a dirigere Fobia (Phobia, 1980), destinato all’oscurità quasi totale a parte alcune incursioni notturne nelle tv via cavo.

Nel suo unico ruolo da protagonista sul grande schermo, Paul Michael Glaser – coprotagonista al fianco di David Soul nella serie poliziesca Starsky & Hutch – interpreta il dottor Peter Ross, uno strizzacervelli di Los Angeles che ha aperto un’attività a Toronto, dove sta conducendo un trattamento sperimentale potenzialmente rivoluzionario delle paure irrazionali, utilizzando detenuti volontari come sue cavie. Il trattamento non sembra essere altro che mettere i pazienti davanti a un grande schermo dove sono costretti a guardare quella che è una rappresentazione multimediale di immagini dal vivo di qualunque cosa li spaventi di più, che si tratti di serpenti, folla, paura dell’altezza e delle cadute, ecc. Come ci si aspetta che accada in thriller di questo tipo, i pazienti di Ross iniziano a morire uno dopo l’altro, per lo più con modalità inerenti alle loro fobie, ad eccezione della predestinata iniziale (Alexandra Stewart), che è vittima dell’esplosione di una bomba destinata a Ross. Le false piste abbondano: c’è la collega ed ex amante, la dottoressa Alice Toland (Patricia Collins), che non sembra molto contenta della nuova fidanzata Jenny (Susan Hogan, memorabile insegnante scolastica in Brood – La covata malefica); o potrebbe essere uno qualsiasi dei soggetti coinvolti del programma, inclusi Bubba (Robert O’Ree), che ha paura dei serpenti; Henry (David Bolt), che ha paura di cadere, il pazzo instabile Johnny (David Eisner) e Laura (Lisa Langlois), che ha paura di annegare. Potrebbe anche trattarsi del commissario iracondo e aggressivo Barnes (John Colicos), che nutre profondo disprezzo per gli esperimenti di Ross e per i suoi “pazienti”. Infine potrebbe essere colpevole il suo malleabile secondo, Wheeler (Kenneth Welsh).

Ma a Huston importava qualcosa?
Le premesse erano per un thriller a regola d’arte. Soggetto di Ronald Shusett (Alien, Total Recall) e Gary Sherman (Morti e sepolti, Police Station – Turno di notte). Il co-sceneggiatore è nientemeno che il veterano dell’horror della Hammer Film Jimmy Sangster (in tandem con Peter Bellwood, che in seguito ha co-scritto Highlander). Notoriamente, è passato attraverso le mani di otto diversi sceneggiatori (cinque accreditati, tre no: una festa arbitrale presso la Writer’s Guild!), tra cui Dan O’Bannon (Alien).

Sta di fatto che Huston non nasconde minimamente la sua totale mancanza di coinvolgimento con il materiale a disposizione. Il grande autore sembra un regista su commissione, come molti che all’epoca bazzicavano a tempo pieno l’industria cinematografica canadese: Harvey Hart, Paul Lynch, George Kaczender, George Mendeluk. Fra tutti si distingueva Daryl Duke, più attivo in tv, regista del memorabile L’amico silenzioso (The Silent Partner, 1978), con Elliott Gould e Christopher Plummer.

Per Fobia sorge il sospetto che Huston non sia nemmeno comparso sul set. La storia procede senza alcun senso di urgenza, senza brividi o suspense, e la stessa rivelazione “scioccante” finale arriva più o meno con un’alzata di spalle. Insomma, sembra di avere a che fare con un telefilm lento. Persino l’inseguimento automobilistico a metà film risulta tirato via e spettacolarmente poco emozionante. Tuttavia, forse per la reverenza nutrita nei confronti del maestro, il film si fa guardare, gli attori fanno il loro dovere, e la stessa colonna sonora vagamente alla Pino Donaggio di Andre Gagnon fa pensare cosa avrebbe potuto fare Brian De Palma con lo stesso spunto.

E se qualcuno pensa che Huston fosse spremuto, si sbaglia di grosso: sarebbero arrivati Fuga per la vittoria (Victory, 1981), Annie (id., 1982), Sotto il vulcano (Under the Volcano, 1984), L’onore dei Prizzi (Prizzi’s Honor, 1985), The Dead – Gente di Dublino (The Dead, 1987).

A volerci trovare una seconda lettura si potrebbe azzardare che Fobia è il malinconico epilogo dell’era Carter. Ed esteticamente, un incrocio involontario tra un TV-movie e le sperimentazioni di Antonioni (morbide ombre e rarefatta foschia). Ma, come anticipato, è un azzardo.

Tuttavia, in tema di studio d’autore, Fobia richiede uno sguardo più attento. Huston, nonostante la sua influenza e la sua eredità, non si è mai sentito a suo agio a Hollywood. Era tanto esteriormente ruvido quanto intimamente intellettuale, dimostrando fin dall’inizio un intuito per gli aspetti della psicologia umana più oscura. Il suo debutto, con Il falcone maltese (The Maltese Falcon, 1941), è denso di personaggi psicologicamente complessi e spiazzanti. Per cui, le spirali discendenti e i finali cupi non sono una novità nella sua filmografia, ma un tema centrale ricorrente.

Una cosa è certa: Phobia è il film più oscuro nella filmografia di John Huston. Si potrebbe anche sostenere, a discolpa, che non esiste un psico-thriller incentrato sulla psicoterapia veramente convincente nella storia del cinema: basti pensare a Una lama nel buio (Still of the Night, 1982), Analisi finale (Final Analysis, 1992) e soprattutto Il colore della notte (Color of Night, 1994), che attinge molto da Fobia. Anche se ci sono alcune eccezioni come Io ti salverò (Spellbound, 1945), Perversione mortale (Whispers in the Dark, 1992) e perché no, l’introvabile A faccia nuda (The Naked Face, 1984), di Bryan Forbes.

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