I passi pesanti e lenti di Maigret misurano le strade di Parigi, in cerca della verità sulla morte di una giovane dall’identità ignota ritrovata senza vita avvolta in un vestito zuppo di sangue. Proprio la raffinatezza eccessiva dell’abito da sera fornirà il fil rouge da svolgere per dipanare la matassa dell’indagine di Maigret (2022) che vede Gérard Depardieu vestire per la prima volta i panni del più celebre investigatore della letteratura francese e che segna il ritorno di Patrice Leconte a un lungometraggio dopo otto anni dall’ultimo Tutti pazzi per casa mia.
La scelta di affidare a una delle star del cinema d’Oltralpe il ruolo del personaggio creato dalla penna di Georges Simenon (originariamente destinato a Daniel Auteuil) si rivela azzeccatissima, non solo per l’affinità di stazza: il volto rugoso e segnato di Depardieu incarna alla perfezione i consueti dubbi del Commissario, dando concretezza all’umanità e alla personalità che hanno reso celebre e amata in tutto il mondo la creazione letteraria dello scrittore di Liegi. La recitazione del protagonista è misurata, come si conviene all’interpretazione di un personaggio al crepuscolo con problemi di salute. Inappetente e infiacchito nel fisico e nella resistenza, il segugio tuttavia fiuta la pista e non molla la preda che insegue tenacemente fino alla soluzione del caso.
Seppur il film sconti una fotografia che, anche se impeccabile, sembra più adatta a una produzione televisiva di alto livello che al cinema, i fan delle indagini più famose del Quai des Orfèvres parigino hanno di che essere ampiamente soddisfatti. Liberamente ispirato all’indagine di Maigret et la jeune morte da cui si discosta ampiamente, il film ha il merito di risultare molto fedele alle atmosfere e alle caratteristiche salienti della serie.
Leconte resiste alla tentazione di appesantire il film di tutti gli elementi della mitologia parigina, scegliendone solo alcuni – gli arredi liberty, le disquisizioni su vini e ricette nonché l’immancabile fisarmonica – che servano da sfondo e appaghino le aspettative degli spettatori senza risultare stucchevoli. La Parigi di Leconte è, giustamente, la città borghese par excellence e il regista ci offre una rappresentazione plastica dei due poli estremi tramite l’appartamento della giovane vittima, una triste provinciale con il problema di mettere insieme il pranzo con la cena, e quello di una ricca famiglia dell’alta società. Due declinazioni dello stesso mondo che Maigret – proveniente anche lui dalla provincia – non guarda con simpatia. E come potrebbe? I personaggi chiave sono meschini, legati al soddisfacimento di miseri bisogni quotidiani o, all’opposto, di vizi inconfessabili che la buona società parigina degli anni Cinquanta è disposta a perdonare, purché si mantenga la rispettabilità. Ma lo stesso Commissario appartiene al cosiddetto ceto medio e l’appartamento dove vive con la comprensiva signora Maigret rappresenta un compromesso accettabile nonché un rifugio dove cercare di ristabilire l’ordine e ricomporre le fratture.
Non a caso è all’interno dell’ambiente domestico che germoglia l’affetto per una ragazza a cui è affidato il messaggio di speranza finale del film. “Sii felice” è l’augurio che Maigret le farà salutandola dopo che lei l’avrà aiutato a risolvere l’inchiesta. Non siamo a conoscenza di quale destino la sorte riserverà alla giovane dopo che le porte del pullman si chiuderanno per riaccompagnarla alla realtà famigliare da cui era in fuga, ma la nostra coscienza di spettatori (e lettori) in fondo preferisce pensare a cosa è scampata grazie al burbero Commissario.
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