Edito in Italia da Castelvecchi, che ha in corso il benemerito progetto di pubblicare l’opera integrale di Klaus Mann, Fuga al Nord (Flucht in den Norden) uscì nel 1934 a Amsterdam, perché l’autore era stato già costretto ad abbandonare il suo paese. Nella Germania nazista non c’era posto per un omosessuale dichiarato, che per giunta si ispirava all’estetica decadente del primo Novecento – considerata “degenerata” dalle camicie brune. L’odio era totalmente corrisposto e Fuga al Nord inaugurerà la cosiddetta exilliteratur (letteratura dell’esilio, termine coniato dai critici tedeschi per definire la produzione degli scrittori esuli), massima espressione letteraria del dissenso. Non solo: Klaus Mann combatterà sul campo contro i nazisti arruolandosi durante la Seconda Guerra Mondiale nel corpo speciale dell’esercito statunitense Ritchie Boys, formato per la maggior parte da tedeschi e ebrei fuggiti dalla Germania.  

Un elemento determinante della biografia di Klaus Mann come l’esilio è lo spunto iniziale del romanzo. La protagonista Johanna lascia Berlino perché, esausta e terrorizzata, deve mettersi al sicuro: fa parte di un’organizzazione socialista che combatte il regime realizzando attentati e diffondendo articoli di opposizione. Per mettersi al riparo, raggiunge in Finlandia la famiglia di Karin, un’amica finlandese conosciuta all’università. Karin ha un’anziana madre che piange la morte del marito e molte altre disgrazie, due fratelli che si odiano, un’immensa proprietà piena di debiti, una domestica tedesca caricaturale, una cugina fantasiosa. C’è anche un bambino sequestrato e una nonna rinchiusa. 

Dopo la paura e la violenza, Johanna viene catapultata in un altro mondo, quasi come se tornasse indietro nel tempo nella vecchia Europa morente: è estate, in Finlandia la campagna è magnifica e, anche se i tempi stanno cambiando e le famiglie come quella di Karin non sono più così ricche, la vita continua spensierata così che il ricordo della Germania e del suo nuovo governo ritorna solo in qualche discussione. La stanchezza di Johanna non le impedisce di assaporare la felicità dell’amore per il giovane Ragnar (uno dei fratelli di Karin), di viaggiare, di gustare i pasti prelibati che i suoi ospiti le preparano, di leggere, in una parola di vivere. Eppure il senso di colpa affiora quando riceve notizie dai suoi compagni di lotta lontani e costretti alla clandestinità. Forse la storia impedirà a Johanna di essere felice… 

Fuga al Nord è sicuramente un libro che vale la pena leggere, oltre che per il suo valore storico, anche per recuperare dimestichezza con un autore troppo velocemente dimenticato. Dopo la guerra infatti sull’opera di Mann cadde un lungo oblio che solo l’Oscar assegnato a István Szabó per Mephisto – tratto dal libro omonimo – contribuì in parte a rimuovere. Relegato inevitabilmente nel cono d’ombra del più dotato padre, quel Thomas autore di capolavori quali I Buddenbrook, La montagna incantata, Morte a Venezia e di altre opere imprescindibili, con il quale ebbe un rapporto fortemente tormentato (ma questa è un’altra storia), Klaus Mann riuscì tuttavia in vita a ritagliarsi un ruolo di primo piano quale protagonista della letteratura tedesca. 

Tornando a Fuga al Nord ritengo però più interessante e proficuo soffermarsi a riflettere sul suo più evidente difetto anziché sui suoi molti pregi. In alcuni passaggi il libro scade in un manierismo sentimentale troppo ingenuo per non essere sospetto, eppure all’epoca il ventottenne Mann era già uno scrittore d’esperienza avendo già composto romanzi e drammi di notevole rilevanza. L’ancor giovane Klaus, insomma, era tutt’altro che uno sprovveduto: possibile che non si sia reso conto dello stile stucchevole di alcune pagine? Nel lettore affiora il sospetto che si tratti di un’insistenza voluta, una spia di come Mann volesse suggerire che la dimensione erotica è l’unico rifugio dove cercare protezione e felicità. Eppure anche per lo scrittore – come per Johanna – questo rifugio inebriante e desolante si rivelerà insufficiente. La ricerca di un nord sicuro e incontaminato che gli consenta di domare la sua morbosa attitudine autodistruttiva e fuggire alla disperazione termina per Klaus Mann a Cannes. Nel 1949 lo scrittore si suicida con una dose di barbiturici.

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