Come spesso accade nella lunga a fruttuosa carriera teatrale di Eduardo De Filippo, anche ‘De Pretore Vincenzo’ (1957) vede diverse versioni. L’ultima, quella definitivamente battezzata dal drammaturgo nella ‘Cantata dei giorni dispari’ è quella registrata per la televisione nel 1975, nonché oggetto della presente recensione.

Recensire uno dei maggiori drammaturghi del ‘900 è un mestiere arduo e forse non necessario, se si considera la mole di autorevoli testi critici già ampiamente in circolazione. Questo contributo vuole tuttavia celebrare una delle commedie più straordinarie, ma forse non sufficientemente note, del grande maestro. 

De Pretore Vincenzo, figlio di padre ignoto, viene allevato nella miseria di Melizzano, piccolo paese del Napoletano, la cui economia ruota attorno all’amministrazione dei possedimenti del ‘signore’, nobile locale. Vincenzo è convinto di essere figlio illegittimo del signore e, nell’impossibilità di avere riconosciuti nobili natali, va a Napoli a cercare fortuna. Presto, il giovane protagonista si trova a fare il mariuolo.

De Pretore Vincenzo s’arrangiava
Campava ‘a bona ‘e Dio, comme se dice.
Figlio di padre ignoto, senz’amice,
facev’ ‘o mariuolo pe’ campà.
Marciava bene: ‘o vestetiello inglese
‘a scarpa mocassino su misura;
‘a cammisa le steva na pittura;
a cravatta marro’ “petit-pois”.1

Accusato di furto, De Pretore viene incarcerato. Ad attenderlo fuori dal carcere, per due lunghi anni, vi è Ninuccia, la sua giovane e fedele innamorata. È grazie a questo personaggio che il protagonista sperimenta un nuovo modo di tirare a campare. ‘Io non voglio più rubare senza sapere a chi rubo’: Vincenzo decide di avvalersi della protezione di San Giuseppe, barattandone il favore in cambio della rivivificazione di una statua del santo, in condizioni di abbandono. Il presunto accordo si fonda sul fatto che, per il tramite di provvidenziali segni, San Giuseppe segnalerà al mariuolo chi derubare e chi no. 

‘Ci sta gente che quando esce di casa la mattina non sa neppure quanti soldi ha nel portafoglio, e che se dentro, alla fine della giornata, ci trova cento o dieci, neppure vi fa caso. E allora io dico: che male c’è se a questo io prendo dieci e lo do a chi i soldi non li ha?’.

Il patto sembra reggersi e lo stile di vita di De Pretore si eleva in un contrasto magistralmente perseguito tra umiltà di origini e ostentata ricercatezza di gusti -che trova più grottesco ed efficacie esito nel ricorrente ‘Mi spieco? È giusto?’.  Durante uno dei suoi furti, il protagonista cade colpito da un colpo di pistola e, in un delirio mortifero, sogna di salire in paradiso, pietosamente rappresentato dal palazzo del signorotto di Melizzano. De Pretore è deciso ad entrarvi, in nome della protezione accordatagli da San Giuseppe. Ma si è mai visto un ‘mariuolo’ in paradiso? Dopo un accalorato dibattito tra degli umanissimi santi e Padreterno -che costarono a Eduardo più di una grana- Vincenzo viene faticosamente adottato -è il caso di dirlo- dal Signore

Riportato alla realtà, in una squallida stanzetta d’ospedale, De Pretore spira, con l’ultimo delirio in bocca: ‘Fatemi rimanere in paradiso! Teng’a prumessa!’.

Coerentemente con l’architettura della poetica di De Filippo, l’opera racconta più storie.

Centrale nella commedia è il tema della giustizia sociale e, più in generale, del fallimento delle istituzioni -notoriamente quelle statale ed ecclesiale- nel mantenere la famosa ‘prumessa’ che dà voce alle speranze dei De Pretore. Il piano di contestazione politica si svolge nell’opera linearmente ed è coerente con il pensiero dell’autore, che molto diede in vita alla causa dei figli di nessuno: i minori rinchiusi nelle carceri di Napoli. 

Senza ‘nu pate ca te mann’ ‘a scola,
campanno abandunato mmiez’ ‘a via,
facenno sulamente a capa mia…
se sape ca fernesce p’arrubà!2

La tesi di fondo è consegnata al Padreterno in persona: ‘Perciò tu diventasti ‘mariunciello’! Quanto a determinismo sociale, gli spunti offerti dalla città di Napoli sono un riferimento poetico stabile per il drammaturgo, come per molti altri autori partenopei. 

In linea con il realismo antropologico dell’autore, anche nella scenografia di De Pretore si ritrova un gusto che celebra l’umanità, e la più disgraziata, attraverso l’amore per i dettagli e l’oggettistica. Molte scene della commedia si svolgono come rivoli paralleli al tema centrale: sorte di tableau indipendenti e testimonianze di vita quotidiana. Nella camera di Vincenzo, in ultimissimo e sfocato piano, lo spettatore attento può scorgere una bottiglia di vino, un pezzo di pane. Elementi che sostanziano la vicenda più per la capacità di vivificarla che poiché realmente funzionali all’azione. Ancora, rigorosa ed entusiasmante la riproduzione dell’andirivieni dei venditori ambulanti, nella piazzetta che ospita la statua del santo protettore. Dai costumi, al cibo, passando per la recitazione impeccabile degli eccellenti collaboratori di De Filippo, la scena della compravendita abusiva di cibo, così come le rimostranze corali all’apparire del vigile, riprendono l’ordito della trama centrale ed insieme vivono di autonomia poetica ed estetica.

Pasolini, i cui contatti con Eduardo sono frequenti, parlò di come la borghesizzazione dell’Italia avrebbe spostato il problema della sopravvivenza esistenziale e culturale del sottoproletariato verso il Terzo Mondo. Non certa che questa categoria sociale, ad oggi di incerto confinamento, abbia realmente abbandonato Napoli, viene altresì spontaneo calare la lettura di ‘De Pretore Vincenzo’, per tesi e stile, ai contesti disgraziati di ogni geografia ed epoca. Quel che è tipico delle grandi opere.

Un ulteriore elemento di interesse dell’opera è dato dalla minuta ed efficace descrizione della religiosità popolare, quasi pagana, che guida tutti i personaggi. Anche qui, la superstizione, l’umanizzazione di Dio e dei santi, possono dirsi più tipici di alcune geografie piuttosto che altre. Tuttavia, è vero che un approccio pragmatico e, per così dire, opportunista alla cosa religiosa è fatto comune. Nell’incertezza di una riflessione teologica e civile di ampio respiro – poiché, salvo eccezioni, questa è un lusso di pochi- il lusso dei poveri rimane l’esercizio di umanità. ‘La provvidenza non ti aiuta se tu non aiuti la provvidenza!’ 

Da ciò deriva l’assoluta tragicità del momento in cui San Giuseppe, in un paradiso barocco, non riconosce De Pretore. Come a dire che quella goffa umana speranza che i De Pretori ripongono nei loro santi, non basta a salvarli. E così è, nella toccante e gelida scena finale. Qui, la registrazione dell’opera per il mezzo televisivo offre uno degli spunti più caratterizzanti. Vincenzo è ripreso nello stile dei Cristi morti di pittorica derivazione, che ispirarono anche un certo Cinema. Ulteriori spunti derivanti da un uso efficace della videocamera si esprimono nelle scene di ascesa al paradiso, nonché nell’apparizione del Padreterno. Sono qui infatti mostrati dei cambi di scena e degli effetti ologrammatici che, necessariamente, rappresentano delle novità rispetto alle versioni teatrali dell’opera.

Le contestazioni che Eduardo ebbe per l’opera, accusata di blasfemia, sono comprensibili da un lato, ma dall’altro non smettono di sconcertare, oggi come allora, dacché De Pretore Vincenzo è un’opera piena di pietà, commovente e senza dubbio cristiana.


1 Vincenzo De Pretore. Poemetto di Eduardo De Filippo. 1948.
2 Idem.

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2 risposte a “De Pretore Vincenzo. Una vita alla ‘come succede’”

  1. Ho letto e apprezzato la sinossi dell’opera, non sono nè un esperto nè un gran conoscitore delle sue opere teatrali poichè all’epoca, da ragazzo non ero in grado culturalmente di poter comprendere la profondità e la bellezza d’animo delle sue Opere!

    1. Avatar Alessandro Garavaglia
      Alessandro Garavaglia

      Grazie Lino per il suo apprezzamento! Ci scriva se le piacciono i nostri articoli e ci faccia conoscere, attendiamo il suo giudizio.

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