Il processo di Frine è un volume di racconti di Edoardo Scarfoglio, che ha ispirato l’omonimo episodio di un celebre film di Alessandro Blasetti, interpretato da un pirotecnico Vittorio De Sica nei panni di un novello Iperide che fa assolvere una giovane popolana (Gina Lollobrigida) decantandone la bellezza.

La scena del processo in tribunale è un format ricorrente nel cinema italiano (e non solo), soprattutto nella commedia, e fra i precursori ricordiamo -per limitarci a una breve panoramica- Imputato, alzatevi! di Mario Mattoli (1939) con Erminio Macario, e San Giovanni decollato di Amleto Palermi (1940) con Totò. Protagonista di scene (esilaranti) al tribunale è Alberto Sordi nei panni di Nando Mericoni, “l’americano a Roma” nel doppio di Steno, Un giorno in pretura (1953) e Un americano a Roma (1954), per non parlare delle ‘sceneggiate’ al commissariato fatte da Peppe (Vittorio Gassman) e Cosimo Proietti (Memmo Carotenuto) ne I soliti ignoti

Il regista Alessandro Blasetti

Il processo di Frine (visibile qui) è l’ottavo e ultimo episodio di Altri tempi, Zibaldone I (1952), film ideato, prodotto e diretto da Alessandro Blasetti per celebrare i suoi 25 anni di attività nel cinema. È ambientato a Napoli. Protagonista Vittorio De Sica nella parte dell’avvocato che difende una bellissima popolana, Maria Antonia Desiderio, interpretata da Gina Lollobrigida, processata per aver tentato di avvelenare marito e suocera. Facendo leva sulla prorompente bellezza della giovane, l’avvocato difensore ribalta il verdetto di condanna con un’arringa spettacolare che trascina pubblico, giudici e giurati dalla parte dell’imputata. La breve arringa difensiva si può sintetizzare in questi termini: la bellezza della natura s’incarna nella donna, la bellezza di una donna può nascondere la malvagità? Vittorio De Sica pone questa domanda con studiata enfasi retorica al pubblico in ascolto. 

Le colpe di Maria Antonia, sostiene l’avvocato difensore, devono essere considerate una ben trascurabile cosa rispetto alla funzione allegorica e suggestiva che essa esercita nella sfera estetica. Ma per ottemperare al principio dura lex sed lex voi giudici -prosegue De Sica- dovete condannarla all’ergastolo, la giustizia vi impone di emettere una sentenza che sottrarrà alla pubblica visione una donna nella quale si incarna la bellezza stessa della nostra Napoli, della primavera, del Vesuvio: Maria Antonia fa parte del panorama come i fiumi, i monti, il paesaggio. “Che cosa penserebbero i turisti se mettessimo in carcere il Vesuvio?”. E qui Vittorio De Sica arriva ai greci antichi, maestri dell’umanità, per rievocare il celebre processo a Frine. Gli eliasti sedevano imperturbabili a giudicare su sedili di marmo la colpevolezza di Frine. Impassibili fin quando il “mio predecessore” (De Sica molto modestamente si paragona a Iperide…) decise di ricorrere a un espediente che mutò completamente l’opinione dei giudici. 

Lo spettacolare dipinto dell’artista francese Jean-Léon Gérome è la più famosa rappresentazione pittorica del celebre processo contro una delle più  rinomate e forse più belle etere dell’antichità, quella Frine che dovette piacere (e ne fu forse l’amante) anche all’oratore Iperide (390-322 a.C.) che la difese di fronte ai giudici dell’Areopago convincendoli ad assolverla non solo grazie alla sua abilità discorsiva, ma con un coup de théatre di sicuro effetto: al culmine di un elogio alla bellezza femminile, Iperide, qual prova tangibile del suo discorso, denudò parzialmente la bellissima Frine scoprendola fino a lasciar visibile il seno. Iperide riuscì a sconvolgere gli astanti e a capovolgere il verdetto. Frine andò assolta. 

Jean-Léon Gérome, Frine davanti all’Areopago

A questa vicenda dell’antichità classica si rifà, soprattutto nel titolo, il volume di racconti Processo di Frine, pubblicato nel 1883 da Edoardo Scarfoglio (1860-1917), giornalista e scrittore, fondatore del Il Mattino di Napoli (con Matilde Serao) e direttore de L’ora di Palermo. Il processo di Frine di Blasetti, che inizia con un esplicito riferimento a Scarfoglio e al suo racconto, è rimasto celebre soprattutto perché Vittorio De Sica, nei panni dell’avvocato difensore della popolana ubertosa e femminile, coniò il termine “maggiorata fisica” che segneràun’epoca e sarà molto utilizzato per tutti gli anni Cinquanta e buona parte del decennio successivo. Vittorio De Sica in questo episodio è alla sua prima apparizione accanto a Gina Lollobrigida; entrambi gli attori, l’anno dopo, diventeranno ancora più popolari come il maresciallo e la bersagliera nel film Pane, amore e fantasia diretto da Luigi Comencini.

Il processo di Frine rasenta un insieme di generi letterari che confina con i discorsi paradossali (i più famosi dei quali sono l’Encomio di Elena di Isocrate e l’Elogio di Nerone di Girolamo Cardano), le suasoriae e le controversiae di latina memoria, le interviste impossibili1. L’aula di giustizia e il processo con il suo dibattimento sono diventati spesso teatro di film memorabili. Basterebbe ricordare Il buio oltre la siepe (1962) tratto dal romanzo di Harper Lee, o La parola ai giurati (1957) geniale racconto diretto da Sidney Lumet dove 12 giurati devono arrivare a una decisione su un caso di omicidio: 11 hanno già un’idea precisa: sono per la colpevolezza; l’unico con un dubbio cercherà di convincere gli altri undici portandoli dalla sua parte e salvando dalla condanna a morte l’imputato. 

Divertente omaggio all’antichità classica, alla bellezza femminile, e soprattutto al potere persuasivo, ma spesso sofistico e capzioso, della parola, Vittorio De Sica oratore è l’antitesi dell’avvocato D’Amore, personaggio eccentrico e cinico interpretato con maestria caricaturale da Vittorio Gassman nell’episodio “Testimone volontario” de I Mostri (1963) di Dino Risi. Qui siamo su altri lidi: dal mito alla dura realtà della confutatio forense. Il testimone (Ugo Tognazzi) si vedrà costretto a ritrattare la sua testimonianza incalzato dalle controprove dell’avvocato D’Amore. Un altro episodio spettacolare del nostro cinema, ambientato in un’aula di tribunale.


1 Andate in onda sulla seconda rete radiofonica Rai nel 1974 e 1975, curate da Lidia Motta: uomini di cultura contemporanei intervistano 82 fantasmi redivivi di personaggi famosi. Memorabili quelle di Umberto Eco che parla con la Beatrice dantesca, e di Edoardo Sanguineti che intervista Francesca da Rimini interpretata da Laura Betti.

La parola ai giurati

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