In uno dei suoi testi più celebri, Amore a prima vista, la poetessa polacca Wisława Szymborska riconduce il miracolo dell’incontro di due innamorati a una catena di eventi che, per quanto misconosciuta, non è però meno reale:
Sono entrambi convinti
che un sentimento improvviso li unì.
[…]
Li stupirebbe molto sapere
che già da parecchio tempo
il caso giocava con loro.
Non ancora pronto del tutto
a mutarsi per loro in destino,
li avvicinava, li allontanava,
tagliava loro la strada
e soffocando una risata
con un salto si scansava. […]1
A che cosa serve cercare i precedenti di un fatto privato, che con il loro intrecciarsi capriccioso e imprevedibile hanno prodotto le circostanze necessarie al suo avverarsi? A che cosa serve quest’indagine, se non a poter dare al caso il nome misterioso di destino?
La riflessione su questi temi è al centro del libro autobiografico Vivi veloce (titolo originale: Vivre vite) di Brigitte Giraud, vincitore nel 2022 del Premio Goncourt. La scrittrice francese analizza con ossessiva e dolente accuratezza i fatti che nel giugno del 1999 hanno portato a un evento luttuoso: la morte in un incidente di moto sulle strade di Lione del marito Claude, che stava recandosi a prendere il figlio all’uscita da scuola. Una decisione, che l’autrice ci presenta all’inizio del libro, la spinge a ripensare gli avvenimenti di quei giorni lontani: ha accettato di vendere la casa acquistata da lei e da Claude poche settimane prima dell’incidente, nella quale si è trasferita con il figlio piccolo subito dopo la tragedia, e che, placatasi la prima fase di rabbia e disperazione, ha ristrutturato e sistemato per lunghi anni seguendo i progetti che aveva condiviso con l’uomo amato, tenendo sempre a mente i gusti e le aspirazioni di Claude. Ora ha deciso di vendere, e le sembra quasi di vendere non un’anima, ma due. Occorre quindi «fare per l’ultima volta il punto della situazione, per poter chiudere l’inchiesta»2.
Il racconto dei principali avvenimenti che hanno portato al pomeriggio di quel 22 giugno si struttura in brevi capitoli, ognuno dei quali dedicato ad aprire, quasi a rendere agibile almeno sulla pagina, almeno per un momento, una possibilità ormai tramontata: “Se non avessi voluto vendere l’appartamento”, “Se non avessi cambiato la data dell’incontro con il mio editore a Parigi”, “Se Claude non avesse preso la moto di mio fratello”, “Se quel martedì mattina fosse stato piovoso”, “Se Claude avesse ascoltato Don’t Panic dei Coldplay invece di Dirge dei Death in Vegas, prima di lasciare l’ufficio”… Il titolo di quest’ultimo capitolo non deve sembrare bizzarro. Da una parte affronta un problema centrale in tutto il libro, quello del tempo: la differenza di due minuti e qualche secondo nella durata dei due brani avrebbe potuto cambiare tutto. Dall’altra, Claude lavora con la musica e ne è un grande appassionato: dirige la sezione musicale della biblioteca municipale. Tutto il libro è intessuto di riferimenti alla musica, soprattutto al rock. Come si può forse intuire dai titoli degli altri capitoli citati, l’autrice in alcuni momenti dà libero sfogo a sensi – immotivati – di colpa. Né tutte le circostanze che hanno contribuito al verificarsi dell’incidente hanno un uguale grado di casualità e “innocenza”: per esempio, l’autrice rileva che il modello di moto che Claude stava guidando era riservato all’esportazione in Europa e vietato, per quel che riguarda la guida su strada, nel Paese di produzione (Giappone). Tutto, per un’intima necessità, dev’essere vivisezionato; niente può essere tralasciato dallo sforzo di capire, ben sapendo fin dall’inizio che da capire non può esserci nulla. A mano a mano che i fatti narrati passano dalle scelte più importanti, e anche più lontane nel tempo, alle decisioni anche minime prese in quel giorno fatale, il lettore si sente calato in una specie di terribile imbuto, e non può più ignorare quale sarà l’approdo finale.
Tornata da Parigi in treno, Brigitte viene informata alla stazione da un amico di famiglia che Claude è stato ricoverato, ma per alcune ore ignora ancora la gravità dell’incidente. In seguito tenterà febbrilmente di ripercorrere ogni minuto di quell’ultimo giorno della vita di Claude. Non tutto, ovviamente, sarà appurabile; ma la ricostruzione sarà accurata, tanto che negli ultimi capitoli l’autrice intima a più riprese al marito di cambiare i suoi programmi, di non lasciarsi irretire da scelte sbagliate: «Non salire il pendio. Come fai a non sentire la minaccia». «Prendi le tue cose e fila». Infine accade ciò che deve accadere. Claude perde il controllo della moto e viene tamponato da un’auto che procede in senso opposto. I soccorsi sono immediati, ma non ci sarà niente da fare. Le ultime pagine del libro sono di una bellezza struggente: «Mi ci sono volute settimane per sapere l’ora della morte di Claude. Le 21.30. Quando telefonavo l’ospedale mi passava da un interno all’altro. Una volta mi chiesero perché volevo questa informazione. Io sapevo, intuitivamente sapevo, ma volevo essere sicura, volevo che mi dicessero che mi aveva aspettata».
Il libro di Brigitte Giraud, scritto più di vent’anni dopo l’accaduto, può essere letto sia come l’estremo tentativo di far convergere tutto ancora una volta in quell’istante, sia come l’ultimo congedo di chi ha dovuto riconoscere, come dicono i versi finali di Amore a prima vista, che
Ogni inizio infatti
è solo un seguito
e il libro degli eventi
è sempre aperto a metà.
- Wisława Szymborska, Vista con granello di sabbia. Poesie 1957-1993, traduzione di Pietro Marchesani, 1998, Adelphi Edizioni, Milano. La poesia Amore a prima vista è alle pagg. 199-200
- Brigitte Giraud, Vivi veloce, traduzione di Marcella Uberti-Bona, 2023, Ugo Guanda Editore, Milano. Tutte le citazioni seguenti sono tratte da questo libro.
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