La serie televisiva Happy Days è la prima sitcom, nella storia della televisione americana, creata appositamente per confortare il pubblico d’oltre Atlantico in un momento in cui le truppe americane erano impantanate nella guerra del Vietnam. Happy Days è uno di quei programmi difficili da storicizzare. Se la sua trama è ambientata nell’America degli anni ’50, la serie rappresenta il periodo d’oro del canale ABC tra il 1974 e il 1984. Creata da Garry Marshall, la soap ha incontrato immenso successo al punto da generare undici stagioni e 255 episodi in totale – in Italia fu trasmessa a partire dal 1977 su Rai Uno (stagioni 1-9, 11) e Canale 5 (stagione 10).
Il suo formato breve (24 minuti) e il suo soggetto, la saga di una famiglia media del Wisconsin (i Cunningham), hanno sedotto il pubblico fin dal primo episodio, trasmesso il 15 gennaio 1974. Servito da un casting impeccabile che mescola vecchie glorie di Hollywood (Marion Ross, Al Molinaro e Tom Bosley, pilastri di molti film noir del decennio precedente) e giovani rivelazioni ( Ron Howard , Henry Winkler, Cheryl Ladd e perfino Robin Williams), la serie gioca volutamente la carta della nostalgia offrendo un’immagine idealizzata dell’America del dopoguerra.
Le problematiche dei personaggi sono piuttosto leggere rispetto a quelle della serie concorrente MASH, che immergeva gli spettatori nella vita quotidiana dei medici militari impegnati nella guerra di Corea e che era programmata dal settembre 1972 sulla CBS. In Happy Days , anche se di tanto in tanto la televisione dei Cunningham fornisce notizie inquietanti, nulla sembra mai veramente serio. Certo, in un episodio, la famiglia pensa alla realizzazione di un rifugio antiatomico per proteggersi dall’apocalisse nucleare che sembra minacciare l’inizio della Guerra Fredda, ma nessuno dei problemi incontrati dai protagonisti sembra, in realtà, poter andare oltre una bella chiacchierata tra amici, attorno a un frappè da Arnold’s, la caffetteria che ispirerà l’estetica di Ritorno al futuro di Robert Zemeckis.
Rappresentando nella vicenda due genitori sopraffatti dai loro figli che frequentano un tipo formidabile come l’ex teppista Fonzie, non va ovviamente presa sul serio. È questo permise l’introduzione – che poi diede vita allo spin off Mork e Mindy – di un esilarante e delirante Robin Williams (nella stagione 5), dell’extraterrestre Mork venuto sul nostro pianeta per studiarci da vicino.
Innegabile che American Graffiti (1973) ispirò la serie, mentre Grease (1978) ne applicò il modello.
Della piccola troupe di giovani attori rivelata dallo spettacolo, solo Ron Howard, che interpreta il ruolo di Richie Cunningham, ha continuato la sua carriera nell’industria cinematografica, come regista. Secondo lui, il successo del programma è dovuto “alla sottile alchimia che gli sceneggiatori sono riusciti a ottenere dipingendo il ritratto di una famiglia affettuosa che sa fare spazio agli amici di passaggio”. Una ricetta che ha decretato il successo anche della serie Friends.
Per gli appassionati è prezioso il saggio “La nostra storia. Tutto il mondo di Happy Days” (Minerva Editore), di Giuseppe Ganelli ed Emilio Targia che, in 450 pagine, è la guida più completa in assoluto sulla serie con decine di interviste ai tutti i coinvolti (produttori, registi, attori…), riccamente illustrato e preziosamente denso di curiosità. Un testo che veramente stupisce per la ricchezza informativa.
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