Fra i migliori film del neorealismo italiano spicca Roma ore 11 (1952) di Giuseppe De Santis, il regista di Riso amaro, e anche la prima esperienza cinematografica di un giovanissimo Elio Petri, giornalista de l’Unità che svolge un’inchiesta tra le ragazze di via Savoia – il film è ambientato a Roma in largo Circense 37, mentre il crollo della palazzina avvenne in via Savoia 31, quartiere Salario, il 15 gennaio 1951. Petri figura come aiuto regista di De Santis nella realizzazione del lungometraggio. L’inchiesta di Elio Petri divenne un libro, uscito nel 1956, e che Sellerio ha ripubblicato nel 2004. Tra parentesi, sempre nel 1956 uscì I minatori della Maremma, inchiesta scritta a quattro mani da Luciano Bianciardi e Carlo Cassola, tutta incentrata sulla strage di Ribolla (4 maggio 1954), nella quale morirono 43 minatori, una delle catastrofi sul lavoro più gravi di tutto il secondo Dopoguerra. E sempre in quel maledetto ’56 non dimentichiamo la strage di Marcinelle con 262 morti di cui 136 italiani.
Roma ore 11 traduce, in una narrazione cinematografica di sobrio stile neorealistico, temi ancora d’attualità: le donne e il lavoro; la disoccupazione e la povertà unite alla contestuale ansia di miglioramento sociale ed economico. Protagoniste, infatti, di questo film, sono infatti decine e decine di donne che, richiamate da un annuncio per la ricerca di una dattilografa, si accalcano sui gradini delle scale di un palazzo; sollecitate dal peso della calca e dal parapiglia nato da un litigio fra alcune aspiranti al posto, le scale finiranno per collassare trascinando nel crollo moltissime vittime. È un incidente sul lavoro? Non esattamente. È però una disgrazia consequenziale a un enorme, incontrollato flusso di persone – e non gestito in modo adeguato in termini di sicurezza – richiamate dalla speranza di un colloquio di lavoro decisivo. Richiamate, insomma, dalla povertà.
Nel cast di Roma ore 11 brillano attori e attrici di massima caratura: Lucia Bosè, Carla del Poggio, Raf Vallone, Lea Padovani. Fra i soggettisti e sceneggiatori Cesare Zavattini e Rodolfo Sonego. La piazzetta con il palazzo fu interamente ricostruita in studio dal famoso scenografo francese Léon Barsacq.
Vediamo meglio la sinossi di Roma ore 11. Richiamate dall’offerta pubblicata su un giornale per un posto di dattilografa , alcune centinaia di ragazze accorrono da tutta Roma all’ufficio della ditta in cerca di personale. L’attesa si prolunga per diverse ore e le aspiranti si affollano sulla scala. A un certo punto una di esse tenta di passare davanti alle altre, cosa che innesca nel gruppo una violenta agitazione; la scala, non resistendo alla pressione esercitata dalle decine di donne in fila, crolla trascinando con sé moltissime donne: alcune riporteranno contusioni, altre si feriranno più o meno gravemente; una, malgrado il pronto intervento chirurgico, muore.
La storia si può dividere in quattro parti: l’estenuante attesa sulle scale dello stabile di via Savoia fino alla tragedia, l’episodio dell’ospedale, la storia dei singoli destini delle ragazze (le vite di alcune non cambiano, altre prendono nuove strade) e infine, a tarda sera (la storia si svolge nell’arco di una giornata), una resa dei conti tra alcune vittime e alcuni presunti colpevoli in presenza della polizia che indaga sulle cause del crollo. Gradualmente De Santis svela il retroterra esistenziale delle singole giovani: Adriana (interpretata da Elena Varzi) si è licenziata perché messa incinta dal proprio datore di lavoro; poi c’è la prostituta Caterina (Lea Padovani) che vuole cambiare vita; Simona (Lucia Bosé) ama Carlo, pittore in bolletta, interpretato da Raf Vallone, già tra i protagonisti dei due precedenti film di De Santis; infine la cameriera Angelina vorrebbe trovare un altro impiego. Ognuna ha i suoi problemi e sogni, ma quasi tutte sono accomunate dal desiderio di migliorare il proprio status. Nella narrazione principale si inserisce un tocco di romanticismo con il marinaio che corteggia Cornelia (Maria Francia), una delle tante aspiranti dattilografe.
L’incidente determinerà nelle singole concorrenti effetti diversi: alcune riprenderanno la vita di prima; la ragazza borghese che voleva rendersi indipendente per seguire l’innamorato trova la forza di smarcarsi dalla famiglia; l’inserviente maltrattata ritorna al suo paese; la ragazza sedotta ormai non può nascondere la sua condizione; la donna che ha innescato la lite, viene chiamata al commissariato, ma non è lei la responsabile.
La pellicola ottiene l’imprimatur della cultura progressista e di Togliatti stesso. E anche di critici severi come Guido Aristarco (vedi Cinema, 82, 15 marzo 1952) secondo il quale “Roma ore 11 segna un passo avanti di De Santis, un suo progresso spirituale”. Roma ore 11 rappresenta anche l’addio di De Santis al neorealismo. A partire dal 1952-53 la situazione politica nazionale e internazionale appare definitivamente stabilizzata e ogni ipotesi di svolta socialcomunista sembra scongiurata. Anche l’impegno dei registi più engagés in un cinema di desolazione e denuncia, si affievolisce e lo stile sterza verso una scrittura più convenzionale. De Santis – come pure Vittorio De Sica dopo Umberto D e Luchino Visconti dopo Bellissima– decidono di girare pellicole di impronta sentimentale e in linea con la tradizione melodrammatica del cinema italiano degli anni Cinquanta.
Roma ore 11 è la narrazione di una vicenda nella quale la tematica del lavoro è protagonista insieme a una disgrazia con cui non ha, in apparenza, un diretto collegamento. Le decine e decine di aspiranti a un posto di dattilografa che si mettono in fila per il colloquio sin dalle prime ore dell’alba riflettono, però, una società nella quale la ricerca del miglioramento economico o più semplicemente di un’occupazione dignitosa rivelano la povertà di un paese ancora largamente precario. Non siamo ancora sul terreno narrativo che prelude ai grandi film di denuncia sulle condizioni delle fabbriche e della vita operaia che saranno realizzati negli anni sessanta e settanta a partire da Il posto (1961) di Ermanno Olmi che segue di un anno Rocco e suoi fratelli di Luchino Visconti. Nel film di Olmi la storia comincia in una cascina, il ragazzo passa dal mondo rurale alla realtà del mondo industriale: per molti contadini il lavoro in città era un traguardo. Olmi descriverà il mondo del lavoro in un film che narra il contatto di Domenico, ancora vivace nella sua intelligenza, con un desolato mondo impiegatizio. Non fa dell’esplicita denuncia sociale, lascia che sia lo spettatore a riflettere su quale sia il prezzo, concreto e ideale, che il giovane dovrà pagare per aver conquistato, senza troppa fatica, quel posto fisso.
Elio Petri, che con De Santis e Roma ore 11 fece la sua prima esperienza cinematografica, sarà il regista del pluripremiato La classe operaia va in paradiso (1971), un classico del filone “il cinema e la vita in fabbrica”, da lui scritto con Ugo Pirro: fra gli attori protagonisti Gian Maria Volonté (nel ruolo dell’operaio Ludovico “Lulù” Massa) e Mariangela Melato. Ma qui siamo in un’altra, e ancor più cupa, epopea.
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