Crimini e misfatti (Crimes and Misdemeanors, 1989) è un film scritto, diretto e interpretato da Woody Allen, per chi scrive uno degli ultimi della filmografia del genio newyorchese in grado di mostrarne tutto il talento – nei successivi 35 anni troppe volte sciupato tra criminali da strapazzo, scorpioni di giada e via enumerando. 

La trama intreccia due storie. La prima segue l’affermato chirurgo oculista Judah (uno straordinario Martin Landau, che verrà candidato al Premio Oscar come miglior attore non protagonista) alle prese con l’amante Dolores (Anjelica Huston) che minaccia di rivelare alla moglie del medico la loro relazione e le irregolarità finanziarie commesse dal marito, l’altra il documentarista Cliff Stern (Woody Allen) che – deluso dalla vita e dal suo menage coniugale – durante la lavorazione di un programma sul cognato miliardario Lester (Alan Alda) si innamora della produttrice Halley (Mia Farrow). La sceneggiatura di mr. Allen sviluppa come in una sinfonia queste vicende. La frenesia di Dolores, sull’orlo di una crisi di nervi, spinge Judah all’esasperazione e – per proteggere il suo status e la rispettabilità del suo mondo – a rivolgersi al fratello Jack, un delinquente che si occupa di far uccidere la donna simulando una rapina. L’amareggiato Cliff, intanto, riacquista il gusto per la vita nella frequentazione di Halley, che si mostra una donna sensibile in grado di corrispondere i sentimenti dell’uomo e di riempirne i vuoti salvo poi spezzarne i sogni nell’amaro finale.

Crimini e misfatti affronta quindi argomenti ricorrenti nella filmografia di Allen, con un tocco di classe in più grazie all’impeccabile e inconfondibile fotografia di Sven Nykvist non a caso particolarmente a suo agio con il più bergmaniano dei registi. Tra questi temi, la riflessione sul rapporto tra realtà e finzione letteraria ritengo sia il principale. Numerosi indizi, a tutti i livelli del racconto, supportano questa tesi – resa esplicita (come vedremo) nella stessa conclusione. 

Su un piano più superficiale, elementi come la lettera che Dolores scrive alla moglie di Judah per cercare di mettersi in contatto con lei, il documentario sulla vita del cognato che Cliff si trova a dover girare per la TV pubblica, la strampalata poetica che Lester sciorina al suo staff (“se piega fa ridere, se spezza non fa ridere”) e perfino la lettera d’amore che Cliff scrive ad Halley (“l’avevo plagiata quasi tutta da James Joyce. Ti avranno stupito tutti quei riferimenti a Dublino”) creano intorno alla vicenda un clima “letterario” in senso più ampio. I personaggi di Crimini e misfatti disputano su Emily Dickinson durante un drink oppure vanno continuamente al cinema, quasi per costruirsi una realtà parallela più sopportabile della loro quotidianità. 

Mr. Allen sa perfettamente come si conduce una narrazione e alterna frivolezze e ironia a momenti più drammatici e forti. E non potrebbe essere altrimenti, poiché le fonti di ispirazione primarie sono nientemeno che Shakespeare e Dostoevskij. Nella magnifica evocazione della famiglia di origine di Judah, Allen crea addirittura una sintesi tra i due giganti della letteratura. Se i genitori e i parenti del medico in visita alla casa in cui ha vissuto da giovane sembrano apparire come il fantasma di Banquo, i loro dialoghi al 100% dostoevskiani danno voce agli scrupoli di coscienza di Judah (“Vecchio testamento o William Shakespeare, l’assassinio affiorerà” è la posizione del padre seduto a capotavola, a cui la zia “vecchia Russia” risponde “io dico che se riesce a commetterlo senza farsi scoprire e a non farsi affliggere dalla morale, è in un ventre di vacca”).

Attenzione, però: il film ci ricorda che la vita non è la letteratura e tutto ciò che raccontato sulla pagina o per immagini appare in un modo, rischia di rivelarsi addirittura l’opposto. Che assuma le fattezze dell’uomo che si mostra gentile con la sorella di Cliff in cerca di compagnia per poi immobilizzarla a letto e defecarle sul corpo, quelle del filosofo Levy che smentisce le dichiarazioni rilasciate a Cliff (“un sì alla vita!”) suicidandosi o quelle di Halley che rideva del vanesio Lester per poi tornare da Londra fidanzata con lui, gli esempi sono molti e la realtà risulta sfuggente e a volte addirittura impenetrabile alla ragione umana. Questo perché “per quanto pignolescamente un sistema filosofico venga costruito, alla fine risulta sempre incompleto”: nelle parole di Levy è ancora Shakespeare a echeggiare (“ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio…”).

Giunto alla piena maturità in un punto cruciale della sua vita e della relazione con Mia Farrow (i due realizzarono insieme 13 film e Crimini e misfatti si colloca a metà tra la nascita dell’unico figlio biologico, nel 1987, e la tormentata separazione nel 1992), la visione del mondo di Woody Allen è cupa, come si evince nel confronto finale tra i due personaggi principali. Anche le conclusioni “morali” delle loro vicende, adottano la forma di un dibattito letterario: il chirurgo e il documentarista si incontrano infatti durante un banchetto nuziale e il primo espone la sua grande trama per il delitto perfetto con uno “stranissimo risvolto”. Sì perché il colpevole, nonostante il background religioso faccia affiorare in lui i sensi di colpa, a un millimetro dal collasso si riprende e con il passare dei mesi vede la sua vita addirittura prosperare. Cliff non può fare altro che sollevare le obiezioni dell’uomo di lettere e del narratore, osservando come questo finale concretizzi tutte le peggiori convinzioni del protagonista e come, se fosse lui l’autore dello script, farebbe assumere una dimensione tragica alla storia spingendolo a costituirsi. La risposta di Judah è però netta e perentoria: “questa è fiction […] lei vede troppi film e io sto parlando della realtà”.

Ma se nemmeno l’arte serve a ripararsi da questa disperazione (“la felicità umana non sembra fosse inclusa nel disegno della creazione” è la sintesi del professor Levy in uno degli interventi montati da Cliff), che cosa resta all’uomo? La risposta è la fede, rappresentata dal ballo del rabbino e di sua figlia, sposa in bianco che si affaccia felice al futuro con ottimismo e speranza. Il fatto che poi il rabbino sia cieco non è casuale ed è fortemente sintomatico della weltanschauung di Allen…

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