Luc Besson, il grande regista di Nikita e Leon, ha sempre avuto alti e bassi nella carriera come nella vita. Forse questo lo ha penalizzato agli occhi della critica che non ha pienamente accolto l’eccellente Dogman (2023) che, indubbiamente, va incontro ai gusti degli amanti dei cani come chi ha scritto queste righe.
Besson ritorna con uno stravagante dramma psicologico tutto sulle spalle dell’attore e cantante americano Caleb Landry Jones (premiato a Cannes nel 2021 per Nitram), che ritroviamo nei panni di una persona maltrattata alle prese con il suo passato di bambino martire. Con quest’opera, Besson riprende i suoi temi preferiti: marginalità, oscurità e violenza, come i suoi ex modelli, Nikita/Anne Parillaud, Léon/Jean Reno e Lucy/Scarlett Johansson .

Risultato: Dogman è sfacciato, dotato di un lirismo a volte scandaloso, ma sempre sincero. Besson osa e rischia, anche a costo di uscire fuori strada. Questo è sempre stato il suo modo di condurre la sua carriera e i suoi film, fin dai tempi di Le Grand Bleu che infiammò il Festival di Cannes .
Nessun cinismo o seconda opportunità con questo regista d’azione che divide sempre la critica, che lo denigra più spesso che lodarlo. A volte gratuitamente, raramente giudicando la forma, ma piuttosto la sostanza, rimproverandogli il suo stile civettuolo e infantile (spesso confondendo l’uomo con l’artista).

La maggior qualità di Dogman è che non lascia indifferenti. È così: prendere o lasciare. Lo si ama o lo si odia fin dalle prime immagini, che mostrano un travestito insanguinato, emulo di Marilyn Monroe, con lo sguardo smunto, la parrucca bionda storta e il rimmel gocciolante. Chi è quell’uomo ? Perché guida un camion su cui trasporta una muta di cani? I suoi unici amici? “Bambini”, ammette l’uomo, di nome Doug, all’agente di polizia che lo interroga.

Come è arrivato lì? Ad una psicologa (Jojo T. Gibbs), racconta la sua vita, che è un incubo a occhi aperti. Quella di un bambino martire gettato ai cani dal padre, che lo rinchiudeva giorno e notte in una gabbia. Pazzo di rabbia e odio, arriva addirittura a sparargli, piantandogli una pallottola nella spina dorsale. Da adulto, paralizzato alle gambe, è diventato questo ribelle sulla sedia a rotelle che crede in Dio, canta “La Foule” e “Non, je ne regrette rien” di Edith Piaf in un cabaret di drag queen e vive di furto coordinando la sua banda di cani.

In Dogman , Luc Besson dona al suo personaggio la giusta dose di sofferenza, cinismo e brio. A volte vicino al Joker interpretato da Joaquin Phoenix , è affascinante o spaventoso, suscita una sorta di disagio ma è sempre accattivante. Fedele al suo stile lirico, il regista moltiplica le immagini scioccanti e i flashback, oscilla tra azione ed emozione, filma da vicino il suo attore, presente in tutte le inquadrature.

Lungi dall’essere ridicole, le scene del cabaret fanno rabbrividire, e divertono. Cone le inquadrature con i cani ladri (dal mastino al Jack Russell) che svaligiano le case più chic mettendosi in bocca gioielli preziosi. Come la pensa Besson, ci sono sempre buoni e cattivi. Qui, i primi sono brutti latini tatuati che se la vedranno male ad attaccare la tana fatiscente di Douglas, piena di trappole elettriche e botole. Una parte del film che regala alcune scene spaventose che si trasformano in farsa quando i cani si scatenano sui cattivi, preferibilmente all’inguine.

Luc Besson ha sempre sostenuto di essere stato deluso da molte persone nel tempo. Sin dai suoi esordi, non ha cambiato molto registro, basandosi su azione, drammaticità e redenzione. Il suo marchio di fabbrica, il suo stile, il suo credo. Innumerevoli guai personali e professionali lo hanno portato a ritrovarsi spesso in purgatorio, evitato. Miracolosamente, ha sempre saputo rialzarsi, mettere insieme un altro film, tentare l’avventura, rischiare nuovamente.

Dogman, che si apre con la citazione di Lamartine che titola il nostro articolo, è inquietante e mantiene le sue promesse.
Ed è nuovamente un film controverso: per alcuni un capolavoro, per altri solo trash.
Avete già capito da che parte stiamo noi.

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