«Hitchcock considerava ogni singolo film come un esperimento. Quando stavo lavorando a Silent Night, pensavo in questo modo. Ho sempre desiderato fare un cambiamento e questa volta il cambiamento doveva essere più semplice»
Dopo tre flop in Cina che gli hanno procurato recensioni sprezzanti, John Woo stava cercando del materiale forte che potesse riportarlo al successo. Ha trovato quello che stava cercando nella sceneggiatura di Robert Archer Lynn per Silent Night-Il silenzio della vendetta (Silent Night, 2023), un trattamento insolitamente scarso, in parte per la sua quasi totale rinuncia al dialogo (dieci righe di dialogo udibile in totale, più alcuni messaggi di testo sullo schermo, un paio di note scritte a mano e il protagonista muto che pronuncia molto chiaramente alcune parole). Un padre di famiglia, Godluck (Joel Kinnaman), viene colpito alla gola e perde la capacità di parlare in seguito ad una sparatoria tra gang rivali che costa la vita a suo figlio, durante le feste natalizie. Trascorre esattamente un anno ad allenarsi fino alla sua sanguinosa vendetta, organizzata per il Natale successivo. Con le labbra increspate e i pugni serrati, traccia un sentiero di guerra spietato, ma ampiamente plausibile; la cronaca del suo laborioso perfezionamento sottolinea il lavoro svolto per trasformare un uomo normale in un implacabile giustiziere.
Kinnaman, nato in Svezia, per molti versi rappresenta l’ideale fisico ariano, ed è difficile non vedere quanto descritto come una rappresentazione della paura della destra trumpiana nei confronti della criminalità “urbana” (leggi: non bianca) che invade l’America suburbana (leggi: bianca). Del resto alcune annotazioni non aiutano: una scena in cui Kinnaman fa una smorfia davanti a graffiti che recitano “Fuck the Police”, un’altra in cui Kinnaman impara nel modo più duro a non fidarsi mai di un eroinomane, e un’altra ancora in cui Kinnaman va in tilt mentre fissa un ragazzo “latino” che assomiglia vagamente al ragazzo latino che ha ucciso suo figlio, impegnandosi così in una codificazione razziale, nei confronti della quale il film sembra non porsi problemi.
Di contro: la moglie del tizio e il bambino sono interpretati da attori latini, mentre l’altro personaggio secondario più importante è il poliziotto interpretato da un “nero”. Solo che, oggettivamente, nessuno dei membri della banda è bianco. C’è una scena in cui Kinnaman afferma che, vendicandosi, sta facendo ciò che la polizia “avrebbe dovuto fare”, quindi sembra quasi che stia sostenendo che i poliziotti non violano la legge per uccidere le minoranze con abbastanza frequenza.
Face/Off – Due facce di un assassino (Face/Off, 1997) era stato “il” John Woo all’ennesima potenza, con Nicholas Cage e John Travolta nella loro forma più folle. In un’attività cinematografica in forte espansione, prima dell’uscita da Hong Kong, Woo aveva sorvolato gli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 sfornando opere di intensità operistica e ipercinetica ribattezzate “gun fu” per la fusione balistica delle arti marziali con l’immaginario gangsteristico («Quando ero molto giovane, usavo sempre la base musicale per girare le mie sequenze d’azione. Mi sentivo come se stessi ballando con l’azione. Quando coreografi l’azione, c’è molta preoccupazione per la bellezza dei movimenti del corpo e il ritmo degli spari. Ora quando giro, solitamente indosso le cuffie e ascolto la musica per creare le scene d’azione giuste»). I suoi ammiratori apprezzavano il suo cinema di “eroico spargimento di sangue”, contraddistinto da una violenza sfrenata abbinata a un’impostazione classica di onore e crudeltà che lo imparentava col melodramma. Una volta giunto a Hollywood, dove la sua stima critica e gli incassi al botteghino sono diminuiti dopo alcuni primi successi, è rimasto sostanzialmente legato alla sua impostazione d’origine. Anche se i budget si riducevano o si ingrandivano, tutto doveva essere più grande della vita: le emozioni e le esplosioni.
Silent Night è invece qualcosa di sorprendentemente diverso, oltre che il primo film in lingua inglese di Woo da 20 anni a questa parte. Forse più vicino alle sue antiche e imprevedibili passioni: «All’inizio della mia carriera, sono stato influenzato moltissimo dai film francesi, in particolare dalla nouvelle vague, come un film degli anni ’60 intitolato Les Parapluies de Cherbourg di Jacques Demy. Era fortemente romantico e tutti i dialoghi erano cantati, più o meno come un’opera moderna. Era così bello, quel film mi ha fatto conoscere il romanticismo. Quindi, quando giro un film, mi sento come se stessi facendo un film francese»).
Non è rimasto esattamente inattivo negli ultimi due decenni, perché ha diretto numerosi film epici storici nella Cina continentale contribuendo a far crescere l’industria cinematografica del paese, un tempo fiorente, sulla scena globale («Un produttore cinese mi aveva chiesto di aiutarlo in patria, realizzando alcuni film. Penso che sia stato positivo formare alcuni giovani in Cina su come realizzare un film di Hollywood»). L’allestimento suona nuovamente come un balletto di proiettili, un’improvvisazione jazzistica su Il giustiziere della notte (Death Wish, 1974) su una sanguinosa vendetta ai danni di criminali («Ovviamente ho visto Death Wish molto, molto tempo fa, ma non ne ho avuto alcuna influenza. Lavoro ancora con il mio istinto»). La novità della trama sta tutta nel fatto che il film è sostanzialmente muto, a parte i rumori di fondo. Ed è un’impresa girare un action movie senza dialoghi, ma utilizzando proprio gli stilemi di quello che fu il “più perfetto cinema di sempre”.
Stilisticamente Silent Night, ricorda a tratti l’estetica “logorroica” e istrionica di Woo perché la sua pirotecnia è ridotta all’osso fino a far emergere un nucleo duro come il diamante. «C’era una scena in cui Godluck, Joel Kinnaman, entra nella stanza di suo figlio e vede tutti i giocattoli. Nella sceneggiatura c’era un flashback in cui padre e figlio giocavano con i giocattoli, e sono stati apportati tanti tagli. Sentivamo che così era noioso e non avevamo abbastanza tempo per girare tutto. Avevamo solo mezza giornata. All’improvviso, Joel si avvicinò a me e disse: “John, forse torno a letto per dormire accanto a mio figlio?” Ho pensato che fosse una buona idea, quindi ho girato tutto in una sola, lunga ripresa. Gli chiedo di sdraiarsi sul letto e la telecamera lo inquadra. Dall’altra parte del letto non c’è niente e, quando ci avviciniamo, posizioniamo il bambino accanto a lui. Ci tiriamo indietro, e lui è accanto al ragazzo, poi riavviamo la cinepresa e il ragazzo scompare, e Godluck si sveglia così, deluso. Tutti sul set erano emozionati: non avevo mai fatto una cosa del genere prima, fare tutto in una sola ripresa con così tanto significato. Anche il cameraman si è commosso da questa ripresa».
Un settantasettenne che si è divertito a dirigere, riuscendo ancora a sorprendere, uno “sparatutto” essenziale e dall’inaspettata brutalità radicale e immersa nell’adrenalina.Un film anomalo ma che ribadisce la visione sovversiva del cinema di John Woo,
impareggiabile compositore delle sequenze d’azione: «È stato piuttosto difficile lavorare senza parole. Ho dovuto cambiare per capire questo stile, una nuova tecnica o un nuovo modo di pensare. Tutto questo mi ha fatto in qualche modo entrare nella normalità. Per raccontare una storia ordinaria – dramma, espressioni, combattimenti – dovevo controllarmi, non esagerare. Tutto doveva essere credibile. Per raccontare una storia che il pubblico potesse capire, affinché si commuovesse davanti ai personaggi, non dovevo esagerare».
Chi si è mostrato deluso pensando alla saga di John Wick, non deve perdere di vista che è sorta proprio sulle ceneri del cinema di John Woo (i registi Chad Stahelski e David Leitch hanno la sua foto appesa in ufficio): per non parlare dei “Liam Neeson movies”. E non è quindi un caso che questo film indipendente è stato prodotto dalla stessa company, Thunder Road, con un budget estremamente contenuto.
Certo, incredibilmente Woo a volte fatica con il ritmo. La parte centrale del film sembra infinita. Guardare Kinnaman trasformarsi silenziosamente in un mostro di rabbia è a tratti noioso, narrativamente deludente. Bisogna essere onesti.
Ora l’attesa è sul suo prossimo lavoro, il remake di The Killer (Die xue shuang xiong, 1989), che dovrebbe poter contare su un budget elevato: «Anche se sono invecchiato, la mia mente è ancora lucida. So ancora cosa sto facendo. Ho lo stesso istinto di sempre».
Per gli smanettoni: Silent Night (2023) non è da confondere con Stille Nacht (1995), di Dany Levy; Silent Night-Confini di Guerra (Silent Night, 2002), di Rodney Gibbons; Silent Night (2012), di Steve C.Miller; Silent Night (2017), di Piotr Domalewski; Silent Night (2020), di Will Thorne; Silent Night (2021), di Camille Griffin.
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