Nel 1898, a Snow Hill, una cittadina dello Utah (ricreata a Cortina d’Ampezzo nelle Dolomiti, con l’integrazione di ventisei quintali di schiuma da barba per le riprese in studio), i cacciatori di taglie regnano seminando terrore, massacrando i fuorilegge ai quali il governatore sta per concedere l’amnistia. Che, per difendersi, si rivolgono a Silenzio (Jean-Louis Trintignant), un mercenario muto dal tragico passato…

Oscuro e nichilista, Il grande silenzio è uno dei western più atipici mai realizzati, mal distribuito in Italia e spesso vietato ai minori nel resto del mondo. Per molti il miglior film di Corbucci, il più personale, il più riuscito, ma anche il più cupo e disilluso. Nega l’enunciato del western dove i personaggi rappresentano un ideale di libertà. Qui l’ambientazione è una prigione di ghiaccio, l’orizzonte è costantemente sbarrato da una catena montuosa e il cielo è il più delle volte assente dall’inquadratura (spesso si confonde persino con il terreno, un terreno innevato utilizzato per preservare i cadaveri). 

Le montagne ghiacciate sono, in parte, un omaggio ai “western invernali” come La belva (Track of the Cat, 1954), di William A. Wellman, La notte senza legge (Day of the Outlaw, 1959), di André de Toth e il malinconico Il grande sentiero (Cheyenne Autumn, 1964), di John Ford; e in parte il desiderio di Corbucci di andare a sciare nelle vicine Dolomiti durante le pause delle riprese.

Il tutto è rafforzato dalla fotografia di Silvano Ippoliti che conferisce alle scene all’aperto una colorazione simile al bianco e nero, per risolvere i problemi posti dal contrasto neve-luce. Concepisce una fotografia basata su contrasti violenti, facendo risaltare sulle distese bianche i costumi scuri e barocchi dei personaggi, elaborati da Enrico Job, marito della regista Lina Wertmüller, grande amica dei coniugi Corbucci. Per contrastare il riverbero esterno, Ippoliti pone davanti all’obiettivo dei veli che a volte si intravedono sullo schermo. Per le scene di città girate in studio, usa la nebbia artificiale per mascherare l’uso della neve artificiale. Il set offre un’estetica da serie B, accentuata dall’uso del formato 1.66:1, più economico e più limitato del Techniscope. Ma questo accentua la sensazione di degrado e oppressione che pervade il film.

Ennio Morricone compone una superba partitura con note romantiche e malinconiche, partitura sublime venata di cristalline dissonanze per interpretare il ritmo languido da canto funebre del film, dove il rigore dell’inverno sembra aver seppellito ogni traccia di umanità.

Corbucci descrive una comunità caduta nel caos e senza speranza di riscatto. L’unica figura totalmente positiva è interpretata dallo sceriffo Corbett (Frank Wolff), che rappresenta la giustizia nella sua concezione più pura e soprattutto più ingenua (sebbene il personaggio sia accattivante e incorruttibile, è tuttavia goffo e totalmente superato dagli eventi). E la sua dipartita dimostra che per quanto Corbucci gli mostri simpatia, non lo convince più di tanto (lo sceriffo è inviato da un governatore più preoccupato della sua rielezione che di fermare le stragi).

Il grande silenzio beneficia di un cast prestigioso. Oltre a Frank Wolff e Luigi Pistilli, habitué del genere in ruoli secondari (e che andranno entrambi incontro a un tragico destino), i due personaggi principali sono interpretati da Jean-Louis Trintignant (subentrato a Franco Nero, impegnato in un altro film) e Klaus Kinski. Trintignant, impensabile nel ruolo, veste i panni di Silenzio e, per il suo unico western, costruisce un personaggio indimenticabile, dall’aspetto spettrale e dallo sguardo carico di emozione: capace di far emergere le debolezze, il lato ossessivo e una sorta di autismo. Quanto a Kinski, interpreta Tigrero, un sadico e spietato cacciatore di taglie, al cui confronto il leoniano Sentenza (Lee Van Cleef) sembra un’educanda.

Di fatto, Corbucci stravolge i codici dello “spaghetti-western” per imbastire una critica sottilmente velata del capitalismo e dell’imperialismo. Il grande silenzio esaspera la propensione all’eccesso radicale del regista, fino a raggiungere vette di ambiguità raramente eguagliate. Il pessimismo morale rasenta il nichilismo più totale. La violenza, come imbalsamata sotto i rigori del ghiaccio, esplode in picchi vertiginosi e le sparatorie si trasformano in massacri di massa – una critica di fondo al fascismo. In un mondo dove il dialogo non è più possibile, dove la parola non ha più senso, il silenzio prevale, da qui l’idea geniale di un eroe muto, Silenzio (un Trintignant in controtendenza con le sue abituali performance, di impressionante carisma). Il taciturno mercenario, di cui l’ “Uomo senza nome” (Clint Eastwood) ha offerto l’incarnazione più emblematica nella “Trilogia del dollaro”, lascia qui il posto a un pistolero completamente muto, e per una buona ragione: testimone nella sua infanzia dell’assassinio dei suoi genitori da parte di cacciatori di taglie, egli è stato messo a tacere nel modo più barbaro, gola tagliata e corde vocali recise, da qui il suo nome, che fa eco alla sua disabilità e al silenzio che la sua presenza impone. Raffinato pistolero, ora cammina lentamente tra le montagne innevate dello Utah, avvolto in pelli di animali.

Al silenzio dell’eroe, Corbucci contrappone la finta dolcezza dello spietato Tigrero (Klaus Kinski, di rara sobrietà), che sembra essere il suo doppio rovesciato e il suo messaggero di morte, di cinico sadismo e puntigliosità: registra ogni suo crimine in un taccuino, evocando la barbarie formalista, che ricorda il passato illiberale dell’Italia, a cui si aggiunge una critica all’imperialismo occidentale e al capitalismo senza scrupoli. Una visione nichilista che il cineasta condivide attraverso la sola regia (scambi di sguardi, inquadrature sovraesposte, profondità di campo, zoom nitidi e ridimensionamenti), soprattutto in un finale incontenibile e terrificante. In questo mondo senza speranza, la lenta glaciazione scende sui corpi che la neve copre con il suo manto implacabile.

Corbucci ebbe modo di raccontare che fu Marcello Mastroianni a dargli l’idea di un protagonista muto, ammettendo che gli sarebbe piaciuto partecipare ad un western nonostante non parlasse inglese. Sul tema della disabilità il regista avrebbe ricordato la conversazione quando stava scrivendo il ruolo principale del suo nuovo western. Al contrario, Jean-Louis Trintignant dichiarò di essere stato lui a suggerire il suo ruolo muto, considerato lo scarso interesse delle battute scritte in sceneggiatura. Ma l’attore, in tempi successivi fece anche dichiarazioni sul finale del film che, notoriamente, vede il buono ucciso dal cattivo: in occasione di una retrospettiva a lui dedicata nel 2012 alla “Cinémathèque française” si attribuì l’idea dell’inedita e clamorosa vittoria del male sul bene (non comparendo nella sceneggiatura originale). Mentre Corbucci dichiarò: «Logicamente, non poteva vincere. Se invece il personaggio moriva, il film diventava più credibile. Trintignant era d’accordo con me ed è così che abbiamo girato un’altra scena».

Anni dopo, lo stesso spunto narrativo – la guerra della contea di Johnson nel Wyoming nel 1898, che vide grandi proprietari terrieri e allevatori assumere una banda di sicari per dare la caccia agli emigranti appena arrivati ​​per avviare l’attività di agricoltori – verrà sviluppato ne I cancelli del cielo (Heaven’s Gate, 1980) da Michael Cimino.

La 20th Century Fox di Darryl F. Zanuck, che distribuisce il film negli Stati Uniti, non può tollerare quel finale e impone a Corbucci di rigirarlo rispettando la sceneggiatura. E così viene richiamato in servizio lo sceriffo interpretato da Frank Wolf, dato per morto, che torna in extremis e sfidando ogni logica, uccide Tigrero e salva Silence. I due uomini abbattono tutti i malvagi cacciatori di taglie e liberano gli ostaggi.

Considerato che l’invalidità di Silenzio non riguarda il mutismo, visto che ad un certo punto gli vengono frantumate le mani (come in Django), si svela anche il sotterfugio che gli ha permesso di schivare i proiettili, un guanto di ferro d’armatura medievale (analogo alla lastra usata da Clint Eastwood alla fine di Per un pugno di dollari).

Corbucci, d’accordo con il cast e la troupe, trasforma la scena in una sorta di gag, convinto che non possa essere modificata in sede di montaggio. Modifica questa scena in uno scherzo, pensando che non potrà essere tagliata in sede di montaggio. Ma in alcuni paesi non verrà utilizzata.

Alla fine dei conti a Zanuck il film continua a non piacere e la Fox ne boicotta l’uscita in America (e in Gran Bretagna). In Italia è un fallimento commerciale.

Il suo destino è diventare opera di culto.

Autore

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Trending