Nel 1947 Jacques Tourneur aveva completato le riprese del suo primo western I conquistatori (Canyon Passage) con Dana Andrews e Brian Donlevy. Daniel Mainwaring, scrittore e sceneggiatore di successo, ha appena firmato la sceneggiatura di Big Town di William C. Thomas e desidera adattare il suo nuovo romanzo dark mentre, dal canto suo, Robert Mitchum è reduce dalla lavorazione di Odio implacabile (Crossfire) con Dmytryk e trascina la sua grande figura attraverso tutte le serate fumose e ubriache di Los Angeles, in cerca di relax ma anche di un nuovo ruolo… Questi tre uomini segneranno la storia del cinema noir dando vita ad una delle opere più belle che il genere ci abbia mai offerto: Le catene della colpa (Out of the past).

Nella piccola cittadina di Bridgeport Jeff Bailey (Robert Mitchum) gestisce una stazione di servizio aiutato da un ragazzo muto, Jimmy (Richard Webb). Jeff sta corteggiando Ann (Virginia Huston) quando Joe Stefanos (Paul Valentine) riemerge dal passato dell’uomo per dirgli che un gangster di nome Whit Sterling (Kirk Douglas) vuole vederlo. Sulla strada per la casa di Sterling, Jeff racconta ad Ann di quando era un investigatore privato e il suo nome era Jeff Markham; gli era stato chiesto di trovare l’amante di Sterling, Kathie Moffet (Jane Greer), che aveva sparato al suo amante ed era fuggita con $ 40.000. Jeff aveva rintracciato la donna in Messico ma si era innamorato e l’aveva creduta innocente, scappando con lei a San Francisco fino al giorno in cui Fisher, un socio di Sterling, li rintracciò. Quando Kathie aveva ucciso Fisher, Jeff capì che era stata proprio lei a rubare i soldi e, dopo aver perso tutte le sue illusioni, aveva deciso di cambiare vita…

Il flashback termina con l’arrivo a casa di Sterling, dove Jeff rassicura Ann prima che se ne vada: Kathie non conta più niente per lui. È sorpreso tuttavia di trovar la Donna da Sterling; gli confida a parte che il gangster la sta ricattando con l’omicidio di Fisher per costringerla a stare con lui. Sterling ricatta anche Jeff perché raccolga informazioni sul contabile Eels (Ken Niles) che lo ha tradito. Il piano di Sterling prevede in realtà che Stefanos uccida Eels e di incastrare Jeff per l’omicidio: quando Jeff scopre questo disegno, tenta invano di impedire il delitto. Inseguito dalla polizia, Jeff torna a Bridgepoint e rivede Ann che non ha perso la fiducia in lui. Dopo essere fuggito da Stefanos, Jeff va a trovare Sterling e accetta di denunciare Kathie come l’assassina di Fisher ma quest’ultima uccide Sterling per poi chiedere a Jeff di scappare insieme. L’uomo finge di accettare la sua proposta ma allerta la polizia: inseguiti, entrambi finiscono uccisi. A Jimmy non resta che far credere ad Ann che Jeff ha sempre amato Kathie, così che la donna possa dimenticarlo e iniziare presto una nuova vita.

Come ogni classico noir, la regola è che nessuno può sfuggire al proprio destino: Le catene della colpa finiscono sempre per intrappolare gli eroi e, altro topos del genere, il passato influenza inevitabilmente il presente e ogni personaggio deve fare i conti con quanto ha vissuto, che non può dimenticare né tantomeno cambiare. Un fatalismo personificato in modo esemplare da Robert Mitchum. La tenera malinconia del suo personaggio principale spiega in gran parte l’ascesa del film allo status di capolavoro: Bailey non ha alcuna possibilità di sfuggire e sembra saperlo ancor prima che Sterling lo trovi. Quando all’inizio del film lo vediamo sdraiato con Ann sulle rive del lago, disegnandole il futuro con colori allegri, il suo volto disilluso è in totale contraddizione con le sue parole. Più tardi, quando cerca di contrastare i piani omicidi di Sterling e riesce a fargli dubitare di Kathie, le sue azioni mancano visibilmente di convinzione. Come se dentro di sé si fosse già rassegnato! Questo apparente contrasto tra voglia di agire e apatia, che Mitchum sa incarnare come nessun altro attore, caratterizza il paradosso che regna nel film e gli conferisce il suo aspetto impenetrabile. 

Un mix di forza fisica e debolezza emotiva che cade sotto il fascino velenoso di Kathie, interpretata dall’inquietante Jane Greer. L’attrice protetta da Howard Hughes, di cui fu una delle tante conquiste, firma qui un’interpretazione notevole in cui dipinge un profilo di femme fatale che veste i panni di gelida vampira e può mostrarsi tuttavia vulnerabile in qualsiasi momento. Con la sua recitazione eccessiva, Kirk Douglas anima invece il personaggio di Whit Sterling e nelle scene con Mitchum forma un duo elettrizzante: l’aggressività che trasmette e il modo di girare attorno alla sua preda con i gesti quasi felini che caratterizzarono la sua recitazione per tutta la carriera sono il perfetto contrappunto alla forza silenziosa che emana da Mitchum…

Un cast di fuoriclasse diretto con maestria dal polivalente regista francese naturalizzato americano Jacques Tourneur. Capace di girare con efficacia film fantastici come Il bacio della pantera (Cat people, 1942) e Ho camminato con uno zombie (I walked with a zombie, 1943), la pellicola di guerra Tamara, figlia della steppa (Days of glory, 1944) ma anche western di straordinaria bellezza come il già citato I conquistatori, nel noir il cineasta trova un genere particolarmente congeniale. La sua narrazione è caratterizzata dall’arte del “non detto” e da uno stile con strani personaggi la cui precisa identità e motivazioni finali saranno conosciute solo dopo una lunga esposizione sulla scena. Tourneur può anche essere considerato un artista simbolista. Le catene della colpa è un’opportunità per Tourneur di utilizzare in abbondanza simboli che suggeriscono pericolo, desiderio o passione e che costituiscono l’essenza stessa del film: un desiderio di dare un significato alle immagini che assume una moltitudine di forme, una più elegante dell’altra, e impone uno stile unico (quando Bailey trova Kathie, le reti del pescatore che circondano la coppia diventano metafora della cattura dell’eroe da parte della donna, quando ritrova Kathie a casa del gangster i cancelli che si aprono e chiudono suggeriscono la trappola e così via…). Tuttavia è giusto ricordare che se Le catene della colpa è un capolavoro di bellezza plastica, lo deve anche all’impareggiabile talento di Nick Musuraca. Il direttore della fotografia firma qui un bianco e nero tecnicamente perfetto, offrendo meravigliosi contrasti in un’atmosfera scarsamente illuminata.

Il resto del merito è da attribuire alla sceneggiatura di Mainwaring, tratta dal suo stesso romanzo Build my gallow high scritto nel 1946.  L’autore divenne una delle tante vittime della Commissione per la lotta alle attività antiamericane (HUAC) e, inserito nella lista nera, fu costretto a firmare la sceneggiatura con lo pseudonimo di Geoffrey Holmes (curioso come, qualche anno dopo, fu accusato dalla critica di aver scritto una sceneggiatura anticomunista con L’invasione degli ultracorpi che Siegel diresse nel 1956!!). Eternamente incompreso, Mainwaring fu soprattutto uno scrittore di talento, amico di Bogart (per il quale era addetto stampa) e di Robert Mitchum, che conobbe sul set di Le catene della colpa. Il suo romanzo è stato adattato con l’aiuto di Franck Fenton e James M. Cain e presenta gli stilemi classici del noir con una suddivisione dei tempi perfetta e dialoghi memorabili. Mainwaring considerava tuttavia mediocre e inferiore al film il suo romanzo: pur non avendo letto il libro, tutto sommato non mi sento di dargli torto dopo aver visto il film!

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