I titoli di testa scorrono sulla tranquilla monotonia di una città della provincia americana. L’azione inizia quando una coppia formata da un distinto signore e dalla moglie più giovane si fermano in divieto di sosta davanti a una banca e, alla presenza del policeman giunto a chiedere loro di spostarsi, si mettono a bisticciare su chi dovrà incassare l’assegno. Niente di più ordinario, se non fosse che – appena entrato nella piccola filiale della banca – l’uomo si rivela per quello che è: un determinato e violento rapinatore. Durante il colpo vengono uccisi due componenti della banda, ma i problemi per Charley Varrick (questo il nome del protagonista) sono appena all’inizio: presto lui e il complice sopravvissuto si rendono conto che i tre quarti di milioni di dollari del bottino “scottano” e per farla franca devono scappare – oltre che alla Polizia – al sicario che la malavita ha messo sulle loro tracce per recuperare il denaro che gli appartiene…

Nel 1973 Don Siegel era già un veterano del cinema americano attivo fin dai primi anni Quaranta, prima come montatore poi come regista alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Nonostante diversi film degni di nota, la caduta del modello degli studi hollywoodiani aveva messo un freno alla sua carriera cinematografica – soprattutto in termini quantitativi – e il regista aveva affiancato le produzioni televisive alle regie per il grande schermo per la maggior parte degli anni ’60. Fu l’incontro con Clint Eastwood per L’uomo con la cravatta di cuoio a rilanciarlo, con un personaggio che gli si addiceva perfettamente: l’eroe tradizionale alle prese con il mondo moderno. Questo è proprio il soggetto di Chi ucciderà Charley Varrick? (Charley Varrick, 1973): dopo Coogan, uno sceriffo vecchio stile perduto a New York e che ad ogni azione finisce per riparare alla meglio il caos da lui stesso creato, dopo Harry Callahan (Dirty Harry, 1971) che lotta a modo suo contro il crimine e molto spesso ne subisce le conseguenze, ecco Charley Varrick: l’ultimo degli eroi di Don Siegel.

Siegel avverte gli spettatori che si troveranno di fronte a un protagonista controcorrente fin dalle prime immagini del film, che presentano un tessuto fiammeggiante su cui è stampata la scritta “L’ultimo degli indipendenti – Charley Varrick” che poi scopriremo essere la tenuta da lavoro dell’eroe. Come un loop, ritroviamo questa immagine alla fine del film. Se questa ripetizione ci permette di dare una spiegazione narrativa alla situazione, la prima occorrenza ha un significato molto più forte perché la suddetta indipendenza brucia tra le fiamme. Siegel annuncia chiaramente che il personaggio che ci presenterà appartiene già al passato, o almeno si avvicina pericolosamente ad esso. Una sensazione che verrà chiaramente confermata da Molly, l’assassino sulle tracce di Charley Varrick, che quando scopre il suo slogan dice laconicamente “puzza di fine” (“è proprio l’ultimo”, nella versione italiana).

Dopo il totem Eastwood dei due film precedenti a cui abbiamo fatto riferimento, a vestire i panni di Charley Varrick viene chiamato Walter Matthau. La prima scelta di Don Siegel per interpretare il personaggio principale sarebbe stata Donald Sutherland ma la produzione impose Matthau. Una scelta inizialmente disapprovata dal regista, ma che alla fine si è rivelata una risorsa importante per il film. Né molto bello, né molto muscoloso, né molto giovane, Matthau è l’anti-star per eccellenza e la sua apparizione in un film d’azione violento confonde i confini. Appare travestito da vecchio all’inizio, durante la sequenza della rapina. Di fronte a un feroce e metodico assassino dalla forza erculea (il massiccio Joe Don Baker), Varrick utilizzerà il suo cervello più dei suoi muscoli o della sua abilità nel maneggiare le armi. Il suo giovane, focoso e stupido partner (Andy Robinson, “Scorpio” nel precedente cult di Siegel) verrà torturato a morte senza pietà dal sicario, risvegliando in Varrick un’idea di vendetta perfettamente pianificata ed eseguita.

Matthau trasmette un’immagine amichevole e bonaria che produce nello spettatore immediata empatia anche quando – dopo un addio particolarmente toccante alla moglie, ferita a morte nell’attacco alla banca – ne distrugge il suo corpo e l’auto utilizzata per la loro fuga. Un momento sorprendente, in parte improvvisato da un Matthau brillantemente ispirato durante le riprese, che rimarrà uno dei rari momenti di umanità nel mondo particolarmente opprimente che il film ci descrive.

Sì perché l’universo di Charley Varrick è infatti quello tipico del cinema criminale americano degli anni ’60 e ’70, che vede rappresentare il male non più in una persona raggiungibile ma assume ormai la forma di una rete, di una nebulosa indistruttibile. Quando l’assassinio di Charley Varrick viene ordinato dalla mafia, viene filmato dagli uffici della sede di un’ordinaria e apparentemente tranquillizzante banca. Eppure il dirigente che minaccia  Charley Varrick è in pericolo tanto quanto il nostro protagonista perché i capi dell’organizzazione, coloro che detengono il vero potere e non compaiono mai sullo schermo, pretendono che la situazione venga risolta e la mafia recuperi i suoi soldi. La mafia è ormai un conglomerato, presente ovunque (l’anno prima nelle sale americane era uscito Il Padrino), mimetico con la società americana e capace di nascondersi dietro qualunque individuo, talvolta a sua insaputa. È l’immagine di una società minacciosa e minacciata quella mostrata dal cinema di quegli anni, che sono quelli dell’assassinio di Kennedy, della guerra del Vietnam e dello scandalo Watergate. Una caduta dall’Eden esemplificata nella scena iniziale, che trasporta dallo scenario di una provincia ideale a una contemporaneità violenta e spietata. Eppure – un altro elemento degno di nota di questo film – la provincia rimane sullo sfondo: raramente infatti negli anni Settanta il thriller lascia l’atmosfera grigia delle città per un paesaggio luminoso e rurale…

Il supporting cast non sbaglia un colpo: dal pavido direttore di banca, al manager doppiogiochista senza scrupoli fino al partner stupido e impetuoso di Varrick. Perfino i personaggi minori sono tutti perfetti, offrendo un campionario indimenticabile: gli ottusi poliziotti, le puttanelle arruolate come basiste della mala, l’armaiolo sulla carrozzina, la cinica falsificatrice di documenti, fino alla segretaria del banchiere con la foto del principale (evidentemente anche altro) sul comodino di fianco al letto dove concede a Charley Varrick una focosa sessione amorosa. Menzione speciale per Joe Don Baker nei panni del killer Molly, un omone brutale eppure totalmente dedito al suo compito: depositario di una sua etica professionale, regola i conti anche con il banchiere – che Varrick ha finto essere suo complice – prima di cadere nel tranello tesogli dal protagonista nello scontro finale. Nonostante il fallimento ai botteghini americani, Chi ucciderà Charley Varrick è sicuramente uno dei film meglio riusciti di Siegel che beneficia dell’ottima ed emozionante musica di Lalo Schiffrin: asciutto, teso verso il suo esito, senza sequenze superflue o cali di ritmo. Da rivedere! 

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