Il titolo si può tradurre come “gesto nobile e generoso” ed è un gioco di parole sul nome dell’eroe Michael Geste (Guy Stockwell), un americano rintanato nella Legione Straniera francese per la vergogna di essere stato coinvolto, per quanto innocente, in un’appropriazione indebita. Il suo atteggiamento è nettamente diverso da quello della “feccia della terra” che compone il battaglione e la sua arguzia e il suo rifiuto di sottomettersi lo rendono un facile bersaglio per il sergente maggiore Dagineau (Telly Savalas), un ex ufficiale dal passato criminale. Dagineau si diverte nell’imporre difficoltà e nell’ideare vere e proprie torture psicologiche come, per esempio, facendo marciare alcune reclute, tra cui Geste, con gli occhi bendati in cima a una scogliera. La resistenza di Geste al suo superiore è quasi suicida al punto da immolarsi come volontario per subire la frustata a nome dei suoi compagni: «È me che vuole, se non adesso, sarà la prossima volta!» In un altro momento è sepolto fino al collo sotto il sole cocente, in una classica vessazione da cinema avventuroso.

Insieme a suo fratello John (Doug McClure), il battaglione parte come forza di soccorso di un fortino remoto, ma quando l’ufficiale in comando – il tenente De Ruse (Leslie Nielsen) – viene gravemente ferito, il sergente maggiore prende le redini del potere. E così, nella parte finale del film, sotto l’assedio della tribù Tuareg, onore, tradimento, ammutinamento, abilità di combattimento e coraggio entrano in gioco.

L’azione, i vari episodi di combattimento sono piuttosto forti e Geste si distingue.

Nel complesso il cast di Beau Geste sembra materiale da matinée del sabato pomeriggio – non c’è confronto col capostipite del 1939 con Gary Cooper, Ray Milland e Susan Hayward – ma la storia avvince (certo, chi scrive lo vide nella sala cinematografica dell’oratorio). Per fare un paragone, nello stesso anno per il remake del classico di John Ford  9 di Dryfork City (Stagecoach, 1966), di Gordon Douglas, venne reclutata un’autentica star del botteghino come Ann-Margret e una serie di attori secondari di notevole fascino, tra cui Bing Crosby, Robert Cummings e Van Heflin. Nessuno nel cast di Beau Geste poteva reggere il confronto. A parte Le tre spade di Zorro (Las tres espadas del Zorro, 1963), di Ricardo Blasco, Stockwell solitamente era il terzo nome in cartellone, così come Doug McClure – Shenandoah, la valle dell’onore (Shenandoah, 1965), di Andrew V. McLaglen – mentre Telly Savalas, nonostante una nomination all’Oscar per L’uomo di Alcatraz (Birdman of Alcatraz, 1962), di John Frankenheimer, era ancora considerato un attore caratterista.

Ma proprio questo era il punto. La Universal fece una scommessa per trasformare gli ultimi arrivati tra i suoi in “prodotti” del botteghino. Le scene e l’azione erano ben gestite e, anche se ci sono battute eccellenti soprattutto nei duelli verbali tra l’eroe e il cattivo, il personaggio più interessante rimane comunque Dagineau, che, nonostante i suoi fallimenti, ha accettato la sua caduta in disgrazia e ha lavorato bene per risalire la scala della carriera, credendo che la brutalità sia l’unico modo per controllare la truppa. Alla fine tra i due ci sarà la resa dei conti, che metterà a dura prova proprio Dagineau e il suo senso dell’onore, rifiutandosi di permettere che una bugia cancelli la verità, l’idea stessa che la leggenda possa diventare realtà. Telly Savalas ruba la scena con una performance di notevole finezza. Guy Stockwell è poco più che un fedele esecutore, l’eroe, con poco senso dell’ironia. Doug McClure offre una prestazione di naturale freschezza.

Leslie Nielsen è ancora lontano dalle sue parodie (Airplane!, The Naked Gun…) e offre una performance drammatica incisiva nei panni del comandante ubriaco che che cerca di alzarsi dal letto di malato per guidare le sue truppe. Anche se non viene mai tirato in ballo, questo Beau Geste è parte di quel cinema “macho” alla I magnifici sette e Quella sporca dozzina.

Douglas Heyes firma il suo secondo e ultimo film, l’altro era stato La gatta con la frusta (Kitten with a Whip, 1964). L’intera sua attività è concentrata in televisione. Dirige il meno fedele dei vari adattamenti cinematografici del romanzo originale di PC Wren del 1924. I cambiamenti sono infiniti, a partire dal fatto che in questa versione, ci sono solo due fratelli, anziché tre, e non ci sono sequenze che mostrino la vita di Beau prima del suo ingresso nella Legione.

Avrebbe dovuto dirigere il film (e produrlo) Gene Kelly che, una volta abbandonata la Universal per la 20th Century Fox, passò al produttore Walter Seltzer (sempre per la Universal), il preferito di Charlton Heston. La scelta registica cadde su Heyes in virtù del suo basso cachet (per giunta anche sceneggiatore), anche se Seltzer dichiarò che l’autore aveva «una mentalità molto visiva. E ha semplicemente cercato di scrivere una sceneggiatura che funzionasse. Doveva continuare a ripetersi che le versioni precedenti erano davvero pessime». Girato a Yuma, in Arizona, Beau Geste è costato 4 milioni di dollari: 2,5 milioni di dollari per la produzione, il resto per la parte comunicazione. La scelta di affidarne l’interpretazione ad attori conosciuti ma non propriamente star nacque dall’azzardo che così si sarebbe riusciti ad attrarre il pubblico giovane.

C’è tuttavia una annotazione poco nota: il regista della seconda unità era Joseph Kane, maestro del “B movie”. Ci si può spingere a credere che l’alta qualità del materiale d’azione presente in Beau Geste sia attribuibile al suo lavoro. Regista di oltre 120 titoli tra film e produzioni televisive dal 1934 al 1975, Kane si è soprattutto distinto nei western (con Roy Rogers), ma anche in gangster movie, e avventurosi in genere.

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