Talento multiforme (comico, cantante, presentatore, attore, sceneggiatore e regista nonché produttore), Jerry Lewis (nome d’arte di Joseph Levitch, Newark, 1926-Las Vegas, 2017) fa parte di una ristretta cerchia di artisti della comicità che ebbero successo come attori e successivamente come registi in film dominati da loro stessi come protagonisti e mattatori. In uno dei suoi lungometraggi più famosi, I 7 magnifici Jerry (The Family Jewels) interpreta addirittura sette personaggi diversi. Figlio d’arte (il padre, Daniel Levitch, era un attore di vaudeville), Jerry, da studente un po’ ribelle, finisce per esercitare i proverbiali mille mestieri, dal fattorino alla maschera al cinema. Nel 1946 conosce il crooner (e attore) Dean Martin, al secolo Dino Crocetti, durante uno spettacolo: è lo stesso Jerry Lewis a chiamarlo in scena in seguito all’assenza di un attore.
Con passaggi di graduale successo dai nightclub alla radio fino alla televisione, Dean Martin e Jerry Lewis approdano al cinema nel 1949 con il loro primo film insieme, La mia amica Irma. Nel 1950 Martin & Lewis firmano un contratto con la NBC per condurre a rotazione settimanale il varietà televisivo The Colgate Comedy Hour. I due formarono per un decennio una partnership di successo -dal 1946 al 1956, recitano in 16 film- che innovò il panorama del cinema comico di allora: i grandi team e le coppie della risata (come i fratelli Marx, Stanlio e Ollio, Bob Hope-Bing Crosby) stavano infatti entrando in una fase declinante. Jerry Lewis ha quasi sempre interpretato il personaggio del nerd, ingenuo e sprovveduto, ma anche intelligente e sensibile, snobbato dalle donne, attratte dal tipo bello, sportivo e navigato, interpretato, nella fattispecie, da Dean Martin; il quale, va detto, fungeva anche da fratello maggiore e da guida non parca di consigli, che elargiva al suo goffo room mate, con tono di rassegnata e quasi paterna condiscendenza. Questa polarizzazione umana, psicologica e culturale tra il “belloccio” di successo e il bruttino sensibile e colto ma emarginato, è ben più di una trovata comica, di uno standard che si ripete serialmente in molte coppie della comicità cine-televisiva. Ne Le folli notti del dottor Jerryll (The nutty Professor, 1963), parodia del romanzo di Robert Louis Stevenson (ripreso nel remake del 1996, Il professore matto, con Eddy Murphy), Jerry interpreta due personaggi antitetici: Julius Kelp, docente di chimica, timido e bruttino, e il rubacuori Buddy Love al quale vorrebbe assomigliare e nel quale riesce a trasformarsi grazie a una pozione magica di sua invenzione. Il professore è innamorato di una ragazza che però è attratta dalla personalità più sicura e arrogante del playboy Buddy Love, caricatura del suo precedente partner sul set, Dean Martin.
Torniamo un attimo indietro. Quando finì il sodalizio fra i due, Dean Martin proseguì recitando ruoli molto seri e quasi tragici come in Un dollaro d’onore (1959), un classico del genere western, diretto da Howard Hawks, con John Wayne, dove Dean Martin è un vicesceriffo che stenta a risollevarsi da una delusione d’amore e a uscire dal conseguente tunnel dell’alcolismo. Jerry Lewis non riusciva, invece, a staccarsi dallo stereotipo demenzial-burattinesco del suo personaggio. A salvare Jerry dalla routine fu la collaborazione con Frank Tashlin in altri quattro film memorabili: fra i quali Il balio asciutto (Rock-a-Bye-Baby, 1958) e il Cenerentolo (Cinderfella, 1960). Con Il ragazzo tuttofare (The Bellboy, 1960) Jerry esordisce alla regia.
Nel 1965 diresse I 7 magnifici Jerry (The Family Jewels), un altro suo film cult, storia di un’orfanella miliardaria che deve scegliere il suo nuovo tutore tra sei zii tutti scombinati o casinari, tutti interpretati da Jerry Lewis. Oltre a questo, fra i migliori film di Jerry Lewis, due spiccano, secondo me, fra i più rappresentativi, e portano entrambi la sua firma di regista: L’idolo delle donne (The Ladies Man, 1961) e Tre sul divano (Three on a Couch, 1966). Nel L‘idolo delle donne Jerry Lewis interpreta la parte di un giovane, Herbert H. Herbert, tradito dalla fidanzata per il classico atletico e biondo studente del college. In seguito a una ricerca di lavoro, viene assunto, ironia del caso o del copione, in un collegio femminile dove incontrerà una ragazza che lo farà ricredere sul sesso femminile: Fay, la studentessa interpretata da Pat Stanley, che è un po’ l’alter ego di Herbert: non bella ma carina, sensibile, e umile, ma snobbata dalle compagne. In questo film recita Kathleen Freeman (che avrà anche una parte importante in Tre sul divano) nel ruolo di braccio destro operativo della signora Wellenmellen, la proprietaria del collegio. La Freeman interpreta il ruolo di una donna molto sensibile e comprensiva verso Herbert.
L’idolo delle donne è un film da vedere: anche per alcune indimenticabili scene di una comicità surreale: come le farfalle che volano via dopo che Herbert ha sollevato il vetro della teca in cui erano fissate e custodite (e altrettanto istantaneamente ritornano al loro posto). Favoloso e suggestivo sul piano scenografico e delle atmosfere l’interludio musicale ambientato nella stanza di Miss Cartilagine, una delle inquiline, la più misteriosa, del collegio. Inoltre, ricordiamo il divertentissimo cameo di George Raft nella parte del fidanzato di una delle ospiti del collegio.
La mimica facciale, portata all’estremo insieme ai movimenti convulsi e sgraziati del corpo, è uno dei tratti innovativi della comicità di Jerry Lewis (che si rifà al genere slapstick delle comiche alla Ben Turpin) e avrà non pochi imitatori successivi: penso al Molleggiato Adriano Celentano e alle smorfie di Jim Carrey: paradigmatico il momento in cui Herbert H. Herbert, protagonista de L’idolo delle donne, scopre la fidanzata abbracciata a un altro ragazzo: Herbert viene colto da un attacco di disperazione che lo porta a impegnare l’intero corpo in una serie imperdibile di smorfie, torsioni, mancamenti, gesti melodrammatici con le mani sul cuore, sui capelli. Rimarrà mitico il primo piano sul volto di Jerry Lewis comicamente deformato dal terrore di fronte all’improvvisa comparsa di un camion che gli strombazza pochi millimetri di fronte.
In Tre sul divano Jerry Lewis è il pubblicitario Christopher Pride, fidanzato di una psicanalista (interpretata da Janet Leigh) troppo impegnata sul lavoro. Per seguirla e sostenere il rapporto, Pride decide di impersonare gli uomini ideali di tre pazienti donne, per conquistarle, generando un esilarante carosello di situazioni ed equivoci. Un film a torto mal giudicato dalla critica, e che invece mette in scena un mix del Jerry Lewis tradizionale, meno picchiatello, più ironico e inventivo, temperato dalla maturità di attore e alle prese con una tematica più moderna come la psicanalisi e la crisi della coppia eterosessuale.
Fra le tante scene dei suoi film -alcune le abbiamo ricordate prima- resterà memorabile lo sketch dell’immaginaria macchina per scrivere sulla quale Jerry fa finta di battere le dita al ritmo di un veloce ed aereo accompagnamento d’archi. E, inscindibile dal ricordo di Jerry, la voce del suo doppiatore italiano, Carlo Romano. Jerry fu particolarmente apprezzato in Europa anche sul piano tecnico: la critica francese, per esempio nei Cahiers du Cinema, lo definì “il regista totale” (“The Total Film Maker”), a proposito di una sua innovazione, il video assist (introdotta nel film The Bellboy, il tuttofare) in seguito utilizzata da tutti i registi.
Nei due film, La mia amica Irma (1949) e Irma va a Hollywood (1950), Jerry Lewis e Dean Martin riprendono delle scenette già sperimentate in radio alle quali Jerry aggiunse la gag con lo scimpanzè che fuma, beve, e gioca. Lucio Dalla riprenderà quest’idea rielaborandola in un suo famoso viaggio in auto con uno scimpanzé come compagno.
Jerry Lewis fu chiamato da Martin Scorsese per interpretare Jerry Langford nel film Re per una notte (The King of Comedy, 1982) con Robert De Niro (Rupert Pupkin). Pupkin è un aspirante attore comico, fan di Jerry Langford che da anni conduce con successo lo show The King of Comedy. Questo film -uno dei rari casi in cui il Jerry Lewis della maturità, cioè quello post sodalizio con Dean Martin, recita come attore in una pellicola non diretta da se stesso- verrà rivalutato più tardi. Per esempio, Todd Philips, sceneggiatore e regista di Joker (2019) disse di aver tratto ispirazione proprio da Re per una notte.
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