In un momento in cui i sentimenti nazionalisti e xenofobi stanno prendendo forza, è bene ricordare ciò che rappresenta per il mondo di Michael Cimino. Considerato il primo grande film di fiction sulla guerra del Vietnam, Il cacciatore (The Deer Hunter, 1978) è stato, a torto o a ragione, il più grande successo del suo regista, conquistando un vasto pubblico, critica e addetti ai lavori (5 Oscar). Quarantasei anni dopo, quest’opera seminale del cinema di Michael Cimino ha ancora molto da spiegarci su chi siamo, attraverso il prisma dell’America e del suo approccio alle nostre corde più intime.
Strana la carriera di Cimino. Una calibro 20 per lo specialista (1974) venne definito omofobo perché “film di amici”, Il cacciatore venne giudicato fascista e reazionario perché i sopravvissuti cantavano God Bless America, I cancelli del cielo (1980) lo trasformarono in comunista, L’anno del Dragone (1985) venne giudicato razzista, Il siciliano (1987) venne bocciato perché revisionista (era solo bruttino), Ore disperate (1990) fu accusato di sponsorizzare la violenza domestica, lo splendido e dimenticato Verso il sole (1996), ne riparlerò un’altra volta, venne cassato per il suo misticismo new age.
La ricezione da parte statunitense dei suoi film è sempre stata distorta da un approccio ideologico sistematicamente irrilevante. Perché in termini di coerenza, Cimino è uno di quei cineasti che non si è mai discostato dalle sue ossessioni che ricorrono di film in film, trasformandosi in una coerente riflessione a lungo termine. Il suo tema è sempre lo stesso: interrogarsi su cosa si basa l’identità degli americani, cittadini di questo paese ancora giovane, edificato sulla conquista e l’immigrazione.
Se si invertono le cronologie, e si mettono nell’ordine I cancelli del cielo, Il cacciatore e L’anno del dragone ci troviamo di fronte ad un trittico che attraversa la Storia degli Stati Uniti ponendosi le stesse domande. A Cimino non interessa il classico “John Doe” ma cerca le differenze nei suoi eroi profondamente americani anche quando oriundi, proprio analizzando le comunità da cui provengono, per evidenziare tutte quelle complesse contraddizioni che rappresentano le radici degli Stati Uniti.
Perché un film sulla guerra del Vietnam dovrebbe dedicare l’intera prima ora alla celebrazione di un matrimonio? Tanto più che la comunità raffigurata ne Il cacciatore non rispetta i canoni della “norma americana”: essenzialmente operaia, di religione cristiana ortodossa e con cognomi (Michael Vronsky, Steven Pushkov e Nick Chevotarevich, quelli dei tre personaggi principali) che ci indirizzano più verso l’Europa dell’Est o addirittura verso la Russia. Lo stesso vale per il poliziotto Stanley White, interpretato da Mickey Rourke ne L’anno del dragone, anche lui scalfito dal Vietnam. Il suo cognome rivela tutta la sua artificiosità quando il personaggio ricorda che le sue origini “polack” sono ben presenti. Si confronta con la criminalità all’interno della comunità cinese di New York, ma i cui valori e tradizioni ancestrali non cancellano in alcun modo la loro appartenenza alla storia americana.
Cimino è interessato al dialogo tra un polacco-americano di prima generazione, che ha combattuto in Vietnam e che si considera un vero patriota americano, e questa ragazza cinese con cui entra in conflitto, che è di quinta generazione, i cui antenati costruirono la ferrovia americana, che in un certo senso è più americana di lui.
Mentre I cancelli del cielo rimane il suo sguardo più diretto sull’immigrazione negli Stati Uniti, con il tema della guerra della contea di Johnson nel Wyoming: i ricchi allevatori, della prima ondata di immigrati europei, che vogliono estromettere i nuovi immigrati della seconda ondata dalla loro terra, usando il pretesto del furto di bestiame assoldando sicari per dissuaderli dallo stabilirsi definitivamente.
Ogni ondata di immigrati porta con sé la sua quota di differenze. In fuga dalla guerra e dalla povertà, non sono pronti a rinunciare a ciò che sono. A volte (o spesso) senza bagagli, portano con sé la propria cultura (lingua, rituali, credenze, ecc.) che definirà le basi della loro comunità che si costituirà negli Stati Uniti. Nonostante le loro origini extra-americane, i personaggi di Michael Cimino non si sentono meno “indigeni”. Quando il personaggio di Christopher Walken ne Il cacciatore, completamente disorientato in un ospedale militare, viene interrogato da un medico per sapere se il suo cognome Chevotarevich sia di origine russa – forse sospettandolo che sia al soldo del nemico sovietico – lui risponde: “No, è americano”. Nonostante la sua amnesia traumatica, non ha alcun dubbio sulla sua appartenenza americana. Il fatto di provenire dalla sua comunità ucraina non mette in discussione questa legittimità. Così accade nella New York City ritratta ne L’anno del dragone, composta da una molteplicità di gruppi etnici: tutte queste persone sono molto orgogliose delle loro origini e del loro patrimonio, celebrano le loro tipicità con processioni e cerimonie. E, allo stesso tempo, sono molto orgogliose di essere americane. Hanno questa nazionalità doppia e ambivalente e la sentono come tale. E così si ritorna al matrimonio iniziale de Il cacciatore.
Ma c’è anche un’altra costante nel cinema di Cimino che, per esempio, si esprime attraverso il personaggio interpretato da Robert De Niro ne Il cacciatore. Durante la loro ultima caccia al cervo, rimprovera seccamente la leggerezza del suo amico, interpretato da John Cazale nella sua ultima apparizione sullo schermo, nella preparazione del suo equipaggiamento. Non si scherza all’ombra della montagna. Già, perché quest’ultima è molto importante nel suo cinema. È un punto di riferimento, un centro di gravità, un porto sicuro a cui gli immigrati dall’Europa hanno potuto attaccarsi appropriandosi delle peculiarità dei nativi americani. I vari inseguimenti in Una calibro 20 per lo specialista, Ore disperate o Verso il cielo ci riportano costantemente a questa maestosa figura che veglia, come un gigante addormentato sul bordo del lago sullo sfondo del villaggio de I cancelli del cielo, o addirittura rivela l’anima di chi vi si arrampica con rispetto ne Il cacciatore. È anche ciò che permette al personaggio di Robert De Niro di superare sé stesso spiritualmente, e quindi di sopravvivere in Vietnam. Per Cimino la Monument Valley è un “luogo sacro”, riferendosi umilmente al cinema di John Ford a cui rimane associata questa mitica landa selvaggia al confine tra Utah e Arizona.
Gli Stati Uniti di Michael Cimino ci dimostrano che nulla impedisce la sintesi delle diverse culture tra le nuove generazioni attraverso i simboli comuni e unificanti di un paese. Simbolo di questa trasmissione naturale che deve assumersi le sue contraddizioni, è stato proprio il falco John Wayne, attore preferito di Ford e sostenitore della guerra in Vietnam, consegnando l’Oscar per il miglior film a Il cacciatore. Il film si conclude con God Bless America, una canzone dove i colori di una bandiera, durante un evento fondativo, possono trascendere l’origine del cognome, la cultura e la religione trasmesse dai suoi antenati per condividere la nozione di sacrificio, gioia e dolore, ma tutti insieme.
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