Adua e le compagne è un film di Antonio Pietrangeli del 1960. Quando la Legge Merlin impone la chiusura di tutti i bordelli in Italia, quattro prostitute (Simone Signoret nella parte della Adua del titolo più Emmanuelle Riva, Sandra Milo e Gina Rovere) cercano di cavarsela aprendo quella che sarebbe solo all’apparenza una semplice trattoria. L’idea infatti è di riprendere clandestinamente – e tuttavia senza dover ricorrere a un protettore – a praticare il mestiere più antico del mondo nelle stanze adiacenti al locale. Per portare a termine il loro progetto dovranno chiedere aiuto a un finanziatore che minaccia il loro tentativo di emancipazione.

Adua e le compagne è un fulgido esempio della capacità di Antonio Pietrangeli di ricomporre l’eredità neorealista a partire dai moduli della commedia e del melodramma. La reinvenzione è anche al centro della sua carriera: ex critico “filorealista” per tutti gli anni Quaranta, sceneggiatore di importanti registi come Alessandro Blasetti (Fabiola), Luchino Visconti (Ossessione, La terra trema) e Roberto Rossellini (Europa ‘51, Viaggio in Italia), il cineasta si affermò come sottile analista della condizione delle donne. La sua attenzione all’universo femminile appare come il vettore di uno stile sempre più personale, che si declina prima nell’ambito della commedia (Nata di marzo, 1958) e poi, con Adua e le compagne, in quello del melodramma.

Lontano dalla semplicità stilistica che caratterizzò la stagione neorealista, Pietrangeli si interessa alla sorte di quattro prostitute condannate dalla legge Merlin. La messa in scena, scandita dalla fotografia ricca di sfumature di Armando Nannunzi, e dalla musica jazz composta da Piero Piccioni, è elegante e sofisticata. Il cast prestigioso e internazionale – per essere più precisi italo-francese, come spesso accadeva in quegli anni – riunisce nelle quattro parti principali Simone Signoret (toccante nel ruolo di Adua che cerca di mantenere la sua dignità mentre l’età passa e compromette il suo futuro “professionale”), Emmanuelle Riva, Sandra Milo, Gina Rovere più Marcello Mastroianni nel ruolo di Piero, un venditore di automobili superficiale e arrivista. Vettore di un registro essenzialmente patetico, i personaggi femminili avvicinano il film al melodramma.

Questo registro permette a Pietrangeli di sviluppare i conflitti interiori delle donne alle prese con le immagini che la società italiana impone loro e con i ruoli che vengono loro proposti: essere allo stesso tempo madre e “donna di brutta vita” per Marilina (una toccante e bravissima Emmanuelle Riva), o per Adua, farsi riconoscere solo da Piero che, nella leggerezza della sua incostanza, non riesce a vedere in lei altro che una donna di piacere. In questo elemento Adua e le compagne costituisce più un ritratto morale che una denuncia oggettiva della legge Merlin, e annuncia il portato fortemente scettico del personaggio di Adriana in Io la conoscevo bene (1965).

Insieme a La ragazza in vetrina (di Luciano Emmer, 1961), Adua e le compagne costituisce una delle analisi più sottili sulla prostituzione che il cinema italiano degli anni Sessanta abbia offerto sebbene non sia un film politico, perché Pietrangeli dipinge per immagini un tentativo di emancipazione femminile e collettiva in una cronaca agrodolce venata di profondo pessimismo e fatalità. Il mondo del cineasta romano non lascia spazio infatti a nessuna conciliazione, caratterizzato com’è da protagoniste femminili perlopiù in credito con la vita e tuttavia sempre disposte ad adattarsi e a consegnarsi – fragili e ingenue – ai loro carnefici uomini.

Con un talento inconfondibile nel tratteggiare personaggi femminili, Pietrangeli sembra suggerire che la loro forza si esprime nella capacità di resistere agli eventi e alle difficoltà della vita in modo mimetico, senza entrare in aperto contrasto con la società. Quando Adua infatti trova il coraggio di ribellarsi esplicitamente e platealmente al finanziatore della trattoria che vuole trasformarsi in pappone imponendo alle ragazze di tornare al loro antico mestiere, segna la sua disperata fine e si condanna all’emarginazione: alla donna non resterà che battere il marciapiede sotto la pioggia tra gli scherni delle colleghe e i rifiuti dei clienti, attratti dalle ragazze più giovani…

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