Per paura di essere severamente punito, un giovane orfano di sei anni, Robbie, fugge dai suoi genitori adottivi dopo aver erroneamente pensato di aver involontariamente appiccato fuoco alla casa. Rifugiatosi in una cantina, si ritrova faccia a faccia con un uomo, Chris, che ha appena ucciso l’amante di sua moglie. Temendo che il bambino parli, Chris lo porta con sé e inizia un viaggio attraverso l’Inghilterra, da Londra alle brughiere scozzesi. Tra i due “uomini” nasce un’amicizia mentre la polizia continua la caccia per trovare l’assassino e il fuggitivo.
Il cinema inglese degli anni Cinquanta resta ancora oggi relativamente sconosciuto. Ma a differenza del cinema hollywoodiano che raggiunse il suo apice in questo decennio, il cinema inglese attraversava allora una forte crisi economica e artistica, poiché la settima arte inglese aveva difficoltà a competere con la nuova “piccola finestra” della Tv. Mentre gli anni Quaranta videro l’emergere di registi di talento come David Lean (Breve incontro, Oliver Twist…), Carol Reed (Fuggiasco, Il terzo uomo…) o il duo Michael Powell-Emeric Pressburger (Scarpette rosse, Il narciso nero…), e le grandi compagnie “Rank”, “Korda” e “The Archers” gareggiavano in talento, il cinema inglese si impantanò all’inizio del decennio successivo e sugli schermi fiorirono gli stereotipi. Non ne venne fuori nulla di straordinario se non qualche gioiello della commedia “britannica” di Alexander Mackendrick, Robert Hamer e Charles Crichton appunto. Il cinema inglese piuttosto sclerotico dei primi anni Cinquanta è, quindi, ancora oggi quasi invisibile. Troverà nuova vita con la resurrezione e il riciclaggio dei grandi miti del fantastico da parte delle produzioni “Hammer” con Terence Fisher come capintesta, nonché, all’inizio degli anni ’60, con l’emergere del “”free cinema”, guidato da John Schlesinger, Lindsay Anderson e altri, che scuoteranno l’establishment come farà la “nouvelle vague” in Francia…
Tra le sue due commedie più famose nella migliore tradizione dell’umorismo “british”, L’incredibile avventura di Mr. Holland (The Lavender Hill Mob, 1951) e The Titfield Thunderbolt (id., 1953), Charles Crichton dirige questo piccolo thriller ben realizzato: La colpa del marinaio (Hunted, 1952).
I titoli di testa scorrono al suono di una musica stridula, angosciante e molto veloce in sottofondo che offre immediatamente il taglio del film. Questo stesso tema musicale, di formidabile efficacia, riparte dalla prima immagine del film: un prologo folgorante che fa subito sussultare lo spettatore seguendo questo ragazzino che corre affannosamente per le strade nella Londra in ricostruzione del dopoguerra. Dopo essere stato quasi investito da un carro trainato da cavalli, si rifugia in una cantina. Immediatamente, una mano lo afferra: si tratta di uno sconosciuto con la barba incolta e angosciato. L’uomo, con il volto sopraffatto dalla paura, porta con sé il bambino. La cinepresa li osserva allontanarsi mentre effettua una carrellata posteriore che rivela un cadavere di un uomo ancora caldo in primo piano. Tutto questo avviene in poco meno di due minuti e abbiamo già capito tutto della situazione che si profila. Sorprendente prima scena, girata superbamente, che fa un uso meraviglioso degli ambienti esterni di una Londra molto ben fotografata. In questo film abbastanza breve (non supera gli ottanta minuti), la regia oscilla tra due stili: quello della scuola documentaristica britannica degli anni ’30 (immagini di operai in partenza per la fabbrica all’alba, scene dell’arrivo dei pescherecci, ecc.) e inquadrature più sofisticate e formaliste (nel senso corretto del termine) alla Carol Reed. Si può addirittura pensare che la prima mezz’ora di Hunted possa essere piaciuta ad Alfred Hitchcock scandita com’è da scene piene di suspense: come farà l’uomo, con l’aiuto del bambino, a recuperare del denaro dal suo appartamento mentre è braccato dalla polizia?
Nessuna psicologia o sentimentalismo. Crichton evita il pathos in cui sarebbe potuto facilmente cadere con la presenza del ragazzino. Il piccolo Jon Whiteley è sorprendentemente naturale e davvero toccante nella sua ingenuità, e fu certamente per questo che Fritz Lang lo scelse tre anni dopo per trasformarlo in un indimenticabile eroe al fianco di Stewart Granger nel convincente ll covo dei contrabbandieri (Moonfleet, 1955). Nessun sentimentalismo e pochissimi dialoghi, il che non rende questo film freddo e austero. I personaggi entrano rapidamente nel cuore dello spettatore. Dirk Bogarde, nel suo primo ruolo importante, è eccellente nei panni di questo personaggio violento e nervoso, che acquisisce umanità attraverso il contatto con questo bambino, che non vuole assolutamente abbandonarlo per tornare dai suoi genitori adottivi che non gli piacciono (e per una buona ragione!). Nessun cliché anche per tutto ciò che riguarda i comprimari: la moglie del “eroe” è un’adultera, ninfomane ma sempre amorevole; gli albergatori non sono negativi come spesso accade in questo tipo di film, ma se cercano di denunciare alla polizia non lo fanno per malizia ma per bontà d’animo, credendo quel bambino in pericolo nelle mani del rapitore; il fratello di Chris, presso il quale i due fuggitivi si rifugiano dopo lunghe e faticose scorribande attraverso le brughiere scozzesi, si rifiuterà di lasciarli riposare a casa sua per paura di perdere la sua rispettabilità tra gli abitanti del villaggio… E tutta quella “piccola comunità” che ruota attorno ai personaggi principali viene descritta dal regista (e dagli sceneggiatori Michael McCarty e Jack Whittingham) con impegno, umanità e rispetto. Un viaggio iniziatico scandito da scene che offrono situazioni diverse da quelle che si può pensare di trovare in una storia di questo tipo, fino all’epilogo, sobrio e commovente, straordinariamente composto e supportato ancora una volta da un bel tema musicale (e che non si deve “spoilerare”).
Anche se la seconda parte del film perde un po’ di ritmo, Hunted quasi compete con un’altra opera più recente, dalla storia molto simile: un film ampio e lirico, commovente e angosciante, una riflessione sulla violenza e sull’amicizia, il celebre e superbo Un mondo perfetto (A Perfect World, 1993) di Clint Eastwood.
Negli anni ’80 un anziano Charles Crichton realizzerà il suo film più famoso, l’impareggiabile e divertentissimo Un pesce di nome Wanda (A Fish Called Wanda, 1988).
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