Un pazzo entra in un supermercato e inizia a sparare, provocando una strage. La polizia impreparata si affida a un collega muscolare, l’ispettore Marion Cobretti (Sylvester Stallone), detto “Cobra”, un poliziotto di Los Angeles taciturno malvisto dai suoi ma terribilmente efficiente. Convinto che la legge si applichi meglio quando i giudici non hanno il tempo di intervenire, Cobra risolve la questione a modo suo. I suoi superiori decidono quindi di affidargli il compito di rintracciare uno psicopatico mistico, “il Killer” (il muscoloso Brian Thompson, un “cattivo” abituale di questo tipo di film). La statuaria modella Ingrid (Brigitte Nielsen), è stata testimone del suo ultimo crimine.  Probabilmente sarà lei la prossima vittima e deve essere custodita in un luogo protetto. Ma tutti ignorano che c’è una talpa al comando di polizia…

Avvengono rapine ogni 11 secondi, i crimini violenti ogni 25 secondi, le rapine a mano armata ogni 65 secondi, gli omicidi ogni 24 minuti e 250 stupri al giorno… C’è un solo colpevole: il crimine, la malattia. E per questa società distrutta e selvaggia c’è un solo rimedio, “Cobra”, la cura….
Così viene presentato in Cobra (id., 1986), di George Pan Cosmatos, Marion Cobretti, l’antieroe poliziesco degli anni ’80 che ha ereditato e amplificato l’atteggiamento reazionario di chi già nel decennio precedente puniva i criminali come meritavano (Harry Callahan/Clint Eastwood, Jimmy “Papà” Doyle/Gene Hackman e Paul Kersey /Charles Bronson sono i migliori esempi), il tipo di eroi che entusiasmavano Ronald Reagan (nel film il suo ritratto appare in bella mostra). Sylvester Stallone (uno dei divi del momento e amico del presidente-attore) avrebbe dato vita a uno dei film più ricordati dagli appassionati del genere d’azione, prodotto dalla nefasta Cannon Films. In realtà, l’attore stava modificando la sceneggiatura di Beverly Hills Cop – Un piedipiatti a Beverly Hills (Beverly Hills Cop, 1984), di Martin Brest, prima di essere licenziato e sostituito da Eddie Murphy nel ruolo di Axel Foley.
Viene quindi ingaggiato da Yoram Globus e Menahem Golan (per dieci milioni di dollari!) per un progetto che avrebbe risollevato la Cannon dalla crisi causata da Invaders (Invaders from Mars, 1986), di Tobe Hooper.

Stallone riorganizza i resti di quello script, utilizzando come base “Fair Game” di Paula Gosling, anche se si allontanerà molto da quel testo. George Pan Cosmatos viene messo dietro la macchina da presa, anche se sarà Stallone a dirigere. Il greco nato a Firenze Pan Cosmatos sarà protagonista di un grosso equivoco: essere considerato un buon regista d’azione. E, in effetti, la sua carriera è legata a film di consumo che – oggettivamente -contengono comunque qualcosa che li rende attraenti: Rappresaglia (1973), Cassandra Crossing (1976), Amici e nemici (1979), Leviathan (1989), Tombstone (1993), Shadow Program – Programma segreto (1997).

Cobra è la sintesi di riprese caotiche, per colpa dell’ego esagerato di Stallone e dell’incertezza «di Pan Cosmatos. I primi minuti del film – copiati da Una 44 Magnum per l’ispettore Callaghan (Magnum Force, 1973), di Ted Post – servono a presentarci l’eroe e a far emergere il tipo di filosofia che sta alla base del film quando un folle appartenente ad una terrificante setta di pazzi psicopatici che vogliono distruggere il mondo, rapina un supermercato sotto la minaccia di un fucile. Lo spettatore senza esitazione si schiera dalla parte dell’agente incaricato di ridurlo al silenzio. È la cosiddetta “ultima spiaggia” di una polizia troppo debole e ingenua incapace di procedere per paura di denunce da parte del settore più “progressista” della società, mentre Cobretti procede senza troppi problemi: «Il crimine è una malattia…e io sono il rimedio». Stallone tira l’acceleratore reazionario, plagiando senza tante cerimonie il classico di Siegel ed Eastwood. Ma mentre si indagava sulla personalità malinconica di Callahan, sottolineando la follia nevrotica che lo dominava nella sua lotta con “Scorpio” e altri criminali, alla sceneggiatura di Stallone poco importa di ritrarre il suo “Cobra” più in profondità a parte che è un poliziotto duro e arrogante (nessun altro è capace di mangiare una pizza surgelata indossando ancora guanti di pelle e occhiali da sole) e ha anche il tempo di fare battute nei momenti meno opportuni. La trama prende il via quando Ingrid, modella dall’encefalogramma piatto e dal corpo esplosivo, assiste ad un omicidio per mano degli scagnozzi del leader della setta di pazzi psicopatici. Diventa, ovviamente, un bersaglio da eliminare. Facile espediente narrativo che mira ad unire la modella e l’eroe, che insieme al suo compare di pattuglia Tony (Reni Santoni) deve proteggerla qualunque cosa accada (unico punto in comune con il romanzo). Colmando le falle della sceneggiatura di questo prevedibilissimo plot tra il poliziesco e lo psico-thriller, Stallone e Cosmatos sviluppano il film dandogli quell’estetica da video musicale allora molto in voga (erano i tempi dei Miami Vice di Michael Mann), con grandi iniezioni di azione, intense e violente, con un tono affine a Walter Hill o Michael Winner.

Violenza autoindulgente, confezione dura, ideologia bronsoniana. Dialoghi insipidi e talvolta imbarazzanti (attenzione a quando Ingrid e “Cobra” dissertano sul suo vero nome), s’innescano su una trama che non porta da nessuna parte (si verifica un incidente, e ci si ritrova in ufficio per vedere come i superiori cazziano il protagonista, avviene un altro incidente… e così via), e su interpretazioni mediocri, soprattutto uno Stallone privo di carisma (che in seguito ammetterà nelle interviste che in quel periodo era… svogliato), musica scadente. Oggettivamente, solo le scene d’azione sono girate decentemente nonostante quello che alcuni pensano, soprattutto quelle dell’ultima sezione apocalittica: una fusione tra Mad Max e Rambo.

Quando la Warner visionò le due ore girate, violentissime, si rifiutò di mantenere la versione originale, che venne vertiginosamente ridotta a 87’. Nonostante questo Cobra ha funzionato bene nelle sale, ha fatto impennare le vendite nelle videoteche, e tutti i ragazzini volevano inforcare i Ray-Ban, possibilmente col fiammifero in bocca.
Un prodotto del suo tempo, nel bene e nel male, un prodotto anni Ottanta, dagli ideali duri e politicamente scorretti.  Andrew Sipes girerà un non più convincente remake, ma più fedele al romanzo: Facile preda (Fair Game, 1995).

Conclusione? Innegabilmente splendida la Ford Custom Mercury del 1950 guidata da Cobretti. Cobra è riservato esclusivamente agli appassionati dei film d’azione anni Ottanta e ai degustatori del trash cinematografico statunitense. Però… Ci sono film per i quali si prova un affetto speciale, anche se non ci si spiega il motivo. Forse perché è un tipo di film che non si fa più.

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