È una delle scene più morettiane dell’intera filmografia di Moretti. Eppure, allo stesso tempo, anche una delle più universali, in cui ognuno può riconoscersi.
Il film è Palombella rossa (1989). In una celebre scena si sta proiettando Il dottor Zivago, colossal del 1966 diretto da David Lean. «Avvertitemi quando c’è la scena del tram perché non posso resistere», urla uno degli spettatori. È il gran finale del film: Jurij Zivago, ormai anziano e malato, a bordo di un tram, scorge dopo anni e anni tra la folla l’inequivocabile figura di Lara, il grande amore di tutta la vita. Riesce a scendere, ma appena prova a rincorrere Lara e a chiamarla, viene stroncato da un colpo apoplettico.
«È lei. Lei. Voltati, voltati!», urla Moretti a Zivago, «Fatelo scendere. Corri, corri!». Un disperato e vano tentativo di modificare il finale. Che è esattamente quello che vorrebbe fare ognuno di noi, dopo che in oltre tre ore di film siamo stati avvinti e rapiti da questa struggente e sventurata storia d’amore senza possibilità di lieto fine.
Il colossal è l’emblema stesso, incarnazione e paradigma, del grande film d’amore hollywoodiano. Come fosse un teorema, sono presenti tutti gli ingredienti di base. A partire dalla durata “monstre”, che garantisce ampio respiro alla storia, uno sviluppo narrativo lungo più di una generazione che consente di veder crescere ed evolvere i personaggi nelle varie stagioni della vita, poterli vedere raffigurati a tutto tondo, scavare a fondo nella loro psicologia. Poi, la condanna, che grava come una spada di Damocle sugli amanti sin dall’inizio, di pochi irripetibili istanti di felicità a fronte di una vita intera di rimpianti e ricordi. Il tutto, sullo sfondo di una grandiosa ricostruzione storica, in questo caso la Rivoluzione d’Ottobre, il suo lungo prologo e, soprattutto, la sua lunghissima appendice. E, ovviamente, un cast a dir poco stellare: Omar Sharif (Jurij Zivago), Julie Christie (Lara), Geraldine Chaplin (Tonia, moglie di Zivago), Rod Steiger (Komarovskij). Con una colonna sonora sontuosa e indimenticabile con tanto di una hit, il celeberrimo Tema di Lara firmato da Maurice Jarre, capace di scalare le classifiche musicali di mezzo mondo.
Campione d’incassi, capace di emozionare pressoché chiunque ai quattro angoli del pianeta, vincitore di ben cinque premi Oscar, in grado di oltrepassare il suo tempo e sopravvivere all’incedere dei decenni, il film, al momento della sua uscita e per molto tempo a seguire, ricevette sonore stroncature.
L’accusa principale, quella di aver ridotto sensibilmente la tematica politica, ben più corposa, approfondita e determinante nel romanzo capolavoro di Pasternak da cui è tratto, a favore esclusivo della storia d’amore.
Il che è indubbio e innegabile, dal momento che, come si diceva prima, la pellicola di Lean è essenzialmente un film d’amore. Anzi, a essere più precisi, “il” film d’amore per eccellenza.
Ma le critiche, almeno la maggior parte, pur partendo da un dato difficilmente opinabile, restano comunque del tutto pretestuose, dettate da un pregiudizio strettamente connesso al particolare contesto in cui, prima il libro e poi il film, videro la luce.
In realtà, al di là dell’inevitabile riduzione, il film risulta quanto mai fedele all’essenza del romanzo, al suo spirito e allo sguardo del suo autore.
Per capire, proviamo a rimettere in fila i pezzi essenziali di tutta la vicenda, anzitutto editoriale, di questa storia così importante.
Boris Pasternak terminò il suo capolavoro nel 1955, lo propose alla rivista letteraria “Novyj Mir” ma, complice la sua distanza dal cosiddetto “realismo socialista” e della visione decisamente non entusiastica – se pur nemmeno di aperta condanna – dell’epopea bolscevica, ne ottenne un fermo rifiuto equivalente a una censura senza appello. Pasternak riuscì a spedire copie del romanzo ad alcuni amici in occidente. Tra questi, l’editore Giangiacomo Feltrinelli, che convinto della grandezza senza eguali dell’opera, volle pubblicarla immediatamente. Il romanzo uscì, in Italia prima che altrove, nel 1957, divenendo ben presto un caso. Politico più che editoriale, al punto che il PCI finì per espellere Feltrinelli, reo di aver dato alle stampe un romanzo critico nei confronti del comunismo. In realtà Pasternak, come già accennato, non mette la condanna della Rivoluzione al centro del suo romanzo. Semplicemente non la esalta a prescindere e, da spettatore critico e dotato di autonomia di pensiero, dà una lettura degli eventi problematica, evidenziando storture, contraddizioni e orrori insiti in una vicenda che il regime totalitario intendeva celebrare come eroica, epica e priva della benché minima increspatura.
Negli anni di massima tensione della Guerra Fredda, le sfumature di Pasternak suonavano come inammissibili, un vergognoso e inaccettabile prestare il fianco al nemico.
Ma l’isterismo nel valutare esclusivamente dal punto di vista politico un romanzo che era, e resta, una storia di uomini e di sentimenti, non fu prerogativa esclusiva della sponda sovietica e comunista. Anche sul versante “atlantico”, nell’ambito dell’americanismo spinto, Pasternak fu prontamente tradotto in inglese e usato come emblema della lotta all’anticomunismo, finendo per caricare dei medesimi significati politici anche il premio Nobel prontamente conferito allo scrittore.
Una lettura errata almeno quanto quella sovietica.
Nemmeno dieci anni dopo, con le polemiche di fine anni Cinquanta ormai sostanzialmente sopite, Hollywood decise di trarne un grande colossal, affidando il progetto a un regista esperto come David Lean.
Di certo le intenzioni della produzione hollywoodiane erano tutte protese alla realizzazione di una magniloquente storia d’amore, ma lo sceneggiatore Robert Polt, autore dell’adattamento, non faticò molto a soddisfare simili richieste, poiché il romanzo di Pasternak è già un dramma dei sentimenti sullo sfondo di un dramma storico e politico. Andando a sviluppare soprattutto la tematica amorosa, la sceneggiatura non altera il normale rapporto tra le parti del romanzo, con le vicende intime dei protagonisti in primo piano e lo svolgersi dei grandi avvenimenti storici come sfondo e cornice.
Il dottor Zivago romanzo è una lettura complessa, densa, meravigliosa ma impegnativa come solo la grande letteratura russa sa essere (il modello, dichiarato, è Guerra e pace di Tolstoj, di cui il padre di Pasternak, pittore, era grande amico), ma esaltante e incantata, a partire dai primi episodi dove ogni cosa è filtrata dallo sguardo fanciullesco di Jurij Zivago bambino. Una sorta di stupefatto idillio iniziale che si fa a poco a poco sempre più incalzante, tra guerre, rivoluzioni, amore, fughe, descrizioni paesaggistiche indimenticabili, tormenti interiori, addii, con improvvisi e stupefacenti rallentamenti e accelerazioni del ritmo narrativo fino al finale, tragico e inevitabile.
Poesia, fiducia nel prossimo, violenza della storia, imbarbarimento dell’essere umano, contemplazione della natura, un amore doloroso, impossibile e travolgente.
Sono gli elementi chiave del romanzo di Pasternak che la pellicola di Lean ripropone sapientemente. A differenza del libro, il film non ci propone la lettura dei versi scritti da Zivago per Lara, ma li evoca con l’uso sapiente della musica, mentre lo straordinario descrittivismo di Pasternak è restituito da indimenticabili sequenze in esterni.
Il successo clamoroso del film, è la spiegazione implicita delle critiche che lo investirono. Capace di raggiungere un pubblico ben più numeroso di quello letterario, a metà anni Sessanta si riproposero i medesimi problemi ideologici della fine del decennio precedente. Così si attaccò l’opera di Lean per mancanza di politica, ignorando volutamente che tale mancanza non era che una riproposizione, in minore, dell’impostazione narrativa di Pasternak.
Ma la sopravvivenza dell’opera, tanto quella letteraria quanto quella cinematografica, è la risposta migliore alle letture parziali, interessate e pregiudizialmente ideologiche.
Come la figlia di Jurij e Lara è l’incarnazione della sopravvivenza del loro amore, pure se i due sventurati amanti non riuscirono mai a coronare il loro sogno.
«Sarebbe stato bello incontrarsi prima… anche di un giorno sì», si dicono nel loro ultimo, struggente incontro tra le pareti di una casa ghiacciata.
Mentre a noi non resta che sospirare e poi, al momento della sequenza del tram, urlare a gran voce, insieme a Moretti: «È lei. Lei. Voltati, voltati! Fatelo scendere. Corri, corri!».
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